Più o meno trentacinque anni fa, nella camera di una villetta non lontana da casa mia, un amico mi fece vedere la copertina verde di un disco. Sopra c’era la foto di un bellissimo ragazzo davanti a una finestra. Guardava fuori, e pensai che quel disco era il suo modo di osservare il mondo. Il titolo era Five leaves left. Michele appoggiò il vinile sul piatto del suo Thorens, e le prime parole che ho sentito cantare a Nick Drake sono state queste: “Il tempo mi ha detto/Sei una ben rara scoperta/una cura complicata/Per una mente complicata”. Era uno degli incontri musicali più importanti della mia vita, ma ancora non lo sapevo.
Tre dischi di perfezione assoluta. Puri, semplici, delicati. Una carriera breve, dominata dal completo insuccesso, e poi la morte, a ventisei anni, di depressione. Nick Drake è riuscito a pubblicare tre album nel giro di quattro anni, dal 1969 al 1972, e di venderne pochissime migliaia di copie, almeno fino alla morte. Ha conquistato l’affetto del pubblico nel corso dei decenni, e non ha mai avuto modo di saperlo.
Nel caso non lo conosceste, segnatevi questi tre titoli, in ordine cronologico: Five Leaves Left, Bryter Layter, Pink Moon, che devono stare sugli scaffali di qualsiasi casa. Se esistessero negozi di dischi in ogni quartiere, vi chiederei di smettere di leggere, uscire di casa ora e andare a comprarli. Ma siccome i negozi di dischi scarseggiano, continuate a leggere.
Nick Drake è stato un artista dal talento cristallino e un’anima fragile, un ragazzo timido, tanto che non esiste nemmeno un filmato in cui suona dal vivo, perché dal vivo ha suonato pochissimo, e quasi sempre davanti a persone che non erano andate a sentire lui, ma qualcuno a cui stava aprendo il concerto. Nelle sue canzoni c’è un concentrato di delicatezza, poesia e ispirazione che lo ha sempre collocato fuori dal tempo: non era alla moda alla fine degli anni Sessanta, quando ha cominciato, e non è fuori moda oggi, cinquant’anni dopo. Proprio partendo dalla rarità delle sue esibizioni live, due ottimi musicisti italiani, Roberto Angelini e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), da anni portano in giro un progetto suonando le sue canzoni. E proprio perché sono state eseguite pochissime volte dal loro autore, la scelta fin dall’inizio è stata quella di farle più o meno come le aveva scritte e suonate lui. Con quelle accordature di chitarra “aperte”, che scombinano l’ordine delle note sulle corde. Certo, chi le suona le fa passare attraverso la propria personalità, la propria sensibilità, le proprie mani e la propria voce, ma in questo caso non ne dà una rilettura del tutto personale, rispettandole molto. Se avete Sky Arte potete trovarci un documentario molto bello, con diversi ospiti, proprio sul lavoro di Angelini e D’Erasmo, che vi consiglio di guardare.
Anche in questo terribile 2020, in cui di musica in giro per l’Italia se n’è sentita poca, i due hanno allestito un tour intitolato Way to blue tutto dedicato a Nick Drake. Un loro concerto è stato probabilmente il primo in Italia dopo il lockdown primaverile, e un altro, domenica 11 ottobre al teatro Manzoni di Pistoia, ha chiuso un’edizione coraggiosa e preziosissima del Pistoia Blues, che per quest’anno ha cambiato l’insegna in “Blues Around” ma che ha ostinatamente deciso di non tenere la serranda abbassata nemmeno in questo tempo di pandemia, in cui tanti hanno legittimamente preferito aspettare il momento in cui si tornerà a fare profitto e non solo a spendere energie guidati dalla passione. Una scelta comprensibile, perché profitto significa anche lavoro e stipendio per moltissime persone, sia chiaro, ma è giusto rimarcare il merito di chi ha voluto dare un segno di presenza, compiendo uno sforzo di coraggio e di fantasia.
Il concerto dedicato a Nick Drake a Pistoia avrebbe dovuto tenersi a fine estate, all’aperto, ma uno dei primi acquazzoni pre-autunnali costrinse gli organizzatori ad annullare quella data, promettendo un recupero. E il recupero è arrivato in questo inizio di ottobre, nell’elegante teatro Manzoni, che di solito ospita una stagione di prosa ma che viene “prestato” anche alla musica in varie occasioni. Circa duecento spettatori, nel rispetto delle normative e dei protocolli, divisi tra platea e palchi (dove sono stati intelligentemente fatti accomodare i gruppi di conviventi, e anche le coppie), in un clima di sicurezza che ha contribuito a rendere godibile lo spettacolo.
Way to blue non è solo un concerto per chitarra, voce (Angelini) e violino (D’Erasmo), ma anche un racconto a beneficio di chi non conosce Nick Drake, e di chi lo conosce ma non si stanca mai di sentirselo raccontare. Un percorso fatto di brani che si è snodato secondo un criterio cronologico, cominciando dal primo album (Cello song, Three hours, River man, Day is done, Fruit tree e Saturday sun come bis), toccando fugacemente il secondo (Northern Sky), per poi chiudere con il capitolo finale, quel Pink Moon che per molti, nella sua architettura scarna sostenuta solo da chitarra e voce, è l’apice qualitativo di questa trilogia che resta comunque perfetta nel suo insieme (Pink Moon, Parasite, Know, From the Morning, anche se forse dimentico qualcosa). Naturalmente non poteva mancare il brano che dà il titolo allo spettacolo, uno dei pochi (insieme a Know) in cui Angelini e D’Erasmo si sono concessi qualche libertà di reinterpretazione. Come ha spiegato Angelini, una specie di Way to blues, che si accordava bene con il DNA originario del festival pistoiese.
Nick Drake a quarantasei anni dalla morte continua a conquistare l’amore di nuovi ascoltatori, ogni volta che qualcuno regala Bryter Layter a una persona a cui tiene, o che qualcuno porta la sua musica su un palco. Nick Drake non ha avuto tempo di maturare, di invecchiare, di fare figli, di vincere la ritrosia a suonare dal vivo, di ritagliarsi un proprio posto nel mondo, al riparo dalla depressione. Tutto questo è un dramma e una perdita, prima di tutto sul piano umano. Ma morendo nel letto della sua camera, in un paesino che si chiama Tanworth-in-Arden, non ha avuto nemmeno il tempo di perdere l’ispirazione, di vedere svanire il talento, non ha avuto il tempo di sbagliare una singola canzone, di incidere qualcosa che non fosse a suo modo – ed è la terza volta che uso questa parola – perfetto.
Il mio amico mi prestò Five Leaves Left, e io lo registrai su una cassetta. Per qualche tempo c’è stata quella, per esempio, la portai con me a diciotto anni, quando andai in vacanza studio a York, e proprio lì, in un negozio di dischi usati, comprai il Cd. Dopo qualche anno, non so perché, quel disco si “guastò”, e il lettore non lo riconosceva più. Riuscii a masterizzarlo con il computer, e infilai quella copia con il titolo scritto a pennarello nel jewel case originale. Ma ovviamente non poteva bastare, così quando vidi una ristampa in vinile in un negozio a Firenze a un buon prezzo, la comprai subito. Ancora qualche anno e pensai che quel disco dovevo per forza averlo anche in Cd, se non altro per ascoltarlo in macchina. Lo vidi in offertissima da Fopp, a Londra, e lo ricomprai, ancora una volta. Arrivato a casa, quando feci per metterlo a posto sullo scaffale, mi accorsi che c’era già: stessa versione in digipack che avevo appena riportato dall’Inghilterra. Evidentemente quella pensata sul fatto che non potevo non averlo anche in compact l’avevo già fatta. E allora presi quello in più, lo infilai in una busta imbottita, e lo spedii a una mia amica che mi aveva detto di non aver ancora ascoltato le canzoni di Nick Drake, per regalargli questo incontro.
Che in fondo è quello che fanno anche Angelini e D’Erasmo, solo che loro sanno suonare.