Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.
(Albert Einstein)
Sono una mamma, un genitore come tanti, a cui si è aperto un mondo quando a mio figlio di cinque anni, è stata diagnostica la dislessia.
Mio figlio è nato a fine dicembre, ha iniziato la prima elementare quando ancora non aveva compiuto sei anni. Lo vedevo piccolo, giocoso, vivace e, devo ammettere, non ancora così pronto per iniziare la scuola. Non volevo assolutamente trasmettergli le mie perplessità, lui era molto entusiasta di intraprendere questa nuova avventura nel mondo dei “grandi”.
I primi scritti, le prime letture sono state da subito un’impresa faticosa. Il momento dei compiti era diventato motivo di grande stress e malessere per tutta la famiglia. La soglia di attenzione era davvero breve. Numerose scuse per alzarsi dalla scrivania, temperare le matite, buttare la carta nel cestino o guardare fuori dalla finestra.
Inizialmente attribuivo tutto questo al fatto che non fosse ancora così maturo per affrontare questo nuovo percorso. Alcuni atteggiamenti, tipici dei bambini della sua età, facevano pensare alla pigrizia, certamente era molto più divertente stare all’aperto con un pallone che non alla scrivania con la mamma a fare i compiti.
Alcuni suoi atteggiamenti erano davvero di totale “rifiuto”. Libri e quaderni che volano in aria, strappi violenti di pagine e uno sconforto urlato a gran voce.
Qualcosa in me, istinto di mamma, mi faceva pensare che ci fosse altro.
Chiesi subito un colloquio con le insegnanti che non mi segnalarono nulla di particolare.
Presi molto seriamente la cosa e conclusi che l’etichetta che spesso viene data, “il ragazzo non ha voglia di studiare”, non mi convinceva per nulla. Nonostante le insegnanti non avessero segnalato nulla di “particolare” il mio istinto mi spinse a rivolgermi subito ad uno dei migliori specialisti di logopedia per avere un consulto quanto prima.
In studio mi accolse una dottoressa di comprovata età e certamente di grande esperienza. Sorridente, accogliente, una persona che ci sapeva proprio fare con i bambini.
Le raccontai gli episodi che mi avevano fatto sorgere alcuni dubbi e le feci vedere alcuni scritti. La diagnosi fu “dislessia”. Mi sentii un po’ disorientata nel trovarmi ad affrontare un qualcosa che, se non lo si vive concretamente, non può essere compreso.
Con il tempo compresi che il vero nemico della dislessia è l’ignoranza. Nell’ambito scolastico e non solo, la dislessia è considerata un limite, un’incapacità o, peggio ancora, un problema. In realtà, purtroppo, il vero problema dei dislessici è proprio la scuola che non è pensata per valorizzare le diverse modalità di apprendimento. Ed è proprio così che dovrebbe essere vista la dislessia: come una diversa modalità di apprendimento.
L’autostima di un bambino dislessico è minata ogni qualvolta si trovi davanti ad un qualcosa che “non” è in grado di poter fare e non per sua volontà. Alcune difficoltà le avevo riscontrate nella scrittura in corsivo, nella memorizzazione di alcune tabelline, nella lettura di testi da memorizzare e nell’apprendimento delle lingue straniere.
Il percorso di logopedia, durato sette anni, è stato davvero prezioso. Compresi quanto l’apprendimento di un bambino può essere stimolato attraverso metodologie di apprendimento “diverse”, alcune davvero efficaci anche non in presenza della dislessia.
Iniziammo ad imparare le tabelline cantando, a memorizzare le poesie in versione “musica rap” e ad abbinare i colori per apprendere l’analisi logica e grammaticale. Trovai tutto questo straordinario e mio figlio acquisiva sempre più sicurezza in se stesso. I momenti tormentati si erano trasformati in momenti di grande armonia e complicità.
Posso dire di non aver mai visto una persona più determinata di mio figlio. Da subito avrebbe potuto usare il computer ma non lo fece. Non accettava il fatto di non arrivare con le sue forze. Avevo davanti a me un bambino che ce la stava mettendo tutta, consapevole della grande energia che avrebbe dovuto spendere. Non era certamente uno di quei bambini che dopo dieci minuti di studio ricordano perfettamente tutto, lui doveva studiare diverse ore, ripetere ad alta voce e fare mappe concettuali.
Fino alle scuole medie i voti erano davvero poco premianti ma quando ci trovammo a dover scegliere la scuola superiore fu per tutti una grande sorpresa. I professori, vista la determinazione e i progressi suggerirono caldamente la scelta di un percorso liceale.
I risultati furono da subito eccellenti, ottima organizzazione nello studio, costanza, impegno, una metodologia di memorizzazione davvero unica e una grinta da leoni. Ricevette borse di studio e si contraddistinse tra i migliori studenti di tutta la scuola.
Ora mio figlio ha vent’anni, ha raggiunto e sta raggiungendo grandi traguardi nel suo nuovo percorso universitario. È riuscito a coltivare la sua grande passione per il tennis, non limitandosi a praticarlo ma diventando un giocatore professionista e oggi anche istruttore. A breve partirà per intraprendere una meravigliosa esperienza di studio/lavoro all’estero. Direi che anche con le lingue straniere, non è stato un problema.
Un ragazzo dislessico è una persona assolutamente normale, anzi molto spesso il suo cervello ha delle intuizioni geniali.
Vorrei concludere dicendo che la parola disturbo, mi disturba terribilmente! Mi piace molto chiamarla caratteristica, i risultati non sono immediati ma non bisogna mai mollare.