Verso la fine del 1920, Mussolini si trovava a capo di un movimento che aveva ottenuto grandi successi. Si era inserito, infatti, nel discorso politico giolittiano, sfruttando, tra l’altro, la conclusione della questione di Fiume e quella che sembrava la fine della parabola politica dannunziana. E vantava il grande consenso del fascismo agrario, dimostrandosi la giusta forza politica in grado di raccogliere la fine della protesta dei partiti “rossi”, per porsi come capace di catalizzare l’attenzione dei borghesi, degli imprenditori agricoli e industriali.
Un lavoro che doveva essere svolto nel 1921, quando i Fasci contavano quasi tanti iscritti, quanto gli adepti comunisti al Congresso di Livorno.
I fascisti continuavano a manifestarsi attaccati alla patria e alla volontà di difenderne di confini, rivendicando la vittoria bellica, anche se lo scivolone del mancato appoggio alla questione di Fiume, dopo il Trattato di Rapallo e il “Natale di sangue”, aveva fatto venire alcuni dubbi.
Tra le varie necessità mussoliniane, compresa quella di tenere a bada il fascismo squadrista, c’era evitare la rottura con i fascisti dannunziani che ancora rimproveravano proprio l’atteggiamento tenuto durante il triste Natale precedente, quando non si era mosso un dito per aiutare D’Annunzio a Fiume. Anzi, i fascisti più interventisti erano stati tenuti a freno e quelli più nazionalisti incolpavano la monarchia di avere ceduto con la firma dei trattati, chiedendo a Mussolini un’azione più in chiave repubblicana, con i principi della “Carta del Quarnaro”. A quel punto, con la pessima figura monarchica nella questione fiumana, i legionari e i fascisti filo dannunziani ancora inviperiti, si era davanti ad un’evidenza. Se D’Annunzio, andando al Congresso di Milano, avesse radunato attorno a sé i suoi sostenitori, probabilmente il capo del movimento non sarebbe più stato Mussolini, oppure avrebbe potuto dividere con lui la direzione dei Fasci di Combattimento.
Nel frattempo, il Vate, stanco e deluso dopo gli episodi del “Natale di sangue”, si era ritirato nella sua villa di Gardone Riviera, dove desiderava soprattutto tornare ad essere un Poeta e dove Mussolini, il 5 aprile 1921, si recò in visita. La notizia venne anche riportata su Il Popolo d’Italia, scrivendo che i due avrebbero discusso della situazione politica, gettando le basi per degli accordi. D’Annunzio non pensava di candidarsi alle elezioni politiche e molti fiumani non sarebbero entrati nei Blocchi nazionali, pertanto nessun accordo venne raggiunto, anche se a Mussolini avrebbe fatto di sicuro molto comodo.
Il 7 aprile, infatti, D’Annunzio scriveva che Mussolini avrebbe fatto suo il programma politico dannunziano già letto a Fiume, una rassicurazione che avrebbe portato a consigliare ad alcuni legionari di candidarsi o di non ostacolare la candidatura dei Fasci, ma di certo non era chiaro che si fosse sottoscritto un vero e proprio accordo. Molto più probabilmente entrambi gli uomini non volevano arrivare ad una rottura, ma non si fidavano troppo l’uno dell’altro, per lo meno sul piano politico. Un altro incontro con Mussolini era previsto al Vittoriale il 15 agosto 1922, quindi il futuro Duce, il 28 ottobre seguente, giorno della marcia su Roma, inviò a D’Annunzio un telegramma nel quale gli chiedeva di non dimostrarsi contrario ad un episodio del quale era stato ideatore già qualche anno prima. Una nuova visita di Mussolini al Vittoriale la si ebbe il 25 maggio 1925 e i due solcheranno il lago a bordo del MAS.