“Il modo di vestirsi è la rappresentazione esteriore della nostra filosofia di vita”, sosteneva Charles Baudelaire. Ebbene sì, da sempre, la storia di un popolo, dalle classi più abbienti ai ceti popolari, viene raccontata attraverso gli abiti e gli stili della moda. L’abbigliamento, indicatore di status sociale e teatro culturale in cui si mette in scena la storia di una comunità. Ripercorrere e magari provare a immaginare la vita quotidiana di una Sicilia ormai scomparsa, è quello che propone la prestigiosa collezione del professore Raffaello Piraino, artista, pittore e collezionista palermitano. Una passione che l’ex docente di Storia del Costume dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo, coltiva da oltre trent’anni, recuperando un’imponente collezione, circa cinquemila pezzi, tra cui 1600 capi d’abbigliamento femminili, maschili, infantili ed ecclesiastici delle antiche manifatture tessili dei secoli XVIII – XX. Paillettes, pizzi, merletti iridescenti, corpini, soprabiti, vestiario gentilizio e teatrale, biancheria intima, corsetti e accessori (borsette, guanti, cappelli, ombrellini e ventagli) recuperati da donazioni ma per lo più acquistati ai mercatini, dai rigattieri di tutta la Sicilia e rispolverando le soffitte di antichi palazzi nobiliari.
Più di due secoli di storia del costume (1700-1940), uno scrigno di “scampoli” di memoria del modo di vestire nella Sicilia dei secoli passati che, il professore, custodisce preziosamente nella sua abitazione, in un antico palazzo del centro storico di Palermo, sede nell’omonima Fondazione Museo del Costume. Varcare la porta del suo prestigioso appartamento, conduce il visitatore in un viaggio a ritroso nel tempo, alla riscoperta del fascino misterioso che emana un vestito di tanti anni fa, appartenuto a donne di cui quasi sempre non si sa nulla, se non vagamente come erano fatte, a giudicare dal loro atteggiarsi e dalle loro taglie. É come rievocare l’immagine della sala del ballo, dal noto romanzo di Tommaso di Lampedusa, fra il principe Fabrizio Corbera di Salina e la bella Angelica, con strascichi e scollature di brillanti e fastosi abiti fruscianti.
“È il mio mondo, qui c’è tutta la mia vita”, racconta emozionato Piraino, mostrando i suoi preziosi “gioielli tessili” e dilungandosi nella narrazione sulla sua vita artistica. La passione per la pittura, sotto la scuola dei maestri, Pippo Rizzo ed Eustachio Catalano, lo spinge a fondare, nel 1963, la galleria “Arte al Borgo” a Palermo, importante per la sua produzione artistica e culturale. Occasione straordinaria, in cui incontra lo scrittore e drammaturgo, Leonardo Sciascia, il cui rapporto durerà tutta la vita. Una vita intensa arricchita da tanti altri incontri importanti di personaggi e intellettuali illustri, da Ignazio Buttitta, di cui ha sposato la figlia Aurora, a Renato Guttuso. E poi l’incarico inaspettato, nel 1977 dal sovrintendente del Teatro Massimo, Ubaldo Mirabelli, di progettare la scenografia e i costumi per l’opera buffa, del 1947, Les mamelles de Tirésias di Francis Poulenc. Successo che gli apre le porte ad altre realizzazioni teatrali, cinematografiche e televisive. Inizia così ad appassionarsi ai costumi, abbandonando tele e pennelli, recuperando capi e accessori appartenuti all’aristocrazia e alla borghesia siciliana.
Una selezione che ripercorre due secoli di uomini e donne siciliane, che sfoderano gonne, sottogonne, merletti, cappotti e tutte le bizzarrie che la moda ha dettato e detta ancora. Per l’artista palermitano, classe ’38 originario di Casteldaccia, corredi e ornamenti, “rappresentano memoria del passato, reperti ritenuti per molti frivoli ed effimeri e in cui la nobiltà e la ricca borghesia palermitana e siciliana in genere soleva distinguersi. Tutto ciò che nel passato era stato partecipe della vita sociale e aristocratica dell’isola, era stato tacito testimone di eventi gioiosi o luttuosi, di feste, di balli e di intrighi”.
Nel suo atelier, uno spazio espositivo di circa 400 metri quadrati, con soffitti a decorazione floreale, si respira un’atmosfera magica, un mondo incantato, dove ogni abito, unico e originale, codifica uno stile di vita e il rango sociale. Il solo accarezzare un tessuto, o ammirarne la foggia, la sfumatura del colore, ti riporta indietro con la mente, al fruscio degli abiti sfoggiati alle feste e ai balli nei sontuosi palazzi nobiliari. La borghesia e la nobiltà palermitana nell’epoca della Belle Époque, rivaleggiavano in sfarzo. Eventi mondani, passeggiate in carrozza sul viale della Libertà o alla Marina, prime teatrali al Teatro Massimo di Palermo, pretesto per ostentare le meravigliose toilettes appena arrivate da Parigi o confezionate in città su modelli esclusivi.
Capi ricercati e opulenti, oggi fanno parte della raffinata e inestimabile collezione del Museo del Costume Piraino, che tra tanti custodisce quello della più leggendaria delle figure di primo Novecento, Franca Florio, dama della haute palermitana e dall’eleganza contenuta. Robe de l’aprés-midi (1898-1903). Pare che quest’abito, per tradizione orale tramandata, sia stato confezionato per la figura di Donna Franca, ma mai indossato dall’incontrastata signora della Belle Époque di Palermo, e che lei, a sua volta, lo abbia regalato alla sua guardarobiera. Solo attraverso i discendenti di quest’ultima, è stato possibile recuperare l’esclusivo indumento.
Vestiari pomposi, a testimonianza della vita sociale, frivola e salottiera. La Robe de soirée, (de théâtre, de bal, dei primi anni del 1870) appartenuto alla nobile famiglia siciliana Rampolla-Polizzello, in raso di seta rosso ciliegia e merletto francese, altra icona della raccolta Piraino, che lascia intuire lo stile di vita e la moda del periodo. Dietro queste fogge di ricami, pizzi, merletti e frange, della collezione siciliana, si nasconde una piccola folla che dentro questi preziosi ed eleganti involucri ha gioito, sofferto facendo intravedere tracce della loro personalità, scegliendo un colore piuttosto che un altro, una stoffa o un dettaglio più importante o più sobrio. Pezzi storici e referenti di significati sociali e culturali di una Sicilia multi secolare e delle classi che la compongono, che ci conducono al gusto e alle mode diffusesi e avvicendatesi nell’isola. Una finestra sul mondo.
Gran parte della raccolta del Museo, riflette quindi, attraverso le elaborazioni di sartorie locali, la moda di Parigi, Londra e Vienna, comprendendo anche oggetti esteri originali giunti in Sicilia al seguito di quelle dame abbienti che due volte l'anno, andavano in giro per l’Europa per piacere e acquisti. Nomi celebri di stilisti, compaiono sulle etichette dei capi custoditi nella Collezione Piraino: Poiret, Fortuny, Worth junior, Schiaparelli e Doucet, accanto alle case italiane come: La Ville de Lyon Florence, Serafina Barberis-Tourin, Angelici & Figli – Napoli.
Nel corso del XIX secolo, le sartorie e gli atelier di moda si moltiplicarono a Palermo nonostante avessero un ruolo esecutivo e non creativo. “Le signore dell’aristocrazia e della ricca borghesia palermitana per i loro acquisti, in prossimità degli eventi mondani, si recavano nelle boutique esclusive di Madame P.J. Durand, “Pillitteri-Merlet”; per la raffinatissima lingerie, dalle Mademoiselles Siracusa; per i busti da Madame Dedés, che con la sua corsetteria altamente specializzata, modellò e strinse anche il vitino di Franca Florio, regina dei salotti mondani, figura bella e altera che rappresentò Palermo in quell’epoca”.
Per sostenere e valorizzare le preziose creazioni sartoriali, è stata istituita la Fondazione Museo del Costume Raffaello Piraino, di cui Piraino è presidente, per la promozione di iniziative e ricerca fondi per il restauro e la fruizione dei capi. La Fondazione opera, in ambito nazionale e internazionale, mediante esposizioni in altre realtà museali o affini e il coinvolgimento di collezionisti, studiosi, cultori, operatori e studenti, a divulgazione di un importante patrimonio storico, artistico e culturale della Regione Sicilia e dell’Italia. La crescente notorietà della raccolta Piraino, ha moltiplicato le sue esposizioni in Italia e all’estero. Da Bolzano, Emirati Arabi, Stati Uniti alla Georgia, dove è stato realizzato anche un Museo del Costume. E sul futuro della sua raccolta, il professore auspica: “Tra le tante promesse fatte, spero che il patrimonio possa rimanere in Sicilia, a testimonianza e memoria della storia e della società siciliana, dei suoi rapporti con quelle italiane ed europee”.