Il nostro Paese è indubbiamente un concentrato di storia millenaria, basta avere un minimo di curiosità e di amore del bello per accorgersene. Monumenti, piccoli borghi medievali, castelli, ville rinascimentali, ci parlano di una grandezza che molte volte, purtroppo, riecheggia solo nella memoria storica.
In un mondo dove tutto orbita intorno al profitto è estremamente difficile prendersi cura di luoghi, esempi unici dell’ingegno dell’uomo, che hanno perso la loro redditività.
Molti sono i casi che potrei citare, uno su tutti, a mio avviso, rappresenta quanto l’avidità e la ricerca di utili collochino nella dimensione dell’oblio perle di rara bellezza: il Castello di Sammezzano.
Molti ne hanno sentito parlare o hanno visto le innumerevoli, bellissime foto che girano in rete. Pochi ne conoscono la storia e i personaggi che l’hanno reso unico e raro.
Le sue origini si perdono nell’alto medioevo, nacque come fortezza romana su una collina che domina il Valdarno. Secondo lo storico Robert Davidsohn, nel 780 d.C. potrebbe aver ospitato addirittura Carlo Magno di ritorno da Roma.
La tenuta dove sorge oggi il castello appartenne a nobili famiglie fiorentine fino al 1596 quando la famiglia Ximenes d’Aragona, proveniente dalla Castiglia, lo acquista da Jacopo de’ Medici. Furono loro a costruire il castello, così come lo vediamo oggi, nei primi anni del 1600. Ma la figura che ha reso il castello unico nel suo genere è il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona che ereditò le proprietà della famiglia nel 1827. Ferdinando è un uomo dai molteplici interessi, amante delle arti, mecenate, collezionista e con un amore particolare per l’architettura. Suo l’amore per la botanica che sfocerà nella realizzazione del meraviglioso parco intorno al castello che contava, nel suo massimo splendore, 134 specie diverse. Fra tutte ricordiamo le 57 sequoie giganti che rappresentano a tutt’oggi il gruppo più numeroso in Italia di questi magnifici alberi.
Il marchese partecipa attivamente alla vita politica del paese, sia a livello locale come consigliere nel comune di Firenze, sia al governo centrale come deputato del Regno tra il 1865 e il 1867. Presto però si disinnamora e, da uomo fermo nei propri principi, rassegna le dimissioni. Sarà profondamente deluso anche dalle manovre intorno all’unità d’Italia tanto che farà scrivere in una nicchia del castello una frase latina: "Pudet dicere sed verum est publicani scorta-latrones et proxenetae italiam capiunt vorantque nec de hoc doleo sed quia mala-omnia nos meruisse censeo" (“Mi vergogno a dirlo, ma è vero, l’Italia è in mano a ladri, meretrici e sensali, ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato”).
Come ho anticipato, Ferdinando ha una passione, l’architettura, e un’idea: l’arte occidentale deriva da quella orientale. Forte di questa sua convinzione e contro tutti, decide di ristrutturare il castello rappresentando e fondendo tutti gli stili orientali, dalla Siria, all’India, passando per lo stile moresco. Anche se non ha mai lasciato i confini della nazione, il marchese ha ben chiaro il da farsi e assolda artigiani locali per realizzare il suo progetto: un castello di 65 stanze piene di richiami a civiltà lontane. Rende fruibile a tutti un altrove pieno di fascino, un’opera sì architettonica ma anche culturale, l’unione tra mondi diversi. Tra le stanze più rappresentative troviamo la Sala Bianca inspirata all’Alhambra di Granada, la Sala dei Pavoni in puro stile indiano Moghul, la Sala dei Gigli, la Sala degli Amanti.
In ogni angolo del castello il Marchese fa inserire scritte greche, latine, simboli massonici e messaggi testimoni di vita, una fra tutte: “Todos contra nos. Nos contra todos” ci dà l’esatta misura del suo carattere ostinato.
Morto il marchese, Sammezzano si avvia ad un lento declino. Nel dopoguerra viene convertito in albergo di lusso con 17 camere, i grandi saloni ad accogliere cerimonie e sfarzosi matrimoni. Per aumentare la ricettività viene dato incarico all’architetto Spadolini di progettare una costruzione a lato del castello, costruzione mai terminata per il fallimento della società e che oggi appare come uno scheletro di cemento armato, mostro grigio a deturpare la bellezza del luogo.
Il destino del castello è inesorabilmente segnato dal passaggio di mano nel 1999 ad una società italo-inglese. Da allora versa in condizioni di totale abbandono nonostante l’impegno di varie associazioni del territorio, prima fra tutte il comitato FPXA (dalle iniziali del marchese), per salvaguardare questa opera unica. Nel 2016 viene approvata dalla giunta regionale toscana una mozione per “intraprendere ogni iniziativa utile, anche di concerto con gli enti locali interessati, affinché il Castello di Sammezzano e il parco secolare, indipendentemente dalla natura della loro proprietà e data la loro unicità storico-culturale, possano mantenere la necessaria accessibilità e fruibilità pubblica […]”.
Nonostante i buoni propositi nulla è cambiato, come spesso accade nel nostro Paese, dietro ai pomposi proclami troviamo solo indifferenza e immobilità. Solo attraverso l’impegno del comitato FPXA è stato possibile aprire le porte del castello e organizzare delle visite guidate, per rendere fruibile a più persone possibili questa meraviglia unica. L’ultima apertura risale al 2016 dopodiché la proprietà non ha più rilasciato permessi date le precarie condizioni della struttura.
L’amore dei residenti nel comune di Reggello e degli enti locali ha fatto sì che non si perdesse la memoria del Castello, promuovendo la sua storia e la vita del suo creatore, personaggio eclettico e quanto mai interessante. Anche grazie al loro operato Sammezzano ha raggiunto i primi posti tra i “Luoghi del cuore” promossi dal FAI (primo assoluto nel 2017) ed è stato aggiunto alla lista dei 7 siti del patrimonio culturale europeo più a rischio nel 2020.
Troppe volte il patrimonio artistico culturale italiano viene accudito amorevolmente da associazioni locali e dal volontariato. In un Paese che detiene il 60% (stima al ribasso) dei beni artistici della terra, le politiche di salvaguardia dovrebbero essere totalmente riviste. Un impegno serio e strutturato del governo centrale in questo senso incentiverebbe naturalmente un turismo consapevole, lontano dallo stereotipo del “mordi e fuggi”, che aiuterebbe non poco un settore trainante nella economia del paese.
L’auspicio è che questo avvenga in tempi brevi per permettere al Castello di Sammezzano e a tante altre perle dimenticate di tornare agli antichi fasti, di essere di nuovo protagonisti nello sviluppo culturale di tutti i popoli.