In questi giorni esce il primo disco dal vivo di Glen Hansard, Live at Sidney Opera House, che è un gioiello e che alla fine sarà il tema di questo articolo. Ma per parlarne la prendo un po’ larga.
Febbraio 2013. Mancavano un paio di giorni al mio compleanno, e decisi di farmi un regalo: comprai un biglietto per il concerto di Glen Hansard a Firenze. Era uscito da qualche mese il suo primo album solista, Rhythm and repose, ma alle spalle c'era la carriera con i Frames e soprattutto quel film visto per caso alla tv, in un pomeriggio d'inverno: Once. La storia di un giovane che ripara elettrodomestici insieme al padre e suona per strada a Dublino, e che mentre cerca di incidere una manciata di canzoni s'innamora di una ragazza. Un po’ la storia di Glen, busker da quando aveva 16 anni. Non ero un fan, fino ad allora lo conoscevo superficialmente, ma il disco mi aveva incuriosito, e avevo voglia di musica dal vivo.
Alla fine di quel concerto, che sembrava non averla una fine e che ci aveva mandato in tutte le direzioni in cui la musica può mandarti (eccitazione, commozione, gioia, divertimento, tristezza) aspettavamo di capire se continuare a chiedere l’ultimo bis oppure metterci i giubbotti e andarcene in una notte gelida, quando dalla rampa che porta ai camerini arrivò la band al completo, per la canzone della staffa, Passin’ through di Leonard Cohen. Cantata lì, in mezzo a noi, messi in cerchio sul cemento di quell’hangar travestito da teatro. Glen Hansard, Lisa Hannigan e gli altri musicisti suonavano e cantavano, noi ci sgolavamo e saltavamo. Tempo dopo su quel tour venne realizzato un documentario, e le immagini del finale fiorentino si trovano anche su YouTube: dategli un’occhiata, basta guardare nostre le facce, a metà strada tra la serenità zen e l’estasi, per capire cosa stessimo vivendo. Le stesse facce gioiosamente inebetite che incontrerete alla fine di ogni concerto di Glen Hansard, mentre penserete che chiunque sia lì debba per forza essere un vostro amico.
Nella mia vita sono stato a cinque concerti di Bob Dylan, tre di Leonard Cohen, due di Tom Waits e dieci di Glen Hansard. Non so cosa dica di preciso questo, ma certamente dice che i concerti di Glen sono qualcosa di cui non vi dovreste privare. I quattro dischi solisti in studio, dopo quelli con i Frames, sono tutti belli. Ma nessuno, almeno fin qui, riesce a raccontarlo fino in fondo. L'unico modo per capirlo insieme alla sua musica, e per verificare che nel suo caso l'uomo e la musica sono una cosa sola (e non vale per tutti) è ascoltarlo dal vivo. Ecco perché Live at the Sidney Opera House è così importante per mettere a fuoco uno degli autori più interessanti degli ultimi anni.
Ogni anno per Natale Glen organizza un concerto per strada a Dublino. Porta band, cantanti e musicisti, dagli U2 a Damien Rice, tanto per citarne un paio. Irlandesi che sono da quelle parti, perché nel giorno di Natale di solito non ci sono concerti in giro per il mondo, e che insieme a lui raccolgono soldi per i senzatetto. Ogni volta una pioggia di banconote e monete restano lì, come in un’enorme custodia della chitarra di un busker. Nel 2020 concerti in giro per il mondo non ce ne sono, ma nemmeno la possibilità di suonare in pubblico per beneficenza. E allora, oltre a uno special televisivo che ha riscosso molto successo e incassato un bel po’, Hansard ha deciso di pubblicare un album live e devolvere i proventi delle vendite a un’associazione, Innercity Homeless, che si occupa proprio di chi è senza casa e, se possibile, in tempo di pandemia se la passa ancora peggio del solito.
La scelta è stata quella di incidere un doppio vinile (già esaurita la prima stampa, ma potete ordinarlo qui, aspettare che sia nei negozi nel 2021 o limitarvi alla versione digitale) con un concerto del 2016, ai tempi del tour che portava in giro il suo secondo album, Didn’t he ramble. Quattordici canzoni che offrono un condensato della sua carica, della sua sensibilità che fa lo slalom tra il folk, il pop, la tradizione irlandese, il rhythm & blues e il soul, oltre che del suo valore di performer. Magari non bastano per restituire la stessa atmosfera dei live (che vanno ben oltre le quattordici canzoni) ma servono comunque a fornire un campionario più che valido, anche perché in quella serata australiana sia il leader che la band erano in stato di grazia. Arrangiamenti equilibratissimi, voce perfettamente calibrata, ispirazione al massimo livello, sintonia con i musicisti, gli ospiti e il pubblico.
Nella setlist c’è una generosa selezione del disco che era appena uscito, da Winning Streak a Lowly Deserter, da McCormack’s Wall a Her Mercy, ma c’è anche Bird of sorrow, sempre uno dei momenti topici dei concerti, c’è la straordinaria cover di Astral Weeks di Van Morrison, e non mancano due pezzi resi famosi proprio dal film Once, When your mind’s made up e quella Falling Slowly che a Glen valse il premio Oscar per la miglior canzone originale, oltre che la fama mondiale, dopo una ventina d’anni di carriera.
Glen Hansard ama molto l’Italia: c’è appena stato per recitare una parte in un film con il set in Sicilia, ma a settembre era tornato anche a Lucca, dove ha un nutrito gruppo di amici e dove ha partecipato a un ciclo di incontri organizzato dal comune cantando otto canzoni di Bob Dylan dopo una conferenza di Alessandro Portelli. Senza chiedere niente, se non l’amicizia. Alla fine si è messo alla testa di un piccolo corteo, ha attraversato la città a piedi per trovare un pub aperto, e ha pagato una pinta di birra a una ventina di persone, restando a bere e chiacchierare con loro. Perché come dice ogni volta che presenta la splendida McCormack’s Wall: “In Irlanda abbiamo un drink, ed è nero. I’m gonna ride the black river”.