La prima donna ad affondare il rampone sulle vette alpine fu Henriette d'Angeville, contessa di Borgogna che nel 1838, con gonna lunga e piccozza, raggiunse la cima innevata del Monte Bianco. I 4478 metri del Cervino dovettero aspettare il 1871 per farsi conquistare da una dama con vestito bianco e cappello. Era Lucy Walker, inglese, approdata all'alpinismo grazie a una raccomandazione medica che le consigliava la montagna per curare i reumatismi. La sua rivale, Meta Brevoort - americana - sul Cervino arrivò dopo, ma sembra essere stata la prima donna a indossare pantaloni e ghette per scalare le montagne, anche se non si fece mai fotografare in abbigliamento maschile.
Ma questa estate la Svizzera la dedica tutta alle donne, quelle esperte e quelle semplicemente appassionate, per vivere avventure di montagna. La sfida sul tappeto è la conquista delle 48 cime di oltre 4000 metri con cordate di sole donne scalatrici. E non basta: oltre 200 eventi outdoor creati dal Club Alpino Svizzero, dalla Mammut Alpine School e dall'Associazione delle guide di montagna, offrono nuove esperienze per 'resuscitare' dopo la pandemia.
Sarà forse perché la Svizzera vuole farsi perdonare lo spiacevole ritardo con cui soltanto 50 anni fa ha introdotto il diritto di voto alle signore, ma questa volta l'universo femminile è al centro dell'attenzione per una sfida che apre nuovi confini. Insomma, un grande happening women only con guide alpine, ovviamente donne, dal curriculum stracolmo di arrampicate impressionanti, discese sciistiche mozzafiato, trail running, escursionismo. Tutte professioniste e sportive. Come Caroline George, 'regina' delle cascate ghiacciate. Delle 48 vette svizzere sopra i 4000 metri ne ha già scalate 22, oltre alle imprese in Antartide e alle arrampicate sui picchi del Turkistan e delle montagne himalayane. Tutte rigorosamente senza ossigeno. Ora sogna la spettacolare vetta del Cerro Torre, in Patagonia, alta 'appena' 3000 metri, ma affilata come la lama di un rasoio, talmente poco accessibile da aver già scoraggiato numerosi alpinisti. Ma scalare per lei non è solo uno sport, è un orizzonte dello spirito. Ripete spesso: “La montagna, come la vita, la conosci a poco a poco. E non finisci mai di imparare”.
Lei la sua vita, e la sua montagna, la racconta così.
Quando ha cominciato ad andar per monti?
Quando ero bambina. Sono nata in un villaggio delle Alpi svizzere e ai miei genitori piaceva molto scalare montagne. Mia madre era francese e mio padre americano e insieme hanno viaggiato e raggiunto vette ovunque nel mondo. In tutte le nostre vacanze non facevamo che scalare montagne. Per la verità a me questa attività non piaceva per niente. Anzi, la detestavo. Ho cominciato ad appassionarmi quando avevo 17 anni e scalavo con gli amici. Fu un modo per crearmi una mia identità, senza che questa dovesse venire dai miei genitori.
E da quel momento ha deciso che quello sport sarebbe diventato la sua professione.
Questo l'ho deciso più tardi, dopo un brutto incidente in cui ho rischiato di morire. Era il 1997, avevo 21 anni e studiavo Giurisprudenza all'Università di Friburgo. Nello stesso tempo facevo alpinismo, sci alpino e molte altre attività di montagna, senza avere una grande conoscenza dei rischi. Mentre stavo sciando con un amico, dalla sommità del Dolent una colata di neve si è staccata e mi ha investito pienamente. Sono precipitata per 450 metri sul versante italiano del ghiacciaio di Pré de Bar. Sono stata all'ospedale alcuni mesi in seguito alle numerose fratture e non mi ero ancora ristabilita completamente quando ho deciso di ricominciare a praticare la montagna. Da allora non ho più smesso.
C'è voluto coraggio.
Pensai che dovevo imparare di più e fare meglio. Quello è stato un momento fondamentale della mia vita.
Quanto è stato difficile imporsi in un mondo più legato agli uomini che alle donne? Oltre alle montagne ha dovuto scalare anche dei pregiudizi?
Certamente sì. Il processo per diventare una guida di montagna è piuttosto difficile perchè devi saper fare tutto. Quando ho intrapreso questa strada mi è stato chiesto: “Perché vuoi fare la guida? Per una donna non c'è futuro in questo campo”. È stata una sorta di sfida ed erano pochissime le donne che vi si avventuravano. Però alla fine, proprio perché si è trattato di una scelta eccezionale, le opportunità di essere conosciute sono maggiori.
Con Svizzera Turismo lei accompagna gruppi di sole donne sulle vette più alte di questa regione. Quale messaggio manda a giovani o meno giovani che vorrebbero partecipare ma temono di non riuscire nell'impresa?
Prima di tutto ci sono percorsi più o meno difficili e le mete vengono stabilite sulla base della capacità e preparazione fisica. E comunque è importante credere di poterlo fare. Se vuoi arrivare ad una meta non devi pensare che è difficile, ma devi lavorare per raggiungerla e quando ci sei arrivato si apre la porta verso un'altra meta.
Cosa hanno le donne in più rispetto agli uomini per diventare buone scalatrici?
La saggezza, o forse dovremmo chiamarla previdenza. In montagna succedono incidenti proprio perché non sono state prese le decisioni giuste. È vero che l'uomo è più forte, ma anche più impulsivo, mentre la donna è più riflessiva. La forza è importante, ma c'è bisogno anche di controllo per poter scalare in sicurezza. Come nell'antica filosofia cinese lo yin e lo yang sono due energie che interagiscono creando in questo modo equilibrio e armonia. Così negli sport di montagna un team composto di energia maschile e femminile dà origine a connessioni positive che portano a maggiore sicurezza. Una combinazione di questi due elementi, forza e accortezza, è ovviamente fondamentale anche a livello individuale.
A parte l'equilibrio, qual è la qualità più importante per un alpinista?
La determinazione.
Le è mai successo di dover rinunciare a un progetto quando sta per raggiungere la meta?
È successo più di una volta. In montagna bisogna saper accettare i fallimenti. Le ragioni possono essere molte, il tempo, per esempio, ma anche le condizioni fisiche. Come dico sempre, la montagna è una metafora della vita: ci sono alcune imprese che provi ma poi, per vari motivi, ti accorgi che sono più difficili di quanto pensavi e allora devi tornare indietro.
Dopo giorni e giorni immersi nella natura cosa si prova quando si rientra nella caotica vita quotidiana?
A volta bisogna un po' riadattarsi a ritmi più frenetici, ma meno avventurosi. Io sento il bisogno di partire, ma sono anche contenta di tornare indietro dalla mia famiglia: mia figlia Olivia e mio marito Adam.
È più difficile arrampicarsi sulle alte cime delle montagne o essere madre?
Per scalare una vetta ci vogliono pochi giorni e puoi andare quando vuoi. Essere madre è per sempre. Questa è la differenza.
Quali sono i segreti della montagna?
Nessun segreto. Solo che le montagne, così come tutti gli altri elementi della natura, non si adattano a noi. Siamo noi a doverci abituare alle sue caratteristiche. E a rispettarle.
Allora donna è più bello?
Incoraggiare le donne agli sport di montagna vuol dire portare più equilibrio. Quindi sì, donna è bellissimo.