Forse piove. Quindi non esco. Sono giornate sempre più difficili, queste.
Sono giornate sconclusionate, accompagnate da un'angoscia sottile e continua che m'impedisce di "fare alcunché di nulla".
In questi giorni il disagio del vivere condizionato anche dalle regole della pandemia - le osservo scrupolosamente anche se mi sembra sempre di commettere errori - ha preso la forma dell'angoscia. Non ci capisco più niente. Dall'esterno non ricevo nessuna sicurezza. Ho compreso che per ora devo cavarmela da sola. Qui la gente va di fretta - gomitate nei fianchi. E intanto, solo in Italia i contagiati sono migliaia e ogni giorno muoiono centinaia di persone.
Pare si fermino "Le Primule", costruzioni volute dall'instancabile commissario Arcuri che dopo aver risolto il contagio nelle scuole con i banchi a rotelle, aveva iniziato a far costruire le primule per risolvere, questa volta, il problema delle vaccinazioni, peccato che scarseggino i vaccini. E se noi, nel nostro microcosmo non riusciamo ad eseguire semplici azioni di protezione, nel macrocosmo - il nostro pianeta - ogni Stato e in Italia, ogni regione, pensa per sé senza comprendere che una pandemia mondiale si risolve con un grande impegno collettivo; di tutti, ma proprio di tutti. Nessuno escluso. Stiamo assistendo ad una operazione tra le più immorali della nostra storia, dove i soliti pochi si arricchiscono in maniera smisurata -alcune case farmaceutiche tengono riservati i vaccini a scapito di vite umane.
Queste sono le cose che accadono e non le dimentico. Mi porto addosso gli umori di tutto ciò che ho assorbito e mentre scrivo si moltiplicano.
In realtà, ancora una volta, procediamo a tentoni in reciproche cecità. Invece desidero vedere, parlare, ascoltare, riconoscere.
Non piove più quindi potevo uscire in bicicletta per andare a "Natura Sì", ma è troppo tardi. Vado in terrazzo e in strada vedo gente che va e torna dal mercato. Tutti a testa bassa con mascherina. Il mercato è proprio qui vicino. Sì, potrei andare. Non so cosa fare non perché non abbia nulla da fare, ma per quel tanto che dovrei fare e dire e scrivere.
Invece dentro di me il vuoto profondo della paura, della solitudine, dell'isolamento, della separazione. Forse sono solo meteoropatica, ma anche oggi, il clima, che non prende una decisione, mi scombina.
In questo luogo e in questo tempo maledetto dove tutto gira all'incontrario, dove il passato è l'altra faccia del presente e l'improbabile futuro è assente, ritorno all'Angelus Novus di Paul Klee. L'Angelo nel presente vede una sola catastrofe e "vorrebbe intrattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto" e come lui ho girato lo sguardo e mi rivolgo al passato cercando, nella mia vita, l'origine della scrittura, dato che ora mi ri-conosco solo in lei.
La trovo in una parte del mio saggio Per necessità il caso.
Alcuni giorni fa - un mese, ormai due? - un'amica mi ha portato in studio grandi fogli bianchi fotocopiati solo in una facciata. La perfezione, nel mio caso, coincide con il nero. Quando vedo un foglio bianco provo quindi il desiderio irrefrenabile di condurlo alla mia perfezione contaminandolo con i piccoli segni di una bic a punta fine. Con l'apparizione dei fogli e con il mio desiderio di contaminazione è scattata la scintilla della scrittura. In questi giorni scriverei sempre, se non fossi quella che sono mi organizzerei, porterei con me, ovunque, una penna e un piccolo quaderno per annotare il fiume di pensieri che scorre nella mia mente. Ma sarei un'altra; annoterei altri pensieri. E dato che sono quella che sono mi devo accontentare di decifrare una piccolissima parte di quei segnali telegrafici, che la mia mente emette in continuazione e trasferirli su fogli fotocopiati in una sola facciata. Tutto questo per il semplice piacere di condurre la perfezione della facciata bianca alla mia perfezione che è appunto - inesorabilmente - il nero.
D'altra parte - i pensieri che scorrono nella mia mente - sono come un fiume che segue il suo percorso indifferente alla circostanza di essere stato individuato e segnalato all'esterno per via di protesi - mano, penna - che non permetteranno mai l'esatta coincidenza di sé. E se anche all'esterno ci fosse - coincidenza di sé al pensiero non interesserebbe. I segnali telegrafici che emette la nostra mente scorrono liberamente, il desiderio di esternarli fa parte di un'altra serie di segnali. Dopo questa consistente fuga ritorno alla ricerca dell'origine del sottile piacere che mi procura, in questo momento la scrittura. Inoltre, devo avviarmi verso una momentanea conclusione, perché so che la mia passione per la scrittura durerà fino all'ultimo foglio di quello che era e che ora non è più un pacco consistente di fotocopie, perché i fogli bianchi stanno per finire e già l'altra da me riemerge con forza per riappropriarsi di materiali impropri da manomettere.
L'oscillazione del mio desiderio tra la scrittura nella facciata bianca delle fotocopie e la manipolazione con pigmenti colorati di cartone, acetato, vetroresina e chissà in avvenire di quale altro materiale, continuerà senza esaurimento per il semplice motivo che ogni tanto mi capita di entrare in cartoleria, magari per comperare una gomma e ne esco con pacchi voluminosi e non contengono gomme. Oppure mi capiterà di andare da un falegname per farmi fare un tavolo da lavoro - ne ho bisogno - e uscirò con misteriosi pezzi di legno. Vado dal fabbro per le strutture degli scudi e già sono uscita con pezzi di ferro arrugginito. Tra poco andrò in vacanza a Rovigno e raccoglierò nei fondali dalle acque trasparenti, grandi e piccoli sassi simili alle tavole delle sacre scritture. E così accadrà per tutti quei materiali che interessano e interesseranno quell'essere assai complicato e imprevedibile che è l'altra da me.
Per quanto riguarda la scrittura, è vero, sto finendo questa serie di fotocopie e simultaneamente sto esaurendo anche quel che avevo da dire, ma coltivo una grande passione per le fotocopie. Nel mio studio ne ho una raccolta di tutti i tipi, grandi, piccole, sacre e profane, utili e superflue, in ordine sparso o ben nascoste; ma da qualche parte sono.
Il ciclo continuo fra scrittura e manipolazione di materiali impropri non ha regole. Non prevedo e non mi organizzo; mi lascio andare semplicemente alla parola scritta e al cartone o ad altro, tanto faccio sempre la stessa cosa. Nulla. Mi abbandono al nulla del desiderio, in questo caso, al mio desiderio di nera perfezione. Non è questa la ragione dei "Sette Intoccabili" e dei piccoli segni neri che sto tracciando in questo foglio bianco?
Tra i due momenti non c'è separatezza, sono "come un fiume nell'altro, ... un'acqua nuova che prima non c'era. Con-fluenza.
(In: Arte Immateriale, Arte Vivente, Biblioteca Universitaria, Edizioni Essegi, 1994)
Oggi è il 15 febbraio. Piove. Da tempo ho sostituito i pacchi di carta con un piccolo iPad che porto sempre con me. Forse non so più scrivere con quella calligrafia così personale, però in studio continuano a volare fogli di carta fotocopiata solo in una facciata.