La visione del mondo del terzo millennio ambisce a costruire un modello sistemico-complesso, un modello capace di studiare i fenomeni nella loro totalità. Infatti, il termine “complessità” corrisponde al participio passato del verbo latino complector che sottolinea la necessità di descrivere la realtà come determinata da un gioco sottile di interconnessioni che impediscono di studiarla in un’ottica frammentante la sua unità. Un modello, dunque, capace di integrare il senso dell’Io e del rapporto con gli altri, con il più vasto mondo della Natura e delle creature del pianeta, recuperando il senso dell’universo e la dimensione sacra della Vita. In questa prospettiva, le eterne domande dell’uomo sul perché siamo nati, quale sia il significato della vita e della morte, il perché del dolore o piacere, e come ci collochiamo nell’ambito del progetto della vita, diventano oggi le domande collettive più formulate. Quando l’attesa di tale visione coerente ci sfugge, il senso di noi stessi e del mondo si disgrega, lasciandoci soggettivamente vuoti dinnanzi al grande mistero della vita. Al contrario, una visione del mondo che cerchi di riunire tutti i livelli, il personale, il sociale, il collettivo e lo spirituale in un modello il più possibile coerente, costituisce per l’individuo una necessaria ricerca di ordine, che va a riattivare gli archetipi universali e il loro divenire individuale.
In questa prospettiva, l’ecobiopsicologia, è una nuova disciplina che si inserisce nel panorama delle scienze della complessità, mettendo in relazione oikos, la dimora ambientale dell’uomo, bios, la storia biologica del corpo dell’uomo e psiché, la dimensione più vasta della mente umana sino al suo massimo sviluppo dettato dall’autocoscienza, rappresentando la nuova prospettiva spirituale, individuale e collettiva di relazione dell’uomo con il Tutto. Pertanto, studiando le relazioni e non i singoli nodi – natura, corpo, psiche – che compongo questa rete, si perviene a creare un anello di congiunzione fra le scienze moderne, che affrontano l’organizzazione della materia in sistemi sempre più complessi, e la psiche con i suoi territori ancora ignoti costituiti dall’inconscio personale e collettivo. Per conoscere meglio le tappe che hanno scandito le fasi iniziali di codifica di questo modello, incontriamo il Dr. Diego Frigoli - fondatore del pensiero ecobiopsicologico, Psichiatra, Psicoterapeuta e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Istituto ANEB.
Dottor Frigoli come è nata l’ANEB (Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia)?
L’ANEB fu fondata nel 1985 e si codificò nel 1987 con un convegno in occasione della pubblicazione del libro Il codice psicosomatico del vivente e, prima di concretizzarsi in Associazione, il pensiero ecobiopsicologico si strutturò in me anche in virtù di un percorso personale e professionale che non esiterei a definire sincronico.
Può raccontarci per sommi capì gli eventi fondanti di questo processo?
L’inizio della mia professione medica e psichiatrica mi portò ad occuparmi della anoressia nervosa che negli anni 1968-69 era poco conosciuta nel nostro Paese. Il reparto in cui lavoravo si caratterizzava per un approccio pionieristico psicodinamico, e proprio per il fatto di essere guidato da psicoanalisti di formazione freudiana, fu deciso ad un certo punto di valutare le modificazioni psicologiche che avvenivano nelle pazienti che recuperavano peso corporeo, dando così origine ad una terapia psicosomatica. Precedentemente avevo prestato il servizio militare come ufficiale medico all’Aeronautica e mi ero accorto di strani fenomeni che riguardavano la relazione che esisteva fra l’aereo militare pilotato e l’immagine corporea e mentale dei piloti stessi.
Cosa intende dire?
Mi ero reso conto che nei corsi di addestramento simulato, era stato segnalato che i piloti che facevano cadere l’aereo, erano quelli che non erano riusciti ad integrare l’aereo nel proprio schema corporeo e nell’immagine mentale. Questo mi portò a studiare i lavori di Schilder in merito al rapporto fra schema corporeo e la relativa immagine mentale. Intuizioni in seguito confermate dal lavoro con i pazienti psicotici o schizofrenici, dove mi ero accorto della evidente scissione in atto fra corpo e mente come descritto nella letteratura psichiatrica.
È il tema della frammentazione dell’Io.
Sì, ma in quei tempi quasi nessuno si occupava della frammentazione dell’Io corporeo in relazione agli aspetti psichici dello stesso. In ogni caso, l’evento sincronico significativo fu il riconoscimento di una borsa di studio in Cina per conoscere l’agopuntura applicata alle malattie mentali. Lì venni a contatto con tutto un simbolismo che non conoscevo.
Lo dice come se si trattasse di una rivoluzione copernicana.
Peggio! Fui sconcertato dall’approccio cinese al concetto di malattia che non aveva accesso alla conoscenza del concetto di inconscio così come la tradizione freudiana lo descriveva. La dimensione del simbolo imperante nella cultura cinese, mi portò ad avvicinarmi progressivamente al simbolismo e quindi a C.G. Jung. In seguito, per esplorare maggiormente le concordanze fra il pensiero cinese e quello junghiano, mi diplomai in agopuntura tradizionale cinese. In tale contesto incontrai una nota sinologa, la professoressa Giancarla Sandri, la quale stava studiando l’etimologia degli ideogrammi cinesi in modo tale da poter risalire ai pittogrammi corrispondenti, al fine di scrivere il primo vocabolario etimologico ideogrammatico-inglese e, nel contempo, mi occupavo di ritrovare gli aspetti corrispondenti somatici, cercando le affinità fra l’ideogramma, il pittogramma corrispondente e l’area corporea coinvolta.
Può fare un esempio?
Certamente. In agopuntura, l’ideogramma del punto 19 di “Vaso Governatore” si chiama “porta di giada”. La giada è una pietra sacra nel taoismo in quanto è un simbolo che esprime la trascendenza; nell’Occidente essa è anche il lapis philosophorum degli alchimisti ed inoltre, quel punto in agopuntura corrisponde alla tonsura sacerdotale propria del mondo cristiano e, dal punto di vista anatomico, alla sede dell’epifisi che sul piano della esperienza fisiologica riguarda il tema della “luce” attraverso la secrezione della melatonina e sul piano dell’esperienza spirituale corrisponde alla sede in cui è descritto il fenomeno dell’illuminazione.
In quel periodo scrisse alcuni libri fondamentali.
Sì, il primo fu Verso la concezione di un Sé psicosomatico e nel 1984 il testo di base Le metamorfosi della coscienza in cui dovetti costruire tutto l’assetto teorico riguardante il modo di operare dell’archetipo…
Il concetto di archetipo è difficile, quasi inconoscibile.
Soprattutto se lo leghi al rapporto con il corpo, inteso come simbolo archetipico. Non ti nascondo che si trattò di un libro che lasciai dentro ad un cassetto per un po’ di tempo e che tirai fuori dopo le mie dimissioni da ricercatore universitario.
Il termine archetipo è stato utilizzato nella filosofia tardo-ellenica per indicare il modello originario delle forme di cui le cose sensibili non sono che copie. Questo concetto ha trovato un utilizzo moderno nella psicologia analitica junghiana, sotto forma di rappresentazioni archetipiche collocate nella dimensione più vasta dell’inconscio collettivo. Carl Gustav Jung li definisce come forme a priori che organizzano l’esperienza, veri e propri “ordinatori di rappresentazioni” e “modelli di comportamenti innati”; ad esempio, “il pulcino non ha imparato il modo in cui uscirà dall’uovo; esso lo possiede a priori”. Sono dunque possibilità ereditarie di rappresentazioni formatesi via via in base alle esperienze accumulate nella ascendenza genealogica, che si incrociano nell’esistenza soggettiva con il contenuto che l’individuo ricava a posteriori dal proprio ambiente. Conoscere questi modelli significa conoscere le basi fondamentali del comportamento umano e della psiche.
L’ecobiopsicologia rintraccia l’archetipo nel corpo attraverso il concetto di “funzione d’organo”, analoga nel corpo e nella formazione degli organi alla componente archetipica “organizzatrice” di rappresentazioni che Jung riscontra nella psiche e che l’ecobiopsicologia ritrova nella filogenesi del corpo. Nella materia vi sono funzioni archetipiche che, nell’evoluzione filogenetica, hanno assunto varie forme dai primi batteri fino al corpo dell’uomo. Riappropriarsi della coscienza di queste forme significa entrare in rapporto con il linguaggio della Vita, cosa che permetterebbe una miglior comprensione della patologia nei processi di somatizzazione. In questo modo potrebbe essere possibile recuperare la mappa psicosomatica più adeguata della coerenza fra gli aspetti psichici e i corrispondenti corporei al fine di poter rispondere alla questione del perché un individuo somatizza in un determinato organo e non in un altro.
Si intuisce dalle sue parole che fu un periodo sofferto…
…ed anche travagliato, mi accaddero proprio in quel tempo alcune esperienze oniriche importanti ovvero sogni lucidi ed espressivi che mi spaventarono per la loro pregnanza, ma riuscirono ad orientarmi permettendomi di verificare nella realtà quanto si andava delineando nel mio immaginario. Infatti, nel momento in cui riusciamo a permettere al nostro immaginario di andare oltre i modelli proposti dalla psicologia dell’Io, è possibile esplorare concretamente il linguaggio del daimon, della guida spirituale che ciascuno di noi riceve come compagno al momento della nascita. Come ho avuto modo di narrare nel mio ultimo libro I sogni dell’anima e i miti del corpo, corpo e anima non rappresentano le disiecta membra studiate dalla scienza, ma in-formandosi reciprocamente in modo coerente evocano la trasformazione della coscienza personale nella direzione del Sé archetipico.
A quei tempi ero consigliere comunale in un paese dell’hinterland milanese riuscendo a coniugare politica e professionalità nel contribuire a far nascere il primo ambulatorio, sovvenzionato dal Comune e non dalla Regione, che si occupava di prevenzione sanitaria nel campo delle tossicodipendenze.
Nello stesso periodo, iniziai ad occuparmi di alchimia; questo mi portò ad approfondire il pensiero di Jung e scoprii, nel confronto con i testi originali alchemici, che lo psicoanalista svizzero quando scrive i suoi commenti sulla psicologia e l’alchimia, si esprime attraverso due differenti modalità: la prima più esplicita in cui esplora la relazione che esiste fra la psiche e le leggi alchemiche e la seconda più nascosta e significativa che può essere rintracciata nelle note a fondo pagina. È lì che egli afferma veramente quello che intende dire, perché non poteva, per ovvi motivi legati al periodo storico di nascita della psicologia analitica, esprimere chiaramente il significato dei processi alchimici.
Nel frattempo – siamo negli anni 1984/87 – mi venne chiesto di tenere delle lezioni e delle supervisioni nell’ambito dei corsi di medicina psicosomatica; durante questi incontri mi resi conto delle esigenze degli studenti in formazione che mi domandavano di svolgere seminari mirati sul tema del simbolo e dell’analogia, concetti ancora “spinosi” per gli addetti ai lavori (psicologi, psicoterapeuti e medici).
A questo punto l’ANEB, che sino a quel periodo aveva prodotto articoli scientifici presentati nei convegni nazionali ed internazionali, uscì dall’ambito teorico attraverso una serie di seminari divulgativi e corsi per specialisti, dapprima triennali, poi quadriennali, fino a diventare oggigiorno un percorso di formazione permanente (Master in Psicosomatica accreditato ECM). Giungendo anche alla costituzione della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Istituto ANEB di Milano riconosciuto dal MIUR e certificato Scuola di Eccellenza dal CNSP (Comitato Nazionale Scuole di Psicoterapia) grazie alla qualità nell’ambito del proprio orientamento psicosomatico psicoanalitico.
Nella sua opera di divulgazione, una delle capacità che instancabilmente ci ha trasmesso e che ci invita a coltivare è quella di collegare materie apparentemente distanti fra loro quali la fisica, la letteratura, la biologia, l’economia, la psicologia e così via.
Quello che dici è vero, la mente è come una sorta di equilibrio che fluisce e che formalmente può essere rappresentato da un poligono: tanti più lati ha la mente, tanti più aspetti analogici l’individuo è in grado di cogliere; ad esempio, per passare da una dimensione simbolicamente “pentagonale” ad una di aspetto “esagonale”, occorre che il pentagono spezzi i lati del perimetro del poligono per aprirsi ad una prospettiva più amplificata. Tale amplificazione della coscienza implica una apertura verso il Sé e verso le sue intuizioni impreviste, ma contemporaneamente occorre accogliere la crisi della trasformazione.
E poi ci sono le resistenze ad entrare in questa logica.
Sì, ed è giusto che sia così. Bisogna rispettare i tempi dell’Io, poi ognuno troverà la sua strada, ad esempio cosa risponderesti se ti chiedessi “perché gli antichi Egizi non hanno mai dato il Ka ad un animale?”
Bibliografia
Frigoli D. (2013). La fisica dell’anima. Riflessioni ecobiopsicologiche in psicoterapia. Bologna: Paolo Emilio Persiani.
Frigoli D. (2016). Il linguaggio dell’anima. Fondamenti di ecobiopsicologia. Roma: Edizioni Magi.
Frigoli D. (2017). L’alchimia dell’anima. Dalla saggezza del corpo alla luce della coscienza. Roma: Edizioni Magi.
Frigoli D. (2019). I sogni dell’anima e i miti del corpo. Roma: Edizioni Magi.