Michele Mainoli, nato a Sannazzaro de’ Burgondi, nei pressi di Pavia, il 20 gennaio 1927 e morto a Castelnuovo Scrivia l’11 febbraio 1991, figlio d’arte, essendo stati bravi pittori il padre Angelo ed il nonno Santino, dopo il liceo artistico a Pavia si è diplomato all’Accademia di Brera, allievo, tra gli altri, di Aldo Carpi per la pittura e Benvenuto Disertori per l’incisione.
Da qui in poi tutta la sua vita, a parte la famiglia con l’adorata moglie Nuccia ed i tre figli, è dedicata all’arte: senza calcoli, convenienze e compromessi. Proprio per la sua grande competenza e passione, seguendo i suoi straordinari discorsi di arte - e a lui bastava poco per prendere lo spunto giusto, era sufficiente vedere una particolare sfumatura di luce nel colore della bibita che stava sorseggiando - posso dire che, negli anni della nostra assidua frequentazione, è come se avessi seguito un corso d’arte a Brera.
È lui in effetti che mi ha fatto innamorare, ad esempio, della grande pittura fiamminga, o che mi ha insegnato a saper leggere (e, soprattutto, ad assaporare) un’opera d’arte.
Prima di tutto egli sapeva ascoltare ed osservare. In Mainoli si percepisce proprio un “sacro” stupore per la vita! Nell’incanto poi del colore riusciva a scorgere l’anima degli oggetti, anche dei più umili. “Vibrazioni sottili, attimi solenni, eminenti epifanie, segretissime rivelazioni”. Il colore, seppur talvolta usato con sorvegliatissima cautela, era per lui il mistero e la bellezza della vita. Mainoli era un mistico ed un profeta del colore, ma non un visionario. Sapeva soltanto vedere meglio di noi! Come ha felicemente confessato il figlio Mauro: “Il piacere di guardare che aveva mio padre non l’ho più ritrovato in nessuna persona adulta. Nessuno ha mai più sentito il bisogno di confidarmi l’emozione profonda di abbandonarsi ad un colore… Mio padre guardava con la stessa intensità con cui dipingeva: questo è forse l’insegnamento più alto che mi ha lasciato”.
Per tutto questo, e per la sua grande capacità di rispettare la solida urgenza e necessità della realtà e, nello stesso tempo, di aprirsi innocentemente al sogno, ho sempre preferito usare per lui non la definizione di “realismo critico”, ma quella di “surrealismo critico”, dove si recupera pienamente quel suo particolare “sogno della realtà”.
“Mainoli è, tra le altre cose, un surrealista padano, affine in questo a un grande artista che si chiama Gustavo Foppiani di Piacenza”. E pochi conoscono il valore di “un antesignano perfetto di Mainoli che si chiama Cosmè Tura, che è un genio assoluto, spigoloso e padano come Mainoli” (così Vittorio Sgarbi, durante l’inaugurazione della grande Mostra retrospettiva del 1998, curata dal sottoscritto, a Castelnuovo Scrivia).
Riassumere comunque in poche righe un pittore così complesso e ricco di emozioni e valori artistici non è facile. Lui stesso così aveva risposto in una celebre intervista di Enzo Schiavi: “Non mi identifico in una corrente ben specifica: per il gusto dell’etica e dell’estetica nel classicismo; per la passionalità ed il tormento nel manierismo; per la ricerca della verità nel realismo; per la libertà di espressione nel surrealismo”.
Di certo Mainoli amava la pittura perché amava la vita, ed amava la vita per raccontarla attraverso l’arte. Inoltre, amava i contrasti, ed amava ancor di più ricercare segrete e profonde vie di conciliazione. Guardava la realtà con sereno distacco, spesso con il filtro di una intelligente e finissima ironia. A lui interessava lo spirito delle cose, al di là di ogni apparenza. Senza giudicare mai! Si potrebbe dire con Seneca che aveva la saggezza dei grandi uomini: capace di servirsi dei vasi di creta come fossero d’argento e dei vasi d’argento come fossero di creta.
In questi 23 anni di vita della nostra Associazione a lui dedicata molto è stato fatto: mostre (come quelle a Milano presso l’Università Bocconi e nella sede della Società umanitaria; o l’ultima al Castello di Belgioioso), cataloghi, pubblicazioni e conferenze. Tuttavia, resta ancor di più da fare, per cercare di contribuire a dare al pittore (come recita il nostro statuto) quella giusta collocazione che gli compete nell’ambito della pittura del secondo Novecento. Tra i prossimi progetti – anche per l’attuale situazione socio-sanitaria – segnalo la realizzazione di una mostra-documentario online, che potrà essere visibile in rete da chiunque.
In conclusione, chi era Michele Mainoli? Un pittore che non credeva all’arte decorativa, priva di contenuti e disimpegnata. In una bella intervista di Gennaro Pessini dichiarò: “La pittura non può essere pura fantasia, ma deve nascere dall’incessante lavoro dell’immaginazione che cerca di penetrare sotto la crosta del visibile”. Come è stato detto (da Teo Marchini) Mainoli è un figurativo anche nei paesaggi e, forse, non ha ascendenti né referenti e non avrà seguaci. “Tarderà a nascere – se nascerà – uno spirito libero e incatenato come il suo”.