Comune è il bene che non è escludibile ma è rivale nel consumo ed è tale che il vantaggio che ciascuno trae dal suo uso non è separabile da quello che altri pure traggono da esso. In altro modo, il beneficio che il singolo fruitore ricava dal bene comune avviene assieme a quello degli altri, non già contro (come accade col bene privato) e neppure a prescindere (come accade col bene pubblico). Contrasta dunque il bene comune sia il comportamento dell’opportunista (del free-rider) sia dell’altruista puro (quello di chi annulla sé stesso per recare vantaggio all’altro). Cosa favorisce, invece, il bene comune? Il comportamento reciprocante che dà senza perdere e riceve senza togliere. (…)
La più recente e accreditata ricerca in ambito socioeconomico ha persuasivamente mostrato che mentre nel caso dei beni privati l’applicazione intelligente del principio dello scambio di equivalenti è tutto quanto serve alla bisogna, e mentre per risolvere il problema dei beni pubblici si può pensare di servirsi di una qualche variante della mutua coercizione – una sorta di Leviatano “burocratico” -, quando si ha a che fare con i beni comuni è inevitabile il ricorso al principio di reciprocità.”(Stefano Zamagni, Prudenza1)
Bene privato, bene pubblico
Quello che conosciamo meglio, essendo dominante nell’economia di mercato capitalistica, è il bene privato.
Il bene privato ha una caratteristica peculiare: è fondato sul cosiddetto “scambio di equivalenti”. Ci priviamo di qualcosa per ricevere in cambio qualcos’altro che riteniamo di eguale valore ma che presenta una maggiore utilità per noi come, ad esempio, il pane che compriamo ogni giorno in cambio di denaro. Il beneficio che otteniamo avviene privando gli altri di quel bene: si dà perdendo e si riceve togliendo. Procura un beneficio a chi lo utilizza – normalmente definito come utilità – di tipo individuale, separando la persona dalle relazioni in cui è immersa.
In economia si usano due criteri fondamentali per distinguere i beni, definendoli in rapporto alle modalità di utilizzo: l’escludibilità e la rivalità nel consumo.
I beni privati godono sia dell’una che dell’altra: sono sia escludibili che rivali nel consumo. Ciò significa che il consumo di un bene privato da parte di un soggetto rende impossibile il consumo di quel bene allo stesso tempo ad un altro soggetto (rivalità), e che il soggetto può escludere altri dall’utilizzo di quel bene, impedendo loro di trarne beneficio (escludibilità). Per esempio, il pane che la persona mangia non potrà più essere consumato da altri, così come la persona stessa può impedire ad altri di consumarlo.
Nel bene privato, il beneficio è contro gli altri.
Altra categoria di bene è il bene pubblico, spesso considerato in antitesi al bene privato. Gode infatti sia della “non rivalità” che della “non escludibilità” nel consumo.
Un classico esempio è l’illuminazione stradale: tutti ne beneficiano, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga contemporaneamente per più persone, e nessuno può esserne escluso, indipendentemente dal fatto che abbia o meno contribuito alle spese per produrla.
Nel bene pubblico, il beneficio è a prescindere dagli altri.
Un’altra distinzione fondamentale tra bene privato e bene pubblico è l’obiettivo per il quale viene prodotto. Mentre nel bene privato l’obiettivo è di trarne un profitto, per il bene pubblico ciò non è possibile. E questo proprio per i due principi su esposti: solo con l’escludibilità e la rivalità nel consumo del bene si può chiedere un corrispettivo attraverso uno scambio di equivalenti. Nel bene pubblico lo scambio di equivalenti non è applicabile: si dovrebbero necessariamente escludere alcune categorie di soggetti dal godimento di questi beni ed impedire l’utilizzo congiunto da parte di più soggetti.
Il bene pubblico presuppone invece che il beneficio che produce sia a favore di tutti indistintamente, ed è per questo che, se le persone sono obbligate ad usufruire di un determinato bene, questo non può essere un bene privato.
Esiste tuttavia un altro tipo di bene: il bene comune. Ed è una categoria di bene che sta trovando sempre più diffusione nel pensiero economico e non solo.
Il bene comune
Il bene comune, rispetto alle due caratteristiche basilari di rivalità ed escludibilità nel consumo, è considerato “rivale” ma “non escludibile”. Cosa significa? Che una volta consumato, non può esserlo nuovamente (rivalità), e che tuttavia non si può impedire ad altri di utilizzarlo o di consumarlo (non escludibilità).
Sembra un ibrido decisamente strano, una sorta di “chimera”, un mostro della mitologia greca con la testa e il corpo di leone, una seconda testa di capra e la coda di serpente. Eppure, se osserviamo con attenzione il mondo in cui viviamo, questo è ricco di beni comuni: l’acqua è un bene comune, gli alberi e i boschi sono un bene comune, i pesci sono un bene comune, le sementi sono un bene comune, tutte le energie non rinnovabili sono un bene comune, l’intero ecosistema è un bene comune, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Se siamo vivi, è grazie ai beni comuni. Se soffriamo per l’inquinamento, per il mare sporco, per la perdita di biodiversità, per il riscaldamento globale, è perché non abbiamo ancora capito l’importanza dei beni comuni.
Nel bene comune, il beneficio è assieme agli altri.
Per poter utilizzare un bene comune senza distruggerlo, occorre applicare una modalità che non sia né competitiva con gli altri né indifferente agli altri. Non è possibile utilizzarlo contro gli altri (bene privato), o a prescindere dagli altri (bene pubblico); occorre utilizzarlo con gli altri. Occorre una modalità cooperativa. Il presupposto relazionale è pertanto estremamente diverso nei tre casi. Mentre il bene privato è fondato sulla separazione delle relazioni e il bene pubblico è fondato sull’indifferenza dei legami relazionali, il bene comune è fondato sull’interdipendenza delle relazioni. Ciò che tu fai non può non avere effetti su di me, e viceversa.
Il principio di reciprocità
I beni comuni vengono anche chiamati commons. La parola “comune” richiama il termine “comunità”, e non può prescindere da questa. Ed il termine “comunità” deriva dal latino communitas, ovvero da cum-munus. Munus significa sia obbligo che dono, quindi la parola comunità deriva da “con obbligo”, “con dono”.
Il dono, infatti, crea un legame profondo, che diviene obbligo sociale: l’obbligo di ricambiare, di reciprocare. Non necessariamente alla stessa persona che ha donato – altrimenti si tratterebbe di uno scambio, pur se posticipato nel tempo – ma ad un terzo, in un circuito che crea, appunto, la comunità a cui ci sentiamo di appartenere. Marcel Mauss, celebre antropologo studioso delle società arcaiche, nel suo famoso testo del 1923 Saggio sul dono2, evidenzia come il dono, nella sua natura simbolica e relazionale, sia stato al centro della costruzione di reti sociali che hanno consentito il mantenimento e lo sviluppo delle comunità umane. Nel dono, lo scopo è creare un legame relazionale, mentre il bene è solo lo strumento per realizzarlo.
Garrett Hardin3, studiando i beni comuni, ha evidenziato gli effetti dei legami di interdipendenza nell’uso dei beni comuni nel suo famoso scritto del 1968 The tragedy of the commons, attraverso l’esempio dei pascoli ad accesso libero utilizzati da più allevatori. Non può essere impedito a qualcuno di avvalersene (non escludibilità), e allo stesso tempo l’utilizzo eccessivo del pascolo da parte di un allevatore per favorire i propri animali può danneggiare il pascolo stesso, non consentendo ad altri di beneficiarne (rivalità). È il classico “dilemma del prigioniero”, in cui l’interesse privato entra in conflitto con l’interesse collettivo, danneggiando l’intera comunità, in una sorta di “perdi-perdi” globale.
Per superare il dilemma, sarebbe sbagliato trasformare il bene comune in un bene privato o in un bene pubblico. La tragedia dei beni comuni si manifesta in tutta la sua potenza distruttrice quando il comportamento delle persone segue gli stessi assunti che ben funzionano nello scambio di equivalenti: comportamento razionale, massima utilità personale, separazione nelle relazioni interpersonali. Poiché nell’utilizzo dei beni comuni non possiamo ritenerci separati dagli altri ed il nostro comportamento determina a cascata quello degli altri, se ci comportiamo perseguendo solo il nostro beneficio, lo stesso faranno gli altri, innescando un circolo vizioso auto-distruttivo.
È necessario invece cambiare gli assunti del comportamento umano nelle relazioni economiche, considerandolo fondato sulla fiducia interpersonale ed avendo come obiettivo condiviso la massimizzazione del beneficio comune e non del beneficio individuale. Questo è il comportamento reciprocante: si dà senza perdere e si riceve senza togliere. Ed è sui comportamenti reciprocanti che le comunità umane si sono rette sino ad oggi e si sono evolute nei secoli. Se avessimo avuto solo comportamenti egoisti, così come decretato dall’economia politica dalla fine del ‘700 in avanti nella figura dell’homo oeconomicus, saremmo molto più arretrati e, forse, non ci saremmo già più su questo pianeta. Jared Diamond4 ci offre diversi esempi di civiltà che sono collassate, come quella dell’Isola di Pasqua, a seguito di comportamenti che non hanno tenuto conto del principio di reciprocità e della salvaguardia dei beni comuni.
Tutto ciò sembra utopistico, irraggiungibile: tante belle parole, mentre la cruda realtà è ben altra. È vero, ma è anche vero che in questi ultimi anni molte cose stanno cambiando, ed il passaggio dall’economia politica tradizionale – ormai sempre meno credibile e affidabile per affrontare i problemi che ci sovrastano, come il cambiamento climatico, l’inquinamento, la riduzione delle risorse, le epidemie globali – all’economia civile5, fondata sui beni comuni e il comportamento reciprocante, è ormai in atto.
Siamo entrati nell’era dei beni comuni, ed è fondamentale rendersene conto per tempo, sia per agevolare il cambiamento in corso riducendo al minimo il rischio di collasso, sia per non rimanere con gli occhiali sbagliati quando il quadro complessivo sarà mutato, non riuscendo a capire cosa sia accaduto.
1 Stefano Zamagni, Prudenza, Il Mulino, 2015.
2 Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, 2002.
3 Gareth Hardin, The Tragedy of the Commons, Science, 162, n. 3859, 1968.
4 Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di vivere o morire, Einaudi, 2005.
5 Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, 2004.