Agrippa fu il primo. Relegato a Pianosa nel 6 d.C. e poi ucciso otto anni dopo da un sicario inviato da Livia, moglie di Augusto, che così liberava la strada della successione al trono al figlio Tiberio, nato da un precedente matrimonio. Oscuri intrighi della corte di Roma che gettava la sua ombra anche a chilometri di distanza e in mezzo al mare, su uno scoglio piatto e ventoso, spesso annientato dalla linea dell'orizzonte e quasi nascosto ai naviganti.
Eppure, Agrippa non sembra essere stato triste in questa isola grande poco più di 10 km quadrati e alta al massimo 29 metri. Ce lo raccontano la sua grande residenza nel centro dell'isola e il suo lussuoso bagno sulla punta di Cala Giovanna, dove lui stesso impersonava Nettuno “giocando” nel piccolo teatro e nella grande piscina rettangolare del bagno termale.
Prolungato e consistente anche il rifugio di una comunità cristiana dopo la morte di Agrippa. Il complesso di catacombe, oggi chiuse per una serie di pastoie burocratiche tra il Parco dell'Arcipelago Toscano, il Comune di Marina di Campo e la Chiesa, è il più grande a Nord di Roma. Vi si arrivava da una piccola grotta vicino al mare, grazie a un segnale inciso nella roccia. In tutto oggi si contano 700 sepolture, scavate in un fitto intreccio di gallerie, ma ce ne sono molte altre, ancora inesplorate.
Dunque, Agrippa fu il primo. Ma non il primo abitante dell'isola. Le tombe ipogee del periodo neolitico sono la testimonianza di una frequentazione molto antica, proseguita nel Medioevo e prolungata fino al 1535, quando il temibile pirata Dragut uccise tutta la popolazione, distruggendo anche il tempo storico di Pianosa e lasciandola immobile, isolata e abitata solo dal vento. Ci vorranno più di 300 anni perché un altro tempo possa cominciare. E sarà un tempo grave, pesante, ugualmente immobile, di cui Agrippa, recluso senza colpa, era stato - questa volta sì - il primo “consumatore”. Trasformata in colonia penale nel 1858, l'intera isola ha ospitato nella sua solitudine galeotti famosi e temibili, come Renato Vallanzasca, Francesco Turatello, Pietro Cavallero. Inaspettatamente un direttore “illuminato” del carcere, Leopoldo Ponticelli, alla fine dell'800 costruisce il paese destinato alle guardie carcerarie: un porto chiuso tra le case, un arco di accesso dall'unica strada, un grande palazzo turrito la cui forma ricorda vagamente quella di un vascello. È la voglia di infrangere l'immobilità del tempo, di ritornare alla vita. Ma la Storia è spesso nemica dei desideri e agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso trasforma l'isola in una sezione speciale del 41 bis, un super carcere destinato a mafiosi e brigatisti, tra cui Moretti, Curcio, Franceschini, nonché Pasquale Barra, noto al mondo col soprannome di 'o animale, per le sue imprese sanguinarie.
Finita l'emergenza, nei primi anni del 2000, Pianosa cerca il riscatto in un tempo più dinamico e moderno. Ma è troppo tardi: il paese è ormai totalmente in rovina. Solo le targhe marmoree delle strade deserte sono intatte e pulite: portano i nomi di Rocco Chinnici, Emanuele Basile, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Poco distante persino il grande muro Dalla Chiesa, 1 km e 200 metri di cemento per 9 di altezza, equivalente a 60 miliardi di lire spesi nel 1979 sul confine di Cala Giovanna per delimitare l'area del carcere più duro, sta cominciando a cadere a pezzi.
Oggi Pianosa ha comunque aggiunto un'altra misura del tempo a quella immobile e statica che si porta dietro dalla sua nascita. La dimensione del “mordi e fuggi”, quella del turista frettoloso alla giapponese: zainetto in spalla, bagno nel mare cristallino, foto ricordo, possibilmente una pedalata o magari una gita in canoa. Arrivederci e grazie. Ogni mattina nel periodo estivo un'imbarcazione parte da Piombino, raggiunge Marina di Campo e da qui trasporta sull'isoletta centinaia di turisti: si arriva alle 11, si inonda Cala Giovanna (unica spiaggia dove è permesso bagnarsi) e si riparte alle 17. Strano connubio tra il tempo antico e fermo di Pianosa e quello sbrigativo dei vacanzieri con ombrellone, asciugamano e borsa frigo. Due mondi che stridono nella inverosimile ricerca di un tempo comune. Così come stride l'inaspettata scoperta di un'isola ancora intatta con la rassegnata consapevolezza dei detenuti. Anche se il carcere di Pianosa è stato chiuso nel 1998, alcuni reclusi del penitenziario di Porto Azzurro, scontano ancora parte della loro pena ristretti nei confini di questa isola, in regime di semilibertà. Fanno lavori di pulizia, aiutano in cucina, oppure servono ai tavoli e al bar dell'unico ristorante, ricavato nell'edificio esterno al primo ingresso del vecchio carcere. Molti coltivano gli orti, da cui provengono le verdure cucinate per gli ospiti, altri si occupano dei cavalli usati per i giri in carrozza. Nelle ore diurne convivono con i turisti, le guide del Parco, il personale della cooperativa che gestisce il ristorante, le guardie carcerarie. A volte raccontano le loro storie “noir”, più spesso tacciono. Molti di loro hanno un ergastolo sulle spalle, altri pene lunghissime da scontare. Anche il loro tempo non ha tempo, come ormai quello del paese che cade lentamente in rovina, mattone dopo mattone.
Ma sempre di più i visitatori si lasciano rapire dall'incanto di una terra rimasta antica e si fermano per contemplarla la sera e la mattina e per vederla ancora come l'hanno vista Agrippa e i primi cristiani.
Un unico hotel fornisce l'accoglienza: 13 camere ricavate nel palazzo che nell'Ottocento ospitava i direttori del carcere, oggi gratificato da chilometri di prenotazioni. I servizi sono essenziali, l'eleganza un miraggio, i menù del ristorante legati ai prodotti disponibili e alla fantasia del cuoco.
Ma il fascino è il fascino e niente lo può battere, neanche la bellezza più raffinata. Lo sanno bene i rari residenti dell'isola, non più di quanti se ne possono contare sulle dita di una mano. Come Giulia, che gestisce l'hotel, e che ogni sera accompagna gli ospiti in una passeggiata notturna tra stelle e storie. C'è quella del bandito Benito Lucidi, il re delle evasioni, che provò a fuggire con una camera d'aria trasformata in canotto, tradito dal maltempo e intercettato in mare 24 ore dopo da un peschereccio. E c'è quella del detenuto “intellettuale” a cui venne assegnato il compito di gestire l'ufficio postale. Fu lui che nel giro di un anno ordinò pezzo dopo pezzo un canotto da Postal Market e con quello cercarono di fuggire in 3. Ma andò male.
Purtroppo andò male anche a Massimo Masone, direttore del carcere, trovato ucciso nella sua abitazione una notte del 1974. Ancora nessuno sa cosa sia successo veramente, ma la “colpa” fu addossata all'ergastolano che accudiva alle faccende domestiche. Voci romantiche parlano di una bella signora, moglie dell'insegnante dell'isola, di cui l'ergastolano si sarebbe invaghito, e il cui il marito avrebbe ucciso per sbaglio il direttore. Voci portate dal vento, senza nessuna conferma.
Solo le stelle, sentinelle del buio intenso di un'isola quasi totalmente “spenta”, potrebbero raccontarci la verità. Qui il cielo notturno appare ancora più luminoso, un altro tempo senza tempo, con le costellazioni a portata di mano, Giove e Saturno che si fronteggiano mentre la via Lattea e la sagoma rossa della Luna uscita da mare diventano gli specchi dell'armonia cosmica. Non ci sono dubbi che Pianosa, ingannatrice dei naviganti, ha un cuore che batte, basta solo saperlo ascoltare.