Il 3 marzo 2021, con indosso una maglietta nera con la scritta "andrà tutto bene", la ballerina diciannovenne Ma Kyal Sin ha partecipato a una manifestazione pacifica a favore della democrazia a Mandalay. La ragazza è stata uccisa da un cecchino militare.
È il potente simbolo dei giovani che combattono e muoiono per ripristinare la democrazia in Myanmar.
Invito Malala Yousafzai e Greta Thunberg a sollevarsi e a mobilitare i giovani del mondo per Ma Kyal Sin, per il popolo del Myanmar.
I militari del Myanmar ritengono di essere gli unici garanti dell'integrità territoriale del Paese. In verità si tratta di un vasto conglomerato armato fino ai denti, noto per saccheggi, stupri e massacri di civili, una leadership militare criminale e incredibilmente incompetente troppo dedita ad attività apertamente illegali per avere il tempo di sviluppare effettivamente una forza professionale di soldati disciplinati, essere l'unica in grado di far ripartire l'economia e migliorare la vita del popolo impoverito.
Durante i decenni di finto socialismo militare, i teppisti militari sono riusciti a trasformare uno dei più grandi produttori di riso al mondo nel Paese più povero del Sud-Est asiatico, mentre Thailandia, Malesia, Cambogia, Laos, Vietnam e Filippine hanno registrato miglioramenti considerevoli.
Le minacce all'integrità territoriale del Myanmar non provengono dall'esterno dei suoi confini, anche se la sua posizione strategica e le vaste risorse sono una calamita per le potenze regionali. A parte la Seconda guerra mondiale, le guerre principali che hanno coinvolto le forze birmane e quelle del Regno del Siam e della Cina sono vecchie di secoli e risalgono agli anni Settanta del Settecento.
Le uniche guerre che i militari del Myanmar abbiano mai combattuto dall'indipendenza dagli inglesi nel 1948 furono contro il loro stesso popolo, compresi i numerosi insorti armati delle nazionalità emarginate. Questi, a un certo punto hanno raggiunto il numero di 100.000, senza mai essere un gruppo coeso. Alcuni cercavano la devoluzione politica ed economica, mentre altri erano e sono impegnati senza scrupoli in attività illecite per fare soldi, saccheggiando anche il proprio Paese. Hanno però tutti come nemico comune l'esercito che li ha governati fin dall'indipendenza, fallendo enormemente l’unificazione del mosaico etnico che è il Myanmar.
I teppisti che da generazioni guidano il Tatmadaw (il nome ufficiale dell'esercito) sono gli unici da incolpare per lo stato miserabile del Paese. Unici governanti per 60 anni non hanno mai riconosciuto o favorito lo sviluppo di popolazioni così incredibilmente diverse. Si sono invece costituiti come la classe dominante che saccheggia la vasta ricchezza del loro Paese, le mani in ogni torta, la loro avidità sfrenata, le loro vaste fortune nascoste al sicuro o al riparo nelle banche regionali.
Il loro bottino era/è sempre ben protetto da coloro che professano la non interferenza reciproca negli "affari interni", come se il furto, l'omicidio, le uccisioni di massa, lo stupro e l'incendio di interi villaggi fossero il privilegio sovrano di uno Stato.
Qualche tempo fa, nel luglio 1994, ho risalito il fiume Moel con una canoa di legno e sono sbarcato in un importante campo Karen a Mannerplaw, in Birmania. La nazionalità etnica Karen, per lo più cristiana, e combattente contro l'esercito per decenni, aveva un fermo controllo su ciò che costituiva lo Stato Karen al confine con la Thailandia.
Nel 1990 con alcuni amici abbiamo fondato a Sydney il Diplomacy Training Program e lo abbiamo associato alla Facoltà di Legge dell’Università del Nuovo Galles del Sud, a Sidney, in Australia, dov’è ancora attiva dopo quasi 30 anni, fornendo corsi intensivi innovativi e pratici sui diritti umani internazionali, sul sistema delle Nazioni Unite, sul patrocinio e sul lobbismo, sui media, ecc. Quel luglio 1994, io e alcuni colleghi abbiamo intrapreso questo viaggio pericoloso per tenere un seminario di due settimane sui diritti umani e la diplomazia per gli attivisti birmani a favore della democrazia rifugiati nel territorio di Karen, liberi dall’esercito.
Essendo nella giungla birmana infestata dalle zanzare, mi sono chiesto se fosse onesto impartire lezioni sui trattati sui diritti umani, sul funzionamento del sistema delle Nazioni Unite e della diplomazia internazionale a persone bloccate nella giungla. Qual e il punto? Quanto sarebbero stati utili per loro questi trattati internazionali sui diritti umani?
In quel periodo ero stato fuori dal mio Paese, Timor orientale, per un bel po’ di tempo sono vissuto negli Stati Uniti, in Australia e in Europa, quindi non ero più abituato alle malattie tropicali; ma quello che la malaria può fare a una persona era ancora molto fresco nella mia memoria. Avevo l'indispensabile zanzariera e di notte, mentre mi ritiravo nella mia stanza, bruciavo diverse spirali antizanzara cinesi riempiendo la stanza di fumo tossico. Ho lasciato le giungle del Myanmar evitando con successo un attacco letale di malaria cerebrale.
Proseguo veloce fino al 2002. Contro ogni previsione Timor Est, ora Timor Leste, era libero, la prima nuova democrazia del millennio. Subito dopo, in qualità di ministro degli Esteri del mio Paese, ho visitato il Myanmar per firmare l'istituzione di relazioni diplomatiche tra i nostri due Paesi.
Non lontano dal mio hotel c'era Aung San Suu Kyi, confinata nella vecchia casa dei suoi genitori. Suo padre, Aung San, chiamato il padre della nazione, che aveva fondato le forze armate del Myanmar, fu assassinato nel 1947 insieme alla maggior parte dei membri del suo gabinetto di fiducia solo pochi mesi prima dell'indipendenza. Dei suoi tre figli, una, Aung San Suu Kyi, è stata allevata da sua madre, Maha Thiri Thudhamma Khin Kyi, una diplomatica.
Alcuni anni prima di quel viaggio, a Bergen, in Norvegia, incontrai il marito britannico di Aung San Suu Kyi, Michael Vaillancourt Aris, docente di storia e cultura bhutanese, tibetana e himalayana. Purtroppo, non molto tempo dopo, nel 1999 mi recai a Oxford, questa volta per assistere alla cremazione di Aris. Suu Kyi scelse di non recarsi nel Regno Unito per stare con il marito morente durante la sua prolungata malattia e per il funerale poiché i militari si rifiutarono di assicurarle che le sarebbe stato consentito di tornare a casa. I militari maschilisti avevano davvero paura di questa elegante e minuta donna birmana; sapevano che era una potente portavoce magnetica ed eloquente per le vaste masse del popolo.
Nonostante la demonizzazione di questa donna da parte delle pie élite conservatrici e liberali occidentali per le sue giustificazioni della selvaggia repressione dei militari contro i Rohingya, la popolarità di Suu Kyi è rimasta alle stelle tra la sua gente.
Ero letteralmente il solo ad avvertire la comunità internazionale, compreso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, a far comprendere la precarietà della carica di Suu Kyi, senza alcuna voce e autorità in materia di difesa e sicurezza, ogni sua mossa seguita dai leader dell'esercito.
Ma sfidò lo stesso i militari. Sebbene consapevole del forte rifiuto dei vertici dell'esercito al controllo internazionale delle loro azioni, Suu Kyi invitò il precedente Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ad assisterla a risolvere la crisi sociale, economica e politica vecchia di decenni dello Stato di Rakhine. Su sua sollecitazione, nel 2016 venne istituita la Commissione consultiva sullo Stato di Rakhine, presieduta da Kofi Annan e composta da sei personalità di spicco, tre internazionali e tre nazionali. Dopo un anno di consultazioni tenute in tutto lo Stato di Rakhine e in altre parti del Paese e della regione, la commissione consultiva presentò la sua relazione finale alle autorità nazionali il 23 agosto 2017. Quel mese ho visitato il Myanmar e ho incontrato Suu Kyi poiché Kofi Annan avrebbe dovuto consegnarle il suo rapporto. Lo ricevette e si impegnò a dare piena attuazione alle sue raccomandazioni.
Anche allora, nonostante la sua audacia nell'invitare una missione internazionale ad alta visibilità per indagare negli "affari interni" del Myanmar, i suoi critici esterni in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia non si sono arresi. Fu durante questo periodo che dissi ripetutamente che non era saggio demonizzare Aung San Suu Kyi. Ho detto specificamente, i militari sono i colpevoli – la vostra ira e le vostre azioni dovrebbero concentrarsi su di loro.
I capi militari, ovviamente, erano fin troppo contenti di vedere calpestato il loro nemico numero uno. Calcolavano che di conseguenza il suo status nazionale sarebbe stato intaccato. Ma le elezioni del novembre 2020 hanno regalato una vittoria schiacciante ancora più grande per Suu Kyi e la sua Lega nazionale per la democrazia. Il capo di Tatmadaw, il generale Min Aung Hlaing, e i suoi accoliti furono scioccati. Avevano paura che una Suu Kyi rincuorata usasse il suo controllo quasi completo del parlamento e il sostegno popolare per avviare riforme serie su tutta la linea, eliminando gradualmente il coinvolgimento dell'esercito negli affari, riformando e professionalizzando le forze armate.
I leader militari avevano scommesso sulla vittoria di Donald Trump per un secondo mandato. L'elezione di Joe Biden significava che i militari dovevano muoversi ora e muoversi rapidamente, mentre la nuova amministrazione americana era troppo preoccupata per la transizione, il Covid-19 e vaccini e altre questioni urgenti.
Ma questa volta, i militari si trovano ad affrontare una nazione che ha goduto di cinque anni di libertà e miglioramenti nelle loro vite, e una cittadinanza che non ha dimenticato lo status di paria del Myanmar del recente passato. Sono determinati a continuare a combattere. E combatteranno.
Finora la comunità internazionale ha deluso il popolo del Myanmar. La tanto propagandata "centralità" dell'ASEAN suona vuota e la sua risposta in sordina al colpo di stato rischia di renderla irrilevante.
Gli Stati Uniti hanno ragione ad agire con fermezza e tempestività, condannando il colpo di stato, chiedendo il rilascio immediato di Aung Suu Kyi e di tutti i leader eletti, e un ritorno alla democrazia. Le sue sanzioni imposte sono ben mirate.
Ma è necessario fare di più. L'ONU non deve riconoscere gli usurpatori del potere. I Paesi in tutto il mondo che ospitano le ambasciate del Myanmar devono continuare a riconoscere gli inviati accreditati dal governo legittimo. Deve essere istituito un fondo speciale gestito dall'ONU per finanziare le ambasciate del Myanmar fedeli al governo legittimo. Gli ambasciatori e tutto il personale che presta fedeltà ai militari devono vedersi revocare il visto ed essere espulsi.
Ovviamente Cina e Russia porrebbero il veto a qualsiasi tentativo di far sì che un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite imponga sanzioni contro i militari del Myanmar. Quindi gli Stati Uniti e l'UE dovrebbero coordinare l'azione con gli altri Paesi del G7 e del G20, nonché con le istituzioni finanziarie multilaterali e regionali, per imporre sanzioni a livello mondiale contro specifici personaggi militari, i loro interessi e le loro famiglie. I mandati di arresto dell'INTERPOL dovrebbero essere presi in considerazione nei confronti dei militari del Myanmar e dei loro complici civili. Le istituzioni finanziarie devono congelare tutte le transazioni con le banche e le società del Myanmar.
Gli Stati Uniti, l'UE, il Canada, il Giappone, la Corea e l'Australia dovrebbero aumentare il sostegno agli studenti del Myanmar per studiare all'estero e accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati. Devono essere stanziati fondi speciali per la società civile e le organizzazioni pro-democrazia in Myanmar e all'estero.
Ma Kyal Sin, una manifestante di 19 anni che è stata colpita al collo e uccisa mentre indossava una maglietta che diceva "andrà tutto bene", è il volto dei cittadini del Myanmar determinati a mantenere la democrazia e la libertà. Non dobbiamo deluderli.