È di questi di questi giorni la recensione della nuova edizione di un testo di Rousseau, scritta dalla mano di Stefano Mancuso, studioso noto ormai al grande pubblico per aver riportato all’interesse generale l’intelligenza delle piante, a mezzo secolo dai primi esperimenti fatti negli Stati Uniti sulla sensibilità di questi esseri vegetali tanto studiati quanto misteriosi. Finalmente viene pubblicato da Piano B, con la traduzione di Anna Faro, il primo testo divulgativo per eccellenza sulla botanica Brevi lezioni di botanica di Jean-Jacques Rousseau con le splendide illustrazioni di Pierre-Joseph Redouté il pittore botanico della Malmaison, al servizio di Josephine Beauharnais superlativa collezionista di rose.

“Una dichiarazione d’amore per le piante, in otto lettere, che raccontano un lato poco noto del grande filosofo” dice Mancuso. Jean-Jacques Rousseau, infatti, diventerà a tal punto un fine appassionato di piante e di botanica da confessare all’amico botanico Jean-Antoine d’Ivernois: “sono pazzo della botanica: ed è ogni giorno peggio. Non ho più soltanto paglia nella mia testa, diventerò io stesso una pianta una di queste mattine, sto già mettendo le radici”. Siamo nel 1760 e i trattati di botanica erano per lo più rivolti ad eletti, addetti alla materia scientifica, a medici ed erboristi, quindi poco leggibili al grande pubblico. E qui veniamo all’intuizione poderosa di Rousseau, misogino nella vita come nei suoi scritti1, quanto lungimirante e aperto di vedute nel rivolgersi ad una donna – madame Madeleine-Catherine Delessert - in queste lettere: “A chi dei due, vi prego, accorderò il nome di botanico: a colui che sa snocciolare un nome o una frase dall’aspetto di una pianta, senza conoscere nulla della sua struttura, oppure a chi, conoscendo molto bene tale struttura, ne ignora tuttavia il nome?”.

Se riflettiamo oggi sulla condizione del rapporto delle persone con la natura possiamo affermare che quello che fa la differenza in un Paese, in termini di benessere e di qualità della vita, è la coscienza e la consapevolezza dell’ambiente in cui vivono, e questo lo si sa ormai da molto tempo. Nei Paesi del Centro-Nord Europa, gli appassionati, i dilettanti, i cultori della materia botanica che vivono e sperimentano la natura sono trainanti e incisivi soprattutto sul senso civico e lo stile di vita in generale. Qualsiasi bambino francese o tedesco, olandese è ferrato sui nomi degli uccelli, delle piante selvatiche, delle case per insetti… e quanti club e associazioni di appassionati botanici muovono stuoli di pubblico, con mostre floreali, viaggi per giardini, pubblicano flore locali, manuali del giardiniere. La botanica è una lingua democratica, fa parlare chi proviene da Paesi diversi, culture distanti migliaia di chilometri, e dovrebbe essere messa in pratica.

Il dilettante ha la passione che lo muove, un fuoco che si autoalimenta e contagia chi lo incontra. Personalmente, pur essendo agronoma e appassionata al tempo stesso, ho avuto la fortuna di imparare fin da giovanissima ad intrufolarmi senza sosta in questi vulcanici circoli di appassionati, e solo lì, altro che nelle aule universitarie, ho scoperto un mondo diverso, fatto di odori del bosco, dei petali smaltati dei ranuncoli, di tracce di lepri nei vigneti, profumati agli selvatici, fiori commestibili, giardini incantati dove tutte le piante hanno uguale dignità: dalle selvatiche alle coltivate, dalle ruderali alle eleganti camelie in inaccessibili parchi d’autore. E così che per fortuna chi si occupa di natura veramente e non solo sulla carta, ha l’opportunità di scoprire che la rete immensa di coltivatori custodi, giardinieri appassionati, vivaisti, proprietari e collezionisti, cercatori di piante antiche, finalmente anche in Italia, dà i suoi frutti dopo molti anni di torpore a cui abbiamo assistito, per un trentennio dagli anni ’60 agli anni ’90, quando la botanica per passione era, ahimè, solo di pochi.

Mi sono felicemente goduta un’ultima pubblicazione, la chiamerei guida botanica, che mi riporta alla mente tante altre che mi hanno giornalmente accompagnato nelle erborizzazioni; come sanno i botanici nessun contributo, soprattutto in questo campo, esclude l’altro in quanto ciascuno ha un suo apporto, un suo taglio, quell’informazione in più che tende a chiudere un cerchio che ha sempre spazio per essere perfezionato. L’autrice di questo libro, dal titolo accattivante quanto opportuno, Il prato è in tavola, l’ho conosciuta per altre vie ma con la quale ho avuto modo di scambiare qualche idea sull’immenso universo delle piante commestibili e abbiamo immediatamente condiviso la visione sulla materia.

Dafne Chanaz, solo dieci anni fa, è questo l’incredibile, prende parte ad un corso di erboristeria e quindi sul riconoscimento delle piante selvatiche. Giornalista, cuoca d’eccezione, mossa da una passione fervente ha fatto centro riuscendo a coniugare in un testo corposo ma leggibilissimo per tutti, botanica generale e sistematica, etnobotanica, erboristeria, fitoterapia, culinaria e soprattutto non ha dimenticato la parte più fondamentale per un testo del genere: la rappresentazione grafica e la nomenclatura.

Qui si potrebbe aprire un capitolo molto ampio e difficile trattato da sempre da ricercatori e studiosi della materia tassonomica (metodo di classificazione delle piante) ma che tengo almeno a sottolineare. Carl von Linné (1707-1783), lo scienziato svedese, padre della classificazione binaria del mondo vegetale, cioè in genere e specie, avrebbe apprezzato con grande favore questo volume. La rappresentazione delle piante in un’opera che si occupi del riconoscimento di piante utili, e soprattutto commestibili, deve essere in grado di riportarle nella loro massima e più obiettiva esemplificazione per ciascuna specie trattata. I botanici quando ancora non c’era la possibilità di fotografare le piante, le dovevano obbligatoriamente far raffigurare e al meglio possibile, si dice con “l’occhio botanico”, cioè in tutte le sue parti più utili per poterle riconoscere: i fiori, le foglie, il fusto, i frutti e anche le radici. Si parlava cioè di “lectotipo” cioè un esemplare di erbario (secco) o in mancanza, anche un’immagine figurata, che viene scelta come “tipo” di una specie. In questo caso le fotografie delle 80 specie trattate in ordine alfabetico, dall’Acacia alla Violetta, così amata da John Keats come evocatrice di riserbo e malinconia, sono impeccabili da questo punto di vista, e direi magnifiche esteticamente per la maestria dell’autrice. Nella maggioranza dei casi le riporta in forma eccellente e soprattutto con tutte le parti che rendono inevitabile il riconoscimento.

Come opportunamente afferma Chanaz è indispensabile avere certezza e dimestichezza delle piante che si raccolgono, affidandosi inizialmente a dei maestri, a delle persone esperte locali, allo studio di guide per approdare poi ad universo di possibilità tra le più insospettabili, fino a farne dei piatti sopraffini, delle cure risolutive attraverso i loro infusi. Molte volte in questa rubrica ho stimolato voi lettrici e lettori ad andar per erbe, a deliziarvi tra le innumerevoli primizie che i campi abbandonati ed i giardini dimenticati possono riservarvi, dai bulbi di lampascioni, ai boccioli dei tarassaci per farne insalata, alle punte di asparagi selvatici, alle foglie piccanti della senape e ancora alle infiorescenze tenere del biancospino, ai cinorrodi di rosa canina.

E non dimentichiamoci che questo è il periodo delle vere specialità di campo dove Dafne pazientemente ci conduce, aiutando il lettore delle varie regioni italiane, con i nomi locali delle singole specie, dopo averle rigorosamente decantate nella lingua più bella che possa esserci per le piante, il latino. Quindi abbiamo gli Strigoli (Silene vulgaris) detti anche fischietti, sciopet, battilingua, friscet, verzin matt, erba del cucco e così oltre per ottanta specie in un panorama regionale incredibilmente accurato, frutto di una ricerca assidua e annosa. Per fare delle polpettine birichine, così le chiama Chanaz, con la Silene latifolia, la sorella della precedente che è leggermente più piccola, bastano solo 40 minuti (ci indica il tempo e anche la difficoltà a margine della ricetta), 100 grammi di foglie, una cipolla, della scamorza affumicata un pizzico di sale e uno di macis. Ah, il macis! E qui comincia un’altra storia botanica quella dell’Isola della Noce moscata2… vedete cosa significa appassionarsi alla botanica, una storia di piante tira l’altra, allora ben vengano le opere come quelle di Chanaz che ci farà apprezzare una primavera all’insegna della selvatichezza!

Note

1 Si vedano le opportune e divertentissime affermazioni di una poderosa quanto geniale Mary Woolstonecraft (M. Wollstonecraft, A vindication of the rights of woman, W.W. Norton & Company, New York 1975; tr. it. Sui diritti delle donne, Rizzoli, Milano 2008, pp. 50- 55).
2 G. Milton, L' isola della noce moscata. Come avventurieri, pirati, mercanti di spezie cambiarono la storia del mondo, Rizzoli, Milano 2001.