Un percorso espositivo di più di 1000 metri quadri dentro al Museo del Tessuto di Prato è stato realizzato a partire da un piccolo baule. Offerto tre anni fa in vendita al museo da un uomo, che lo custodiva per volontà della soprano pratese Iva Pacetti (1898-1981), conteneva due sontuosi vestiti e due elaborate acconciature per la testa, veri gioielli. Sembra l’inizio di una fiaba, ma è invece l’inizio di un percorso che l’intuizione di Daniela Degl’Innocenti, Conservatrice del Museo del Tessuto, ha trasformato in questa bellissima mostra. Daniela ha capito trattarsi di abiti di scena della Turandot di Puccini (1858-1924), risalenti alla prima assoluta dell’opera, al Teatro alla Scala il 25 aprile 1926.
Questa Turandot aveva tutti i numeri per essere un’edizione speciale, per la sede, la direzione di Toscanini e il costumista Caramba (nome d’arte di Luigi Sapelli), la scenografia affidata da Puccini a Galileo Chini (1873-1956), suo amico ma soprattutto con un’esperienza biennale di vita in Oriente.
Turandot, per inciso, fu l’ultima opera interpretata dalla Pacetti nel 1947, anno in cui abbandonò per sempre le scene. Questo potrebbe spiegare l’acquisto da lei fatto per arricchire il suo guardaroba privato con abiti di scena di tale rilevanza.
Ci sono voluti quasi tre anni per costruire questa bella mostra. A parte la pandemia che ne ha frenato la realizzazione, è stato lungo il tempo necessario per restaurare i due abiti di Turandot e trovare tanti altri abiti dello stesso spettacolo, per la maggior parte provenienti dalla sartoria Devalle di Torino, ma alcuni dei quali appartenenti a privati.
Ad ampliare questo racconto, per non limitarlo allo spettacolo musicale, è stato Galileo Chini stesso, con lo spirito multiforme che lo caratterizzava, a fornire l’idea di come descrivere l’Oriente misterioso di quei tempi lontani. Il Chini accettò nel 1911 l’invito del re del Siam (oggi Tailandia) a raggiungerlo in quella terra lontana per costruirgli la sala del trono, lavoro per il quale l’artista soggiornò due anni in Siam. La grande curiosità ed ammirazione per l’Oriente che lo animava lo spinsero a collezionare tessuti, costumi e maschere teatrali, porcellane, strumenti musicali, sculture, armi e manufatti d’uso, di produzione thailandese e cinese, con influssi indiani, vista la posizione geografica.
Dal suo soggiorno orientale Chini tornò profondamente affascinato e con un bagaglio di centinaia di manufatti artistici di stile e produzione cinese, giapponese, siamese che influenzarono la sua produzione artistica anche dopo la permanenza in Siam e, pure, la genesi figurativa delle scenografie per l’opera Turandot.
Questa mostra ha usufruito del collezionismo di Chini, molto adatto a descrivere un Oriente misterioso e fantastico in cui la Turandot è ambientata. Nel 1950 la sua generosità gli ha fatto donare tutta la raccolta al Museo di Antropologia ed Etnologia (SMA). Più di 600 pezzi, che il grande interprete del Liberty italiano portò con sé al rientro dalla sua permanenza in Siam. È stato quindi possibile a Daniela Degl’Innocenti accordarsi con Monica Zavattaro, curatrice SMA, felicissima di poter dare una grande visibilità alla collezione, mostrata solo in parte al MAE per motivi di spazio.
Centoquaranta fra oggetti, abiti, suppellettili e maschere sono stati movimentati fra i due musei e suddivisi per ambiti tipologici all’interno di grandi teche espositive al piano terra del Museo del Tessuto, l’inizio di questa mostra.
Essa prosegue al primo piano con la parte più propriamente legata all’Opera, il famoso baule, i cinque straordinari bozzetti finali delle scenografie della Turandot di Chini, alle pareti e 30 costumi comprendenti i ruoli primari e comprimari – l’Imperatore, Calaf, Ping, Pong e Pang, il Mandarino – e i secondari – i Sacerdoti, le Ancelle, le Guardie, i personaggi del Popolo.
La nipote, Paola Chini, è sempre presente ai numerosi omaggi che si continuano a tributare al suo grande nonno, onorandone la memoria con la sua presenza, felice di rispondere alle domande dei giornalisti e dei visitatori.
Può dare un’idea della complessità della mostra il numero di enti prestatori che sono stati coinvolti nella sua realizzazione: l’Archivio Storico Ricordi, il Museo Teatrale alla Scala e l’Archivio Storico Documentale Teatro alla Scala, le Gallerie degli Uffizi - Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, la Fondazione Giacomo Puccini di Lucca, la sartoria Devalle di Torino, l’Archivio Corbella di Milano, la Società Belle Arti di Viareggio e numerosi prestatori privati.
Passaporto Turandot
Un progetto parallelo alla mostra, denominato “Passaporto Turandot”, promuove attivamente la ripresa di un turismo di prossimità, che non intasa le città d’arte, ed è l’ora che sia realizzato su larga scala, reso possibile per la cultura diffusa in tanti territori, caratteristica saliente dell’Italia. Ecco come funziona: in una piccola guida cartacea, agile e snella, sono presentati al pubblico il Puccini Museum di Lucca, la casa natale del compositore Giacomo Puccini, la Villa Museo di Torre del Lago, che conserva ancora il suo aspetto originale così come lasciato dal Maestro nel 1926, il MO.C.A. – Montecatini Terme Contemporary Art, esempio tangibile dell’operato di Galileo Chini qui presente con le splendide vetrate e con la decorazione delle volte e dei velari del Municipio e, infine, il Chini Museo di Borgo San Lorenzo con gli splendidi capolavori ceramici e non solo che continuano ad essere prodotti da Vieri Chini e i suoi figli su modello del poliedrico artista. Portando con sé il Passaporto Turandot, appositamente timbrato all’ingresso delle strutture segnalate, il visitatore potrà usufruire di particolari agevolazioni.