La “solidarietà culturale” è un concetto che non troverete descritto in nessuna enciclopedia; le forme della solidarietà verso esseri umani o gruppi di persone possono essere molteplici, ma la cultura, non sempre in grado di produrre benefici immediati, non è ritenuta un ausilio efficace in condizioni di emergenza.
Eppure a nessuno di noi sembrò strano, in quell’autunno del 2010, ritrovarci, con altri autori di piccoli Festival culturali, in una baita di montagna della Val Susa, a discutere di come darci una mano per sopravvivere alle misure restrittive dell’allora Governo Berlusconi, che, con la scusa di evitare sprechi, imponeva tagli draconiani ai già esigui finanziamenti destinati alle manifestazioni minori. Si sa che ogni evento, prima di conquistare il pubblico e diventare “grande” ha bisogno di sperimentare la sua missione e misurarsi col consenso. Grandi non si nasce, ma lo si diventa e quelle misure restrittive sembravano sancire (almeno a noi che facevamo i salti mortali per far vivere i nostri Festival) la fine di quella cultura “di nicchia” che avevamo immaginato per anni, nutrendola con i nostri sacrifici, convinti che piccolo fosse bello e via così. Piemontesi, campani, siciliani, friulani e sardi ci ritrovammo seduti attorno ad un grosso tavolo di legno massiccio, reduci da esperienze singolari, alle prese con flussi migratori e programmi di accoglienza ai primi passi, temendo di essere prossimi alla fine prematura delle nostre esperienze, eppur convinti di essere sulla strada giusta.
Fu la lungimiranza di Chiara, organizzatrice del Valsusa Film Festival, a metterci insieme e a spiegarci che non era giusto lasciarci cancellare da una legge infelice, perché potevamo far ricorso a qualcosa di molto importante, la solidarietà nell’impegno culturale, e perciò potevamo lavorare insieme, perché l’unione avrebbe fatto resistenza e, forse, ci avrebbe regalato la salvezza. Chiara ci aveva contattati tutti per telefono, ai quattro angoli d’Italia, e ci aveva convinti che potevamo farcela e quel giorno eravamo finalmente insieme in quella baita, a stringerci la mano e a sentirci, pur estranei, culturalmente solidali. Sono passati più di dieci anni da quel mattino in cui nacque la rete del Caffè Sospeso, ma le nostre convinzioni non sono cambiate di molto e, pur tra tante difficoltà, riemergono ad ogni nuovo ostacolo, ricordandoci che la Cultura è un motore inestinguibile di idee e di soluzioni.
Forse merita qualche parola in più la scelta di quello strano nome che assegnammo alla nostra rete. Ormai sono in tanti a conoscere la storia del Caffè Sospeso perché l’antica usanza del popolo napoletano è diventata un uso comune che torna a far parlare di sé ogni volta che una crisi sociale ed economica, una pandemia o un evento naturale, mette a dura prova la nostra società opulenta, per ricordarci che la povertà è la compagna indissolubile dei modelli di sviluppo che regolano le nostre vite.
Fui proprio io, involontariamente, ad evocare quella mattina la pratica del Caffè Sospeso, per far sorridere i presenti, raccontando la mia prima esperienza napoletana, da ragazzo, in un bar di corso Umberto, quando rimasi incuriosito dalla richiesta di un avventore che, rivolgendosi al barman, chiedeva se ci fosse … un sospeso!?! Istintivamente alzai gli occhi al cielo, oltre il banco del bar, per cercare qualcosa di appeso al soffitto, ma trovai lo sguardo sornione del barman che mi spiegò che a Napoli, da tempo immemore, c’era l’usanza di lasciare un caffè (“sospeso”) come dono per un avventore sconosciuto, pagandolo e andando via, insomma affidandolo alla cura del gestore.
Il Caffè Sospeso era il caffè dei poveri, questo appresi quel giorno, ma era pur sempre un gesto misterioso, unico, come unica era ed è la fantasia del popolo partenopeo. Misterioso è il fruitore finale di quel gesto; ignoto, per lui, sarà il donatore e discrezionale sarà la scelta del barman che deciderà se assegnare o no il dono a chi lo chiede, perché la lista dei caffè disponibili la gestisce solo lui e così via…. In questo piccolo mistero napoletano, Chiara trovò la chiave di volta del concetto della “solidarietà culturale” che ci aveva fatto incontrare quella mattina e volle che la nascitura rete avesse proprio il nome di quella usanza. Decidemmo quindi di scambiare tra noi idee ed opere come doni, per resistere uniti a quel cambio di governo e ancora oggi siamo qui a fare cultura perché evidentemente quella ricetta ha funzionato.
La storia di quell’idea è scivolata via negli anni come la sabbia di una clessidra. Decine di televisioni, giornali e magazine di tutto il mondo ci hanno chiesto interviste per capire quale mistero si nascondesse dietro il gesto del Caffè Sospeso e cosa ci aspettassimo noi, festival solidali, da quel simbolo così strano. Sembrava incomprensibile, a tanti, che sette Festival italiani avessero deciso di darsi reciprocamente una mano per resistere al vento della storia, nel segno della Cultura.
Insomma la solidarietà culturale sembrava un nobile alibi che nascondeva qualche finanziamento speciale in un mercato, quello della cultura, da sempre povero e difficile. Dov’era il segreto, a quale tesoretto aspiravamo? Nel frattempo, mentre noi sette ci aiutavamo scambiandoci idee e film, cresceva il numero dei bar che, in tutto il mondo, aderivano al nostro invito di far conoscere la pratica del Caffè Sospeso e il fenomeno sembrava non avere limiti geografici; dai profughi di Lampedusa sopravvissuti ai flutti del Mediterraneo, dai migranti curdi e palestinesi di Riace, fino ai caffè europei più eleganti di Londra, Torino e Buenos Aires, una semplice lavagnetta spiccava dietro il banco del bar, per mostrare i caffè regalati da anonimi avventori, invitando ad entrare chi non aveva neppure gli spiccioli in tasca. E persino alcune note case editoriali, società di produzioni alimentari, famosi teatri e cinema, organizzazioni umanitarie e noti brand internazionali si impossessarono del concetto della solidarietà silenziosa proponendo “il libro sospeso”, il “biglietto sospeso”, “il gelato sospeso”, “la spesa sospesa” e tanto altro, non sempre con scopi umanitari. Il Caffè Sospeso ha segnato un successo della cultura popolare, non potremmo definirlo diversamente, che ci ha regalato la segreta soddisfazione di avere intuito il bisogno di solidarietà nascosto nelle pieghe di un mondo globalizzato, abbrutito dai consumi, dal danaro e dalla competizione.
E, dulcis in fundo, è stata proprio la pandemia del 2020 a spingerci oltre la solidarietà culturale che inventammo allora e a convincerci che un altro sforzo era necessario, urgente. Stavolta non volevamo aiutare noi stessi, ma andare oltre e pensare a chi, nel mondo, ha davvero bisogno di una solidarietà esplicita, ancora nel settore della cultura. È stata questa la motivazione che ci ha portato a cambiare la missione della rete del Caffè Sospeso e a trasformarla, aprendola ad altri volenterosi, in un circuito di sostegno agli intellettuali perseguitati in patria, per dar loro una sponda, in Italia, al loro lavoro, per la diffusione delle loro opere e per far conoscere le condizioni in cui vivono e rischiano la fine della libertà o, addirittura, della vita.
Registi, poeti, teatranti, letterati, pittori, scienziati, filosofi che continuano a coltivare il loro credo culturale, sfidando la repressione di governi e lobby ideologico-religiose, per professare idee non allineate al pensiero dominante, potranno finalmente contare su una platea di ascolto e diffusione del loro lavoro e sapere di avere un pubblico attento alla loro condizione umana e professionale. La rete del Caffè Sospeso creerà quindi una “platea remota” in grado di seguire gli sviluppi esistenziali di questi intellettuali e costruire un profilo del loro operato a cui potranno accedere studenti, università, istituti di ricerca, associazioni, Ong, istituzioni e media per mantenere vivo il contatto con queste persone, coinvolgerle in eventi pubblici e ospitarli in Italia, appena dovesse presentarsi la opportunità di viaggi ed incontri in presenza.
La rete del Caffè Sospeso ha quindi deciso di strutturarsi in modo da raccogliere adesioni in tutte le regioni italiane e creare dei piccoli gruppi di azione regionali in grado di:
- segnalare casi di intellettuali esposti al rischio di censura e limitazione delle libertà,
- candidare questi intellettuali ad iniziative di incontro in Italia in cui sarà possibile ospitarli e renderli protagonisti di eventi pubblici, con platee di potenziali interessati, anche attraversando più regioni;
- (in alternativa al punto precedente), costruire eventi remoti attraverso la rete, per conoscere il pensiero e le opere di questi intellettuali perseguitati;
- attivare contatti con il mondo culturale italiano, per arricchire il profilo di ognuno di questi ospiti e promuoverne il pensiero e le opere.
In questi mesi sono in corso le operazioni di ristrutturazione della rete e, non appena sarà superata la fase acuta della pandemia, sarà possibile avviare le attività di studio ed accoglienza. La rete del Caffè Sospeso avrà il compito di raccogliere le candidature proposte dalle reti regionali e decidere, attraverso una consultazione aperta ai propri soci, i destinatari dell’ospitalità e le modalità di accoglienza, i programmi di viaggio e gli incontri organizzati, per assicurare attenzione e assistenza agli intellettuali e suddividere i costi del viaggio e dell’ospitalità tra le varie reti regionali che avranno manifestato interesse a ricevere l’ospite. La rete del Caffè Sospeso avrà infine il compito di gestire i sistemi di comunicazione e il database storico in cui memorizzare i percorsi ed i profili degli intellettuali segnalati e tenere i contatti con giornali e circuiti culturali, nazionali e locali, che trattano questi temi.
La solidarietà culturale è quindi ripartita, ha trovato nuove strade del mondo attraverso cui riemergere, tra le tirannie e le persecuzioni della nostra epoca, per affermare i diritti dell’umanità più coraggiosa che non si lascia fermare dalla protervia del potere. Si apre, per la rete del Caffè Sospeso, un orizzonte ideale che può dare al nostro popolo un’immagine diversa, non allineata agli obiettivi delle politiche europee ma più vicina ai principi della nostra Costituzione e alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Umanità e sono già tante e importanti le adesioni che sono pervenute.
L’insegnamento del dono anonimo che ci viene dal Caffè Sospeso è ancora vivo e, come tutti i grandi fenomeni culturali, riesce ad adattarsi alle esigenze di questi anni in cui la solidarietà troppe volte arretra davanti alla diffidenza per i nostri simili che bussano alla porta, maltrattati e perseguitati. C’è bisogno di un buon caffè … sospeso, naturalmente!