Il giorno successivo, contando sul turno di riposo de “La Gabbia”, entravo trionfalmente a Parma aprendo un varco tra due ali di folla che festeggiavano il mio ingresso gridando: Viva il nostro Imperatore!

Flettevo un po’ le gambe per integrarmi col piccoletto di Ajaccio che era passato da lì il 26 Giugno 1805.

Un bagno di folla come si dice oggi per celebrare la consueta arroganza di chi comanda e vuole dirti cosa fare, imporre il suo stile da misero conquistatore, condizionando la tua essenza di contemplatore. I grandi condottieri sono un manipolo di sfigati cronici installati su arti inferiori pre-adolescenziali, che per ripicca contro i tuoi femori sterminano migliaia di persone.

Il richiamo dei fischietti e dei tamburi mi aveva tolto l’uniforme bonapartiana, scaraventandomi dentro la realtà di una manifestazione di insegnanti contro il governo. Le vene gonfie del collo del capobranco - riconoscibile dal megafono - mi ripresentarono lo sforzo del maschio durante l’accoppiamento tra gnu del documentario di Attenborough della sera prima.

Non avevo nessun titolo per entrare a chiedere informazioni al commercialista di un ricco signore parmigiano morto con un proiettile nella testa. Giocai la carta della sorpresa, della vicinanza fisica senza preavviso.

Avrei verificato come reagiva dando un’occhiata al suo studio, e al limite avrei fornito false generalità, una cosa sempre eccitante. Porca miseria, fare l’investigatore mi piaceva un casino! Nelle cose in cui non c’è da guadagnare niente - e magari beccare anche una denuncia o un cazzotto sul naso - io sono un vero professionista, un fuoriclasse, un talento naturale.
Potevo fondare la Federperditempo.
Nella prossima vita faccio il notaio o il cardinale, giuro!

Qualcuno di buona volontà aprì il cancello senza chiedermi nulla. Un atto fisico affine al mio campanello premuto, inaspettato atteggiamento permissivo in antitesi con la lucentezza prepotente di una targa in ottone in stile “avvocato Taormina”. Gli uffici di via Carlo Pisacane nonostante la vicinanza del battistero di Antelami hanno la stessa sensualità di una sala operatoria.

-Buongiorno, vorrei parlare col dott. Taglialagamba.
-Renato o Bortolo?
-Spero Bortolo.
-Perché?
-Non ho mai conosciuto un Bortolo, Renato invece...

La donna di guardia all’ufficio non provò neanche ad abbozzare un sorriso. L’ironia - per una così - equivale alla vista degli americani sulle spiagge della Normandia nel Giugno del 1944 da parte dei nazisti. Il mio aspetto e il mio modo di fare l’avevano così scompaginata che notò di non aver attuato le tecniche standard di depistaggio “rompicoglioni”.

-Non mi ha detto come si chiama.
-Non me l’ha chiesto.
-Può dirmelo?
-Arsenio Ghelfi.
-Nessun Arsenio con un appuntamento a quest’ora.
-Che sia forse registrato sotto Ghelfi?
-Neanche.
-Scherzavo, in realtà non ho nessun…
-Scherzava?!? Ascolti signore se lei pensa di essere qui a farmi perdere del tempo…

S’interruppe improvvisamente.
Mi ero avvicinato - con aria non spensierata - alla sua scrivania.

-Ascolti signora, le do subito una buona notizia. Se lei mi ordina di uscire, entro 10 secondi, come per magia, non vedrà mai più la mia faccia. Non ho appuntamenti e per anni ho collaborato col signor Ernst Kazirra. Se il dottor Taglialagamba ritiene utile investire del tempo in questa opportunità, io posso regalargli 15 minuti di questa giornata. In caso contrario me ne vado.

Alla parola Kazirra era diventata più mite, come se fossi uno di casa, un perturbatore diventato compatibile agli standard aziendali pur rimanendo “sotto esame”. Un cambio repentino, da segretaria energica coi miti e gentile coi cafoni, una di quelle che dirà che i senegalesi hanno un odore diverso dal nostro e che il Duce ha comunque fatto anche cose belle.

Si girò verso il muro dandomi le spalle, abbassando il tono della voce come le perpetue quando parlano del parroco dal salumiere, consapevoli che saranno comunque ascoltate. In realtà sentivo poco. Captai solo Bortolo e Kazirra, più una mini-serie di tre sessioni da dieci secondi l’una in cui lei ascoltava e basta.

-Il dott. Bortolo chiede se può aspettarlo cinque minuti.
-Posso.
-Vuole un caffè intanto?
-No, la ringrazio. Guardo i quadri da vicino.
-Certo, ci mancherebbe.

I dipinti della sala d’attesa erano belli, s’intravedeva un discreto gusto non consono a un commercialista di via Carlo Pisacane. Ma che dico, sono un inguaribile ottimista! Più probabile che fossero frutto di un’eredità, Bortolo non faceva presagire scorte di raffinatezza.

Si aprì una porta, e un ragazzo dentro a una camicia inamidata con una cravatta marmorizzata mi sorrise con entusiasmo. Colpo di scena, un sovversivo tra noi!

La stanza dalla quale era uscito rimase aperta. Alle pareti c’erano decine e decine di libri antichi.

-Posso entrare a guardare i libri? – domandai all’ex-rottweiler diventata gentile.
-Il Dott. Bortolo preferisce di no, sono da consultare coi guanti appositi.

Senza mai staccare lo sguardo dal suo, dalla tasca laterale sinistra tirai fuori il mio paio di guanti da “degustazione incunabolo”, protetti dentro una busta in plastica trasparente. Glieli esibii con la stessa sfacciataggine, mista a disprezzo, di quando risolvevo le equazioni alla lavagna a quel farabutto di matematica. Lei mi fissò come se un’appassionata di reggae avesse visto Bob Marley. Ai suoi occhi mi ero trasformato da semi-barbone a uomo autorevole, e da lì a studioso impeccabile, nel giro di 7 minuti e 54 secondi, nuovo record mondiale. Probabilmente avrebbe accettato un invito a cena.

Autorizzato dai miei guanti cominciai a passare in rassegna i tomi. Quantificai i volumi in circa 250: tra questi alcuni erano straordinari, rarissimi. Due erano degni di un reato.

-Se vuole sapere quali sono, li ho inventariati tutti. Buongiorno, sono Bortolo Taglialagamba.
-Molto piacere, Arsenio Ghelfi.
-Bortolo e Arsenio, abbiamo nomi non comuni.
-Son solo due nomi.
-Cosa voleva dirmi sul sig. Kazirra.
-Nulla, e lei?
-Guardi che è lei che è venuto a cercarmi?
-Certo, tuttavia lei senza che io avessi un appuntamento mi ha ricevuto. Entrambi sappiamo qualcosa inerente al signor Kazirra ma vorremmo solo sentire cosa sa l’altro.

Il commercialista non poté evitare un’attutita risata.

-Sono rimasto molto colpito dalla morte di Ernst. Ci conoscevamo da tanto tempo, era uno dei miei migliori clienti, un uomo delizioso, generoso e rispettoso di tutti. Sempre di buon umore. Non posso immaginare che abbia compiuto quel gesto.
-Credo che immaginarlo sia la giusta definizione.
-Cosa vuol dire signor Ghelfi?
-Che il suicidio è plausibile ma è l’ipotesi più banale.
-Pensa che…
-Non penso nulla, non voglio farmi influenzare da niente, questa è la sola cosa che desidero.
-Lei cosa fa nella vita oltre a non farsi influenzare?
-Studio, leggo e scrivo.
-È uno scrittore?
-Ha letto i mei libri?
-Glielo confesso, no…
-Neanch’io.

Il commercialista fece partire una risata grassa. Una ghignata non da commercialista, e diciamolo! E io che credevo di essere entrato in un covo di massoni cospiratori.

-Quindi scrive ma non è uno scrittore?
-Perché tutti quelli che cantano son cantanti?
-Ha ragione.
-Lavoro in un ristorante e ho passione per i libri antichi, come il nostro amico Kazirra.
-Capisco. Ascolti, io purtroppo ora ho un appuntamento. Credo che dovremmo vederci ancora.
-Lo credo anch’io.

Suonò il telefono della sala riunioni. Tra le parole che pronunciò nella cornetta disse “che Liliana?”, poi “quando?” e “ha sempre creato problemi”. Pronunciando questa frase mi guardò fisso negli occhi. Non avevamo più niente da dirci. Almeno per questa volta.

Uscii passando davanti alla Libreria Fiaccadori come faccio sempre quando vado a Parma. Alla sera mi aspettava una degustazione di vini lucani all’Osteria Il Tabarro, dal mio amico Diego. Credo sia l’unico posto sul globo terracqueo in cui è rimasta una traccia di ciò che eravamo. Puoi parlare di rugby, di scrittori irlandesi, di blue stilton, vagheggiando la carta dei vitigni estinti.

Raccontai a Diego tutta la storia dall’inizio e della mia visita pomeridiana al commercialista.

-Quel merdone ti ha parlato di sua sorella?
-La sorella di chi?
-Sua sorella Valeria.
-Ascolta Diego, mi presento da un merdone senza appuntamento, senza conoscerlo, per parlare di un suo cliente morto violentemente, e lui dovrebbe parlare di sua sorella?
-Una donna bellissima da ragazza.
-E perché avrebbe dovuto parlarmene?
-Perché fu il grande amore di Kazirra.
-E adesso dov’è?
-Non si sa.
-È qualche anno che non si vede in giro. Qualcuno dice che sia all’estero, altri che potrebbe essere morta. Ma la famiglia ha sempre depistato chi cercasse di scoprire dove sia.

Un sospirone profondo accompagnò l’oste inghiottito dalla cantina.

Ricapitolando: un uomo è morto con un colpo di pistola alla testa in una stanza piena di libri antichi. Tutto farebbe pensare a un suicidio ma la sua antica governante lo ritiene impossibile. Il suo commercialista, anche lui circondato da incunaboli e cinquecentine, è interessato ad avere informazioni da uno sconosciuto, ed è il fratello del grande amore del defunto. E questo grande amore non si sa dove sia, all’estero o al Campo Santo, o chissà dove.

Un bel casino.

Come mai ho risposto a Pietro Gibellini quella sera? Io lavoro in un ristorante, non c’entro con defunti con un colpo in zucca. Perché stasera sono a Parma dentro a questa storia? Per fortuna che c’è Diego.

Ci eravamo messi in mente di fare le carte monografiche dei vini. Quella sera dopo aver bevuto i vini lucani, riuscimmo a scrivere della Malvasia, il vitigno camaleontico che troviamo nel Carso, sui Colli Romani, nel Salento, a Salina ma anche in Slovenia, Grecia e Catalogna. Vignai da Duline, Marko Fon, Marco Merli, Ribelà, Vigna Cunial…

Per fortuna che c’è Diego.