Alzato presto, fatta colazione, aperta la finestra, aperto il computer, aperta la posta, lette le notizie, guardato fuori per strada, aperto Facebook e Twitter, letti i messaggi. Il mondo Twitter è taccagno, legge quello che posti, ma non ti mette un like manco se lo paghi, quello di Facebook è sempre generoso, poi senza seguirlo mi rendo conto che ho del seguito anche su Instagram, e non sono pochi.
Ci hanno imposto il dimmi quanti like hai e ti dirò chi sei.
E io avrei bisogno di un’assistente che seguissi tutto ciò.
Ho visto passare al largo, a vele spiegate diverse personalità che hanno aiutato il mio percorso, che assistevano il mio fare, che mi davano una mano per compiere i miei compiti curatoriali. Ma la Torre di Babele ha diverse strade, porte e muri, scale sconnesse, da dove passare per raggiungere la cima.
Come la moviola delle trasmissioni televisive, rivedere con il senno di poi, con la memoria della partita e del suo risultato finale, quelle immagini, ci aiutano a dipanare la mente da alcuni pregiudizi.
L'occhio si trova di fronte a una luce. Attraverso ombre, penombre, intensità differenti, riflessi e trasparenze, essa vibra magicamente sotto un cielo notturno o nell'atmosfera diurna, muovendosi ininterrottamente sul percorso che collega la sfera dell'anima alla sfera del corpo.
Ebbe sussulti, ebbe parole discontinue, ebbe qualcosa di paragonabile, ma abile, qualcosa di non raccontabile, non detta, ma nemmeno pensata. Seduto ad aspettare, aspettando seduto nel pensare che quella era stata un’ottima occasione.
L'altro giorno pensavo che cosa sarebbe il top? Svegliarsi a mezzogiorno e dopo il caffè attraversare il Campo del Palio di Siena canticchiando una canzone di Palmenia Pizarro. Poi però c'è chi preferisce una nobile conversazione giusto sotto il Circolo degli Uniti.
Dicono che in quei salotti venga naturale quasi non respirare cercando di non disturbare la quiete in cui il circolo è avvolto.
Ricorrere ai pensieri cercando di non ricordare e risorgere negli interstizi intrecciati fra di loro e non saranno bisbigli, cose pensate e mai dette. Non diventeranno mai l'essenza di cose assestate, di cose assistite. In conclusione, l'errore dell'essere e del continuare ad essere, scrivendo quel libro in cui siamo già scritti.
È la ricerca dell'equilibrio la più importante caratteristica della poetica ed è uno dei principi fondamentali della composizione classica. Ma l'equilibrio non è decifrabile attraverso il pensiero, non rappresenta un modello mentale basato su leggi matematiche. Ci si può avvicinare soltanto scavando dentro se stessi, perché questo equilibrio è pura armonia emotiva, ricercata attraverso l’impalpabilità delle presenze.
Esce il sole. Fa caldo. Arrivano le nubi, gli indiani con gli ombrelli, da cinque scendono anche a due euro; piove come se si fosse rotto il cielo. Grandina, smette, c’è il sole, piove. Che fatica! Era meglio andare direttamente ai Caraibi.
Dopo tutta sta pioggia, non è che diventeremo anglosassoni?
Per alleggerire l'ansia di quelle intermittenti gocce mi dilettavo sui social ad inviare questi detti ogni cinque minuti, mentre lo facevo non ho mai smesso di ridere, pensando che chi leggeva facesse altrettanto:
Paese che vai... pioggia che trovi!
A carnevale la pioggia non vale. Acqua passata, soprattutto se di pioggia! Non macina più. A lavar la testa all'asino ci pensa la pioggia. Alla pioggia non si comanda (mannaggia!). Alla pioggia se gli dai un dito si prende tutta la mano. A pioggia estrema, estremi rimedi. Ambasciator non porta pioggia (per favore!). Amor nuovo va e viene, la pioggia vecchia si mantiene. Campa cavallo che la pioggia continua. Pioggia che abbaia non morde. Chi di pioggia ferisce, di pioggia perisce. Chi dorme non piglia piogge. Chi è causa della propria pioggia, pianga se stesso. Chi semina vento raccoglie tempesta (e vabbè!). Chi si contenta si bagna. Chi va piano va sano e va lontano (ma, dove?). Cuor contento il ciel l'aiuta (è uno scherzo, vero?). Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle. Cuor contento il ciel l'aiuta (ahahahahahahahahah). I panni sporchi si lavano in famiglia. E per finire: la goccia scava la pietra (ecco!!!!!)
Sarà (è) difficile esser poeta cileno fuori dal Cile? O è impossibile essere fuori e ciascuno è soltanto dentro: dentro la mela, dentro l'ombra, dentro la forma, dentro il ritmo, dentro la tipografia audace e dentro l'immagine e le smorfie, i gesti, i tic di un modo di far poesia che ogni volta dimentica/ricorda, azzera/moltiplica le radici? Mi domandava anni fa, il mio amico Ignazio Delogu.
Affondare nel sonno e non affondare nel sogno, a proposito di detti.
Mi dicono che a San Telmo, a Buenos Aires, c'è finalmente un bel sole. Lì nel mercato, sembra che ci sia gente che suona gli stessi Tanghi da cent’anni. Forse è questo l’elisir che allunga la vita?
Mi sento come un cuore disteso al sole.
Scacco matto il re e la regina se il cielo è una scacchiera e se il sole si ferma cubicamente! Ma in solitudine, come il richiamo del temperino, il pensiero si muove, si muove, lascia il centro per battere scintille sulla periferia. Uno incontra un bisturi in mano mentre la voce umana si allontana e riecheggia ancora debolmente, la campana persa nelle profondità dei mondi. Oggi sto agli antipodi. È un insetto, un uccello, un serpente a sonagli che si aggirano intorno a me? Sono in agguato. Trattengo il respiro. Lo scrivo.
(Blaise Cendrars, Elogio della vita pericolosa).
Ecco cominciano ad arrivare messaggi alla mia richiesta di assistenti, sentite questa:
Sì, che ha bisogno di un’assistente l'ho capito, ma relativa a quale attività? Dato che lei fa il poeta, il traduttore, il giornalista, teatro, il curatore di mostre, ecc., ecc. rimane difficile poter intuire cosa le passa per la testa.
Mi sa tanto che la prendo.
Tempo fa sono stato in visita ad un campo nomadi alla periferia di Roma. I ragazzi ne percorrono i limiti, si abbandonano a giochi innocenti, provocatori, satanici, e tutto ci si mostra anomalo perché non sappiamo dove andrà a finire. La base militare di Guantanamo, un obitorio clandestino, la scena di una guerra, il viso di un disperso, immagini di esplosioni in Iraq, crimini di guerra e di lesa umanità, luoghi devastati dai conflitti ci vengono proposte di maniera deduttiva e piene di armonia, e sembra di essere dentro un film appena uscito su Netflix, dove attraverso tutte le tonalità ti mostrano il terrore, quali bravi trapezisti del linguaggio ci mostrano integrando la nostra quotidianità, il panorama delle cose che abitano il nostro mondo.
Ma perché essere qui è molto, e perché sembra che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri. Ogni cosa una volta, una volta soltanto. Una volta e non più. E anche noi una volta. Mai più. Ma questo essere stati una volta, anche una volta sola.
(Rainer Maria Rilke)
Insomma, non si tratta di creare blasfemia. Al contrario, si tratta di scagliarsi contro l'ipocrisia di chi bada più all'apparenza che all'essenza delle cose.
Se non ti conosco, Non mi Taggare, se ti conosco Nemmeno! Invece semplicemente di autopromuoverti, solidarizza, incazzati, dicci qualcosa di veramente umano, lo vedi che ti sta succedendo attorno? Cazzo!!!
Vi è mai capitato di rivedere amici che non vedevate da quindici, sedici anni e incontrandoli affiorano gli stessi sentimenti, le stesse sensazioni, di quel vissuto? È come trovarsi coi fratelli, la stessa emozione intorno a un piatto, una bottiglia, lo stesso amore. A me è successo oggi, esco col cuore stellato, scintillando.
La mia divina ospite non si tradisce mai. Poi la bellissima artista che fa le veci di operaia come un'ape regina costruisce passo a passo l'alveare. Io osservo da lontano, in silenzio e con somma ammirazione la nascita dell'opera e approfitto del wireless. Dormo poco, mi assumo l'ansia del debutto.
Ore 14.15: sono alla stazione degli autobus a Tiburtina è un caos. Vai in biglietteria e nessuno sa niente di niente... Mi metto l'anima in pace, aspetto vicino al pullman, cercando di capire. Qualcuno mi saluta calorosamente. Sono Marco. Io penso un secondo: Marco! Certo che mi ricordo, ma stai andando a Pescara? Sì anche tu? Vieni da Sibilla Panerai? No, vado allo spazio Alviani, alla mostra di Gino Sabatini Odoardi. Bello però, ci si ritrova andando a Pescara come una volta. Mi viene alla mente quel commento su Pusole che stamattina ha postato Helga Marsala; a Pescara ho visto per la prima volta il Tir rovesciato della Paola Pivi, ho conosciuto Cesare Manzo, Cesare Pietroiusti, ho potuto apprezzare il lavoro di un esordiente Pino Boresta. Di Marco Fioramanti ho scritto in un servizio dedicato alla Roma degli Ottanta: Marco faceva parte del gruppo multimediale Trattista. Il mio servizio riguardava quell'intero momento.
Intanto finisco una conversazione online: dicono che nella miniera sono avvenuti due miracoli: uno, che sono vivi, e due, che la maggior parte di loro, che non aveva mai scritto una lettera d'amore, ora lo ha fatto.
In un sogno ho attraversato tutta Santiago, sfuggito dai grandi eventi. Tassì e chilometri per arrivare dall'altra parte della città "dove non vive nessuno", come ama dire certa gente del Cile e ritrovare la tua madre tutta vestita di blu, più bella della luna e tua sorella che è una vera stella.
Poi decido che è ora di fare una pulizia generale. Sacchi e sacchi di vestiti da buttare; snellire gli armadi, i cassetti. Poi giusto premio, frittata di spaghetti, insalata verde e birra analcolica.
Che ne dite oggi, un po' di Viterbo, un po' di lago Bolsena, Marta??? (nonostante la mia melanconia lacustre!).
Ho scoperto di essere affetto da una strana patologia, la melanconia lacustre. Molti anni fa ero andato con tutta la famiglia Barattini-Contreras ospiti della famiglia Giuliani al lago Trasimeno mi successe che non appena arrivati all'isola che si trova al centro del lago, restai senza respiro, mi distesero e mi riportarono subito a terra. Il medico mi disse che ero afflitto da melanconia, da quel giorno l'ho aggiunto direttamente sul curriculum.
Comunque solo uno di loro ebbe la meglio, ed era un giovane venuto da lontano ma capace di guardarlo a distanza e anche a distanza regalargli il cuore.
Parlando di amici vicini e lontani nel tempo, devo farvi una confessione. Ieri, per il passaggio a Roma di una cara amica, ci siamo trovati con un gruppo di amici, alcuni di vecchia data, altri di recentissima memoria, una vera rimpatriata, un raduno in cui si è parlato, scherzato, mangiato e bevuto. Ma è stato soltanto alla fine della serata, quando ormai non rimanevano che due, tre persone, che ci siamo resi conto che nessuno nella serata aveva fatto una foto, un selfie, aveva inviato un messaggio con il telefonino né usato WhatsApp. Nada de nada. Sono addolorato. Vi giuro che non succederà più!