L’anemia è la più comune patologia ematologica ed è causata da numerose malattie acute e croniche. I suoi sintomi sono spesso vaghi e la diagnosi è spesso effettuata in fase avanzata. L’esame diagnostico gold standard è l’emocromo, che richiede il prelievo ematico e strutture in grado di analizzarlo.
L’anemia è causa di malattie cardiovascolari ischemiche, come l’angina, e di scompenso cardiaco, inoltre, si associa ad aumentata morbilità e mortalità cardiovascolare ed esiti negativi in pazienti affetti da malattia renale cronica, sindrome coronarica acuta, sepsi, soprattutto negli anziani. Secondo alcuni autori potrebbe essere considerata un nuovo fattore di rischio cardiovascolare1,2,3.
Lo screening, la diagnosi precoce e il monitoraggio dei soggetti a rischio potrebbero essere pertanto molto utili per prevenire le complicanze multi-organo ad essa riconducibili.
Diversi studi hanno evidenziato che l’anemia, provocando ridotto apporto di ossigeno al miocardio, modifica la morfologia dell’elettrocardiogramma (ECG), peraltro a livello minimale, con alterazioni non evidenziabili per l’occhio umano.
Un recente studio coreano è il primo a evidenziare la possibile applicazione dei segnali ecografici per la diagnosi di condizioni sistemiche, nel caso specifico l’anemia.
Gli autori, utilizzando un algoritmo di intelligenza artificiale, hanno identificato le parti ecografiche più significative per la diagnosi di anemia moderata-severa (emoglobina < 10 g/dL). La sensibilità della metodica è risultata pari al 90% e il valore predittivo negativo maggiore del 99%, performance migliori di quelle di test di screening validati come la mammografia e il sangue occulto nelle feci. Il valore predittivo positivo è risultato invece molto basso (15%), per la scarsa prevalenza dell’anemia nella popolazione esaminata. È previsto per questo uno studio prospettico in pazienti ad alto rischio4.
Secondo i ricercatori gli ECG potrebbero essere acquisiti anche da dispositivi indossabili come patch oppure orologi smart, soprattutto nei Paesi senza adeguate infrastrutture per eseguire gli esami di laboratorio.
Gli autori auspicano, infine, che il loro metodo consenta di comprendere le potenziali relazioni tra elettrofisiologia e altre malattie sistemiche.
Commento
La possibilità di diagnosticare patologie non cardiache con l’ECG, strumento familiare per generazioni di medici, apre affascinanti prospettive.
Le aspettative nei confronti dell’IA e la propensione verso l’accettazione acritica dell’innovazione in quanto tale (il cosiddetto pro-innovation bias) rischiano peraltro di sottovalutare i rischi relativi di un utilizzo delle tecnologie non motivato da prove certe. Ad esempio, lo studio in esame è retrospettivo, osservazionale, pertanto l’efficacia dello screening dell’anemia con l’ECG dovrà essere sottoposta a ulteriore valutazione/verifica, mediante lavori prospettici, metodologicamente robusti, su outcome clinici, eseguiti in contesti di pratica e pubblicati su autorevoli riviste.
Spesso, i dati necessari all’addestramento degli algoritmi di IA per elaborare modelli predittivi, sono di qualità non ottimale, ad esempio, perché, in certi casi, possono “imparare” gli errori delle intelligenze “naturali”, cioè dei professionisti che forniscono i “materiali da allenamento”, i cosiddetti training data. Nel caso specifico, il basso valore predittivo positivo della metodica segnala la necessità di un processo di rielaborazione e stratificazione per individuare una popolazione di soggetti a maggior rischio di anemia, ed anche con valori meno ridotti, sulla quale testare il sistema per fornire risposte effettivamente implementabili nella pratica.
Oltre agli aspetti metodologici, si può, inoltre, osservare che l’eccessivo (af)fidarsi alle macchine rischia, da parte dei medici, di limitare l’osservazione diretta delle persone: un’anemia inferiore a 10 g/dL in genere non dovrebbe passare totalmente inosservata.
Anche l’idea che nei Paesi a basso reddito o disagiati per motivi geografici sia più facile disporre e gestire algoritmi di IA piuttosto che eseguire un emocromo è abbastanza difficile da accettare.
Conclusioni
L’IA sta cambiando il paradigma culturale della medicina, le capacità analitiche degli algoritmi ci prospettano un possibile cambio di paradigma nel potere decisionale di medici e assistiti. Non dobbiamo più osservare un sistema complesso per anni e costruire modelli empirici ma possiamo disporre di costruzioni algoritmiche per prevedere il futuro5. I medici devono peraltro svolgere un ruolo di guida, supervisione e monitoraggio (essere “in the loop” anziché “out of the loop”), utilizzando la propria intelligenza (“il coraggio di servirci della nostra intelligenza”, per riprendere la famosa frase di Kant) e le capacità che li rendono superiori alle macchine, in particolare l’astrazione, l’intuizione, la flessibilità, l”occhio clinico”, le cosiddette soft skills, aspetti della professione che un algoritmo non saprà mai riprodurre.
Gli umani devono esercitare un approccio conservativo e costruttivamente critico nei confronti delle macchine, evidenziando le loro enormi potenzialità, ma anche i limiti. Solo l’integrazione tra la tecnologia e l’esperienza clinica dei professionisti della salute potrà infatti consentire di progettare e utilizzare tecnologie effettivamente utili e applicabili in contesti clinici reali anziché sperimentali.
Bibliografia
1 Kaiafa G et al. Is anemia a new cardiovascular risk factor? Int J Cardiol 2015; 186: 117-24.
2 Cattadori G et al. Heart failure and anemia: effects on prognostic variables. Eur J Intern Med 2017; 37: 56-63.
3 Stucchi M et al. Anemia and acute coronary syndrome: current perspectives. Vasc Health Risk Manag 2018; 14: 109-18.
4 Kwon JM et al. A deep learning algorithm to detect anaemia with ECGs: a retrospective, multicentre study. Lancet Digital Health 2020; 2: e358-67.
5 Vespignani A, con Rijtano R. L’algoritmo e l’oracolo. Il Saggiatore, Milano, 2019.