Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Silvia Canton (Conegliano, 1974).
Colature di pigmenti su colature di pigmenti. Stratificazioni di colore liquido che generano il caso. E il caso inventa la forma per una nuova visione.
Per Silvia Canton la pittura è immersione, perdita di controllo, libertà. È lasciarsi andare, lasciarsi cadere, abbracciare la casualità. È osare e poi stare a vedere cosa riaffiora da quel magma che ci abita senza il nostro permesso, ma che molto spesso diventa la nostra più grande risorsa.
Per Silvia la pittura è esplorazione. È il recupero di una voce antica. Una voce che appartiene alla natura. O alla memoria. O alla memoria della natura. La pittura di Silvia Canton è altamente evocativa.
Più guardo le sue opere e più penso: forse è così che sono i ricordi, sono apparizioni vivide ma al contempo sottili, sono macigni che vengono a galla o visioni recondite che si formano come i riflessi delle nuvole sull’acqua. Guardo le sue opere e penso che siano luoghi dove vorrei andare. Luoghi dove vorrei perdermi. Luoghi dove vorrei ritrovarmi.
Quella di Silvia è una pittura che si inabissa, che diventa eco cromatico, lasciando riaffiorare con grazia tracce di vita vissuta, sbiadita, trattenuta o immaginata. A metà strada tra la figurazione e l’informale materico, la pittura di Silvia Canton si serve del sughero vergine per contrastare l’evanescenza delle colature. È una pittura in parte gestuale, in parte modulata. È spontaneità ed intima esplorazione. È estensione. Attesa e sorpresa. È trasparenza e materia, fluidità e concrezione.
È come un lago che abita un cratere. Silvia Canton vive e lavora a Castelfranco Veneto (TV). E questa è la sua voce creativa per voi.
Chi è Silvia?
Un “Ariete”.
Chi volevi diventare da grande?
Una costumista teatrale.
Quando hai scelto la pittura?
A dire il vero non ho scelto io la pittura, ma la pittura ha scelto me. Ho eseguito la prima tela su commissione nel 2006. La mia formazione proveniva dalla decorazione murale e dal settore teatrale.
Mi stupii della richiesta. “Ci fidiamo di te. Sappiamo che ne uscirà un bel lavoro” mi dissero. Dipinsi la mia prima tela, libera di potermi esprimere senza disegno preparatorio, senza stecche, senza spolvero, senza condizionamenti, fidandomi solo delle mie sensazioni. Così ho iniziato a dedicarmi assiduamente alla pittura che, giorno dopo giorno, mi ha svincolata dalle “costrizioni” (necessarie però ai fini lavorativi) che per certi versi avevano imbrigliato la mia propensione ai guazzi istintivi, ai tratti a matita impetuosi, veloci e marcati, educando i miei gesti e trasformandoli in gesti controllati di una precisione quasi maniacale. Riconosco l’importanza di questo mio passato che ho amato intensamente, al quale sono estremamente grata e che porto con me in tutte le esperienze lavorative, come fosse il bagaglio più prezioso per ogni viaggio.
Una scuola rigorosa, che mi ha fornito gli strumenti per poter affrontare il concetto di progetto in senso ampio, preparandomi anche ad un’arte, la pittura, che sulle mie “incertezze” ha fatto sì che mi ritrovassi.
Qual è stata la tua formazione?
Ho frequentato i primi due anni di scenografia teatrale all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Al secondo anno venni segnalata dal mio professore di scenografia, Antonio Capodanno, alla costumista Odette Nicoletti, una delle più apprezzate e geniali costumiste del panorama italiano con la quale ebbi l’onore di fare la mia prima esperienza di laboratorio per i costumi dell’opera Macbeth, che andò in scena al Teatro Comunale di Treviso (con regia di Glauco Mauri). Dopo questa esperienza mi trasferii a Roma dove mi diplomai in Scenografia Teatrale nel 1999 e affiancai Odette nel privilegiato ruolo di assistente per diversi anni.
Vivi a Castelfranco Veneto, il paese del tonalista Giorgione… quanta forza ha il colore nella tua ricerca?
Il colore nella mia ricerca è fondamentale. Particolare importanza nella mia pittura è riservata infatti ai fondi, che preparo generalmente con pigmenti in più fasi di colature. Il colore condiziona molto anche il mio stato d’animo. Mi è capitato, dopo aver utilizzato per tanti mesi una tavolozza di tinte cupe, che mi aveva imprigionata e dalla quale non ero più in grado di “uscire”, di dover spostare dal mio tavolo tutti i vasetti di pigmenti scuri per focalizzarmi solo sui rossi e i chiari. Così è nata Regina, un’esplosione di azzurro, giallo e rosso intenso, che finalmente mi aveva permesso di liberarmi dalla malinconica terra d’ombra e dal nero.
Quali sono le tematiche e quali i soggetti delle tue opere?
La natura è una grandissima maestra di vita da cui attingere, è una fonte inesauribile e molto generosa. Proprio gli elementi naturali diventano nelle mie tele pretesto per creare un gioco di allusioni che rimanda a riflessioni sulla vita e i suoi sentimenti. Un nido, il luogo famigliare per eccellenza dove riporre tutti gli affetti per prepararsi al caos della vita che impera fuori. Il germoglio della pianta selvatica che ha la tenacia per attecchire dove decide di farlo, anche nel cemento. La resilienza del ginepro piegato dal vento le cui radici riescono a sopravvivere anche con pochissimo nutrimento.
Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?
Sono convinta che una ricerca pittorica autentica e veramente introspettiva non possa sfuggire alla memoria del passato che lascia tracce indelebili nel nostro “essere”. La pittura riesce a scavare talmente in profondità da aprire porte che a volte mi è difficile richiudere. Ha portato a galla e mi ha permesso di riconoscere, un magma di sensazioni sotterranee e di fragilità che ha trasformato (dal punto di vista artistico) nei miei punti di forza. Tracce di un passato difficile che ha lasciato ferite profonde, plasmando allo stesso tempo la persona che sono, capace di soffrire, rialzarsi e sbocciare nuovamente ad ogni caduta con più forza di prima, come quella pianta selvatica che nonostante il cemento, rifiorisce anche quando sembra non avere nessuna condizione per poterlo fare.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?
Per quanto mi riguarda non potrebbe essere altrimenti. Dipingo ciò che sono. Purtroppo o per fortuna, la mia pittura è autentica nella fonte che l’ha generata. Ogni mia tela è sofferta e vissuta intensamente.
Oltre al colore, il sughero. Ci racconti la genesi tecnica di un tuo lavoro?
Dal novembre 2018 sto sviluppando una ricerca artistica che si fonda sul riciclo del sughero vergine. Questo progetto intitolato InDivenire, supportato dal Gruppo Amorim, (leader mondiale del sughero) è nato dalla necessità di rendere più materica la mia pittura.
Così ho sperimentato il sughero, ma non nella sua parte più pregiata bensì in quella con la struttura più irregolare ed estremamente dura, il “sughero vergine” quello più impuro, pertanto, destinato ad essere macinato e trasformato in granulati tecnici per la bioedilizia, a cui ho voluto ridare nobiltà e dignità. Si tratta di cortecce dure e nodose che faccio letteralmente affettare aspettando alle spalle del falegname il pezzo più bello, quello “perfetto”, come un bambino aspetta il suo gelato preferito dietro al bancone della gelateria. Lavorare con il sughero è un po’ come lavorare a quattro mani. Una parte del lavoro lo decido io e una parte lo decide lui. Non è stato facile far convivere le mie delicate pennellate con questo materiale inusuale e dal forte carattere. Solo dopo mesi di prove e frustranti fallimenti ho capito che dovevo rinunciare a domarlo se volevo instaurare un dialogo tra di noi e l’unico modo era quello di cambiare approccio nei suoi confronti, mettendomi solo in “ascolto” di ciò che esso poteva donarmi.
Da quel preciso momento ebbe inizio il progetto InDivenire: la metamorfosi del sughero. Tratto il sughero in diversi modi, ne fisso la vegetazione con la resina, lo acidifico, lo rivesto, lo incollo, sorprendendomi sempre per la sua capacità di sapersi donare alla trasformazione perdendo anche la sua sembianza. Dopo aver creato il fondo, mi lascio guidare dalle macchie create dai pigmenti che suggeriscono la via da seguire. Da qui inizia la scelta del pezzo di sughero, la fase più difficile e più importante perchè quel pezzo dovrà essere “il pezzo”, l’unico che potrà integrarsi perfettamente con il resto delle pennellate, la fonte da cui dovrà scaturire tutto il racconto.
Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?
Vaia: il superstite (150x100). Nel settembre 2019 ero stata in passeggiata tra i boschi di Croce d’Aune in provincia di Belluno (nel Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi). Rimasi impressionata dalla distesa di alberi sradicati che ancora giacevano a terra dopo il passaggio della tempesta Vaia dell’anno precedente. Giganti silenziosi, tinti di bianco cenere, privi di vita e di colore. Maestose creature con radici immense esposte al sole e sradicate dalla potente furia devastante dal vento di quel terribile ottobre del 2018. Un cimitero di giganti buoni che con il loro silenzio stavano, e stanno tutt’ora, urlando agli uomini di non dimenticare quanto è successo. Mi sono portata a casa indelebilmente quella tremenda immagine di devastazione che ho voluto imprimere in una tela. Di getto, con pigmenti che ricordano le tinte della terra e movimenti che riportano alla forza del vento, è nato Vaia: Il superstite. Un canto triste, di morte, potente come il pezzo di corteccia che ne fa parte, ma al contempo un inno alla vita e alla rinascita rappresentata dalla maestosa pianta che si erge vigile e forte, come un bravo e fedele scudiero, su ciò che rimane.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
Amo perdermi tra le fotografie naturalistiche e sono molto affascinata dalle illustrazioni dei libri di botanica, soprattutto antichi, ma l’immersione totale nell’ambiente naturale è la mia prima fonte di ispirazione. Mi rigenero camminando tra le piante secolari dell’Orto Botanico di Padova e passeggiando lungo i sentieri delle sorgenti del Sile che vanta una natura ancora incontaminata , selvaggia e rigogliosa. Qui faccio pace con il mondo e con me stessa.
Scegli 3 delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.
AMO - tecnica mista su tela - 100x100 (2019): “amo” come simbolo di morte, ma anche come “Amore” incondizionato e unico, simile a quello di una madre che si fa scudo per proteggere il proprio figlio.
Ofelia - tecnica mista su tela - 140x70 (2019): il mio (inconsapevole) primo autoritratto.
Il grande pesce - tecnica mista su tela - 110x140 (2019): un pezzo di sughero scurissimo, da cui si dirama, come fosse lava, il colore, descrivendo il soggetto in una visione quasi satellitare. Senza quel sughero quel pesce non esisterebbe. È una delle prime tele dedicate al sughero e per me, quella che più rappresenta il progetto sul riciclo del sughero nella veste rinnovata che lo vuole anima stessa di un’opera.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Quello di dimostrare ad una società ancora troppo maschilista che anche noi donne ed in particolar modo madri, possiamo arrivare con qualità e dedizione a settori preferibilmente riservati agli uomini fin dal passato, facendolo in punta di piedi, silenziosamente, senza “urlare”.
Facendolo con grazia, direi. Con grazia, soprattutto. La grazia delle donne. Ma dimmi… esiste un’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io”.
Dovrei fare una lunga lista di opere. Cerco di rispondere alla domanda nel modo più sintetico: la profondità dell’Arte di Giuseppe Penone.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Louis Confort Tiffany.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
Ce ne sono diversi nel panorama italiano e tra questi Alessandra Redaelli, curatrice e critica d’arte che stimo moltissimo e che in questo progetto ho la fortuna di avere al mio fianco.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Complesso, viziato, blindato.
Il momento più entusiasmante della tua carriera di artista?
Quello attuale.
Se non fossi una pittrice cosa saresti?
Sicuramente una creativa.
In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?
In ogni ambito della mia vita in cui mi è permesso esserlo.
Work in progress e progetti per il futuro.
Quest’anno inaugurerò la mia personale InDivenire, in cui esporrò una trentina di opere facenti parte del progetto sul riciclo del sughero. La mostra verrà curata da Alessandra Redaelli, supportata dal Gruppo Amorim Cork e patrocinata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso e ad essa avranno seguito altre esposizioni ancora in definizione.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
Impara le regole come un professionista, affinché tu possa infrangerle come un artista.
(Pablo Picasso)