Per chi finora non ha potuto ancora visitare Stonehenge, dire che si può “accontentare” di Pranu Muttedu è molto limitativo. Partendo da Cagliari, ho raggiunto in mezz’ora Goni, il piccolo centro abitato dove è stata scoperta una delle più importanti aree archeologiche della Sardegna preistorica, a poco più di 40 km dalle bellissime spiagge della zona di Muravera, di Villasimius, Costa Rei e Porto Corallo.
È qui che ho incontrato Alessandra Pilloni, l’archeologa che mi ha fatto da guida in questo meraviglioso viaggio nel passato. Alessandra lavora per la società Pranu Muttedu srl che si occupa della gestione e manutenzione del sito archeologico. L’avevo contattata per organizzare una simulazione di scavo per piccoli archeologi, con la dimostrazione sull’utilizzo delle armi preistoriche e un corso dedicato anche alla lavorazione dell’ossidiana e della ceramica. Già parlando con lei avevo capito che mi aspettava un’esperienza unica…
Alessandra, come è stata scoperta quest’aerea?
A partire dal 1980, sono iniziati gli scavi archeologici effettuati da Enrico Atzeni, docente di Palentologia e antichità sarde di Cagliari. I reperti ritrovati risalgono a periodi della cultura "Ozieri" risalenti al Neolitico recente (3200-2800 a.C.) e con attardamenti nel primo Calcolitico dal 2800 al 2600 a.C; inoltre, nell’aerea è presente una necropoli ipogeica a domus de janas (casa delle fate), tombe realizzate sia a pozzetto sia a proiezione orizzontale, finemente scavate nel roccione di Genna Accas, con tre circoli rituali.
Parliamo cominciando a camminare nel Parco, dove si vedono sentieri ben segnalati che si inoltrano nella vegetazione e subito mi sento affascinata da questo insieme di meraviglie naturali e monumentali…
Il Parco Comunale di Pranu Muttedu – racconta Alessandra – si estende in un’area di circa 200.000 metri quadrati, è situato nel cuore di un magnifico boschetto di querce da sughero e di altre piante tipiche della macchia mediterranea: a primavera si possono vedere le orchidee selvatiche, gli asfodeli che con i loro pennacchi bianchi, tipici del paesaggio sardo, ricoprono tutta l’area; in autunno si trovano vari tipi di funghi (porcini reali, leccini, funghi di carne ecc.), ma anche asparagi, mirto, cicoria, lentischio ed altre erbe selvatiche usate tradizionalmente in cucina o a scopo terapeutico.
Animali ci sono?
Certo! In quest’oasi di pace naturale e di silenzio vivono liberi numerosi animali, come il cuculo, il picchio, i rapaci e altre specie di volatili selvatici e ci sono anche rettili come lucertole e salamandre che, vedi… stanno prendendo il sole su quel menhir…
Parlami dei menhir…
Qui c’è la più alta concentrazione di menhir, sono circa sessanta, variamente distribuiti in coppie, allineamenti o gruppi. Sono scolpiti nell’arenaria locale e possono essere aniconici, cioè privi di raffigurazioni, lavorati finemente a martellina e per lo più del tipo proto-antropomorfo, di forma ogivale, parte frontale piatta e parte posteriore convessa.
Cosa rappresentano i menhir?
Forse rappresentano gli antenati o le antiche divinità legate alla fertilità maschile e femminile. Qui c’è questo “allineamento” di 18 menhir molto interessante, che ricorda in piccolo quelli presenti in area francese, se vedi bene segue la direzione est-ovest, configurandosi come allineamento equinoziale; altra particolarità è che spesso sono posti davanti alle tombe.
Ci stiamo avvicinando ad una delle tante tombe che, come per i menhir, cattura la mia attenzione.
Le tombe sono di tipologie differenti e alternano le più diffuse architetture ipogeiche delle domus de janas alle imponenti forme megalitiche delle tombe a tumulo. Le tombe megalitiche sono costruite con grossi blocchi di pietre squadrate e seguono per lo più il medesimo schema: ingresso a corridoio formato da lastroni ortostatici, stanze funebri centrali e cerchi concentrici di pietre che circondano le stanze interne. I cerchi dovevano sorreggere il tumulo di terra che ricopriva il tutto, segnando in maniera ben visibile il territorio. Erano per lo più tombe collettive, ma è presente anche qualche esempio di tomba con cista centrale, probabilmente una sepoltura singola, dove il defunto veniva introdotto attraverso un portello quadrangolare e deposto rannicchiato.
Ho letto che tombe così imponenti e accurate fanno ipotizzare l’utilizzo del sito per importanti funzioni sepolcrali e riti religiosi...
Qui siamo davanti alla Tomba II che è senz’altro la più monumentale e complessa: quest’area è considerata da alcuni una vera e propria area cerimoniale dedicata al culto degli antenati. Per costruirla furono utilizzati 2 enormi blocchi di pietra arenaria trasportati da lontano appositamente in loco e poggiati su un selciato artificiale e altri blocchi più piccoli assemblati insieme a costituire l'anticella e le celle sepolcrari – infatti, al suo interno ci sono numerose stanze per cui ci sono altre ipotesi che fanno pensare fosse destinata ad un gruppo di persone (famiglia?) importanti –, finemente scavati con particolari che richiamano le domus de janas, come l’ingresso monumentale che presenta la tipica porticina trapezoidale dotata di rincasso. Tutta la struttura era coperta da un tumulo di terra e circondata da cerchi di pietre. Davanti all’ingresso sono presenti due cerchi concentrici di pietre, che segnavano probabilmente la grande area sacra destinata ai rituali e alle cerimonie per gli antenati.
Avete trovato qualcosa in questa tomba o anche nelle altre?
Lo scavo della Tomba II e dell’area antistante ha restituito vasetti miniaturistici, un pomo sferoide, punte di freccia in ossidiana, uno stiletto e un pugnaletto in selce, un piattello fittile, una piccola accetta in pietra bianca ed elementi di collana in argento.
Quando arriviamo davanti a un'altra Tomba, che Alessandra dice essere la IV , vedo tre menhir…
Questa è un’altra tomba particolare, si chiama la Triade, perché c’è appunto davanti all’ingresso una triade formata da tre menhir: altra tomba particolare è la Tomba V, detta Nuraxeddu, che si caratterizza per avere la camera di forma rettangolare, costruita molto accuratamente con blocchi di pietra squadrati di dimensioni medio-grandi.
Arriviamo infine davanti al roccione di Genna Accas, dove ci sono le famose domus de janas, casa delle fate, che già dal nome mi portano a fantasticare sulla magia del posto. Alessandra mi dice che queste sono delle sepolture molto diffuse in Sardegna nel Neolitico, in particolare durante il periodo della Cultura di San Michele-Ozieri.
Si tratta di piccole grotticelle artificiali scavate nei costoni rocciosi o nelle pietre naturali. Si chiamano ipogeiche, perché si sviluppano sotto terra, a volte con molte stanze e corridoi. Venivano scavate con degli attrezzi appuntiti di pietra dura, chiamati picchi di scavo, di cui a volte sembra di vedere traccia sulle pareti delle tombe. L’ingresso delle domus può essere a corridoio, soprattutto quando emerge verticalmente sulle pareti rocciose, o a pozzetto, quando è scavato direttamente per terra...
… eccola la porticina d’ingresso di forma trapezoidale di cui parlavi alla Tomba II…
Sì. È uguale… di solito la porta era chiusa con una lastra. Le più semplici sono formate da uno o due ambienti: in genere un’anticella semicircolare e una cella rettangolare, oppure anticella e cella entrambe rettangolari. L’anticella serviva probabilmente per depositare le offerte votive, la cella per la sepoltura vera e propria.
Sembrano una casa-capanna, come quelle in cui vivevano le antiche popolazioni…
… esatto, quasi a ricreare un’abitazione per il defunto nella sua nuova vita nell’aldilà. Infatti molte di esse sono scolpite con elementi tipici della capanna, come il focolare, le finestre, le travi del tetto, gli sgabelli ecc. Altri elementi scolpiti, incisi o dipinti sono invece di carattere rituale: la testa di toro doveva per esempio essere un simbolo di protezione, così come le losanghe, le clessidre, le spirali, probabili simboli della Dea Madre. Erano in genere sepolture collettive, che potevano essere ampliate di volta in volta, all’occorrenza, con nuove stanze. Attorno alle domus de janas sono nate numerose leggende popolari che le vedono popolate da esseri magici femminili, le janas appunto, poste a protezione di tesori nascosti.
Quelle pietre messe a circolo?
Sembrano disposte a circolo come per effettuare dei riti, ce n’è uno dotato anche di focolare, e probabilmente erano utilizzati per cerimonie religiose legate al culto dei morti.
Quello che, dico ad Alessandra, mi colpisce è che nel Parco sono presenti contemporaneamente tipologie differenti di sepolture…
… quelle ipogeiche e quelle megalitiche… posso dire che arrivano a influenzarsi e mescolarsi a vicenda...
La nostra passeggiata si interrompe. Alessandra deve tornare alle sue attività e io mi siedo su una panchina all’ombra di un’enorme quercia. Mi viene da ripensare alle janas: so che in alcune zone all’interno della Sardegna il significato del termine non è ancora scomparso e che per indicare un uomo o una donna dal fisico minuto (cioè come quello di un bambino pre-adolescente) si dice "mi paret un omine janu" (mi sembra un uomo janu)… ma io che amo la magia penso più alle fate che sono sicura mi stanno guardando tra le fronde di questa magnifica quercia…
Informazioni turistiche
La visita al Parco di Pranu Muttedu si snoda lungo sentieri ben tracciati, che si inoltrano tra la vegetazione e consentono la visione dei monumenti nel loro suggestivo ambiente naturale. Ma si consiglia la visita anche di Goni, in cui, grazie ai numerosi ritrovamenti effettuati nell’area del Parco di Pranu Muttedu e in altre zone circostanti, ci sono tracce della presenza dell’uomo intorno al quarto millennio a.C. Da vedere: il Nuraghe Goni, un mono-torre ben conservato che si erge su una collina che domina dall’alto il centro abitato e il Lago Mulargia.
www.pranumuttedu.com