C’è un’Isola che non c’è per ogni bambino, e sono tutte differenti.
(Peter Pan)
La parola “nostalgia” è una parola composta, viene dal greco (νόστος – ritorno – e άλγος – dolore) e significa “dolore del ritorno”.
Anche l’emozione che descrive è composta, intessuta di sentimenti contrastanti che comprendono sia la tristezza che la felicità: è il dolore dell’assenza intrecciato al senso di appartenenza.
L’unico luogo al mondo per cui provo un’irrimediabile nostalgia è un’isola greca, Naxos. Avevo deciso di dedicarle una delle “piccole guide emotive” che avrei scritto da quest’isola dove da anni mi ritiro ad ogni giugno, interrompendo il mio legame con la “civiltà” e attendendo il solstizio d’estate.
Quest’anno il destino ha ridisegnato le nostre traiettorie e la “mia” isola è diventata irraggiungibile. Ma il suo ricordo è così vivo che la posso respirare e sentirla sulla pelle, perché l’aria di Naxos è diversa, più limpida e pungente che in ogni altro luogo, e profuma di gelsomino ed elicriso.
Naxos non è solamente un luogo, è una relazione emotiva irrazionale e inevitabile, non un’infatuazione ma un amore fatale e irrimediabile. Naxos è il colpo il colpo di fulmine che si rivela in un battito mancato del cuore, ti toglie il respiro, è un amore a prima vista.
Come tutti i grandi amori non lo scegli: ti piomba addosso e si prende un pezzo della tua anima.
Per chi se ne innamora, Naxos è L’isola che non c’è, la fantasia e il sogno, la libertà e la felicità raggiunta. Ed è lo strappo che ti lacera ad ogni partenza, mentre la guardi allontanarsi e rimpicciolire dietro la scia della nave che ti sta portando via.
È una promessa, sempre la stessa: “Ritornerò”.
La prima volta che ci sono sbarcata era il 1987, attraccando al porto ad attenderci c’erano tre donne vestite di nero, il capo coperto da un fazzoletto, che domandavano timidamente a chi approdava “Éna Domátio”?
Il traghetto da Atene era piccolo, lentissimo e strapieno di ragazzi con lo zaino, in viaggio con pochissimi soldi in tasca e tantissimi sogni negli occhi.
Allora il turismo di massa non era ancora stato inventato, o perlomeno non aveva raggiunto le isole dell’Egeo. Le infrastrutture erano quasi inesistenti, si dormiva sulla spiaggia di Plaka con il sacco a pelo o in capanne di canne che ognuno si ingegnava a costruire, con risultati che potevano variare da una misera baracca a una buona imitazione di uno chalet svizzero.
Avevamo a nostra disposizione 5 chilometri di spiaggia, un sogno di sabbia bianca davanti ad un mare caraibico sotto il cielo più blu che avessi mai visto, c’erano solamente quattro taverne dove si poteva mangiare, perdersi in lunghissime partite a Tavli, ma anche fare la doccia.
Il nostro supermercato era un vecchio con un asino che passava lungo la spiaggia vendendo frutta; vivevamo di insalata greca e pane e ogni cosa era biologica e a chilometro zero, molto prima che entrambi i termini venissero coniati.
La luce elettrica alimentava poche lampadine e la notte il cielo si riempiva delle stelle più luminose che abbia mai visto; dormivamo con la sabbia come materasso e la Via Lattea come soffitto, il rumore del mare e del vento a cullava i nostri sogni.
La mia immagine della Libertà è ancora indissolubilmente legata a quel periodo, vivevamo un sogno, l’archetipo dell’Isola come luogo fuori dalla società, eravamo dei Robinson Crusoe ventenni che scoprivano riti antichi e i ritmi della natura.
Se arrivassi a Naxos oggi, non so se ci rimarrei a lungo. Il turismo ha cancellato molto del fascino selvaggio dell’isola che si è dovuta piegare alle esigenze e alla vanità di avventori le cui richieste sembrano essere illimitate quanto il loro bisogno di cose inutili.
La spiaggia di Plaka è sparita sotto lettini e ombrelloni, sono arrivate le automobili a noleggio e il traffico, l’inquinamento luminoso si è portato via la Via Lattea.
Il numero delle taverne è aumentato in modo esponenziale assieme ad un numero crescente di ristoranti dove chi proprio non vuole sentirsi in Grecia può mangiare la pizza o i tacos ascoltando reggae.
Anche una camera con vista sul paradiso non è più sufficiente, i turisti vogliono l’albergo con piscina e il lounge bar e perdonatemi, ma una piscina davanti all’Egeo è un insulto all’intelligenza e al buon senso.
I tempi dei Figli dei Fiori (di cui noi eravamo i nipoti…) sono finiti, i ragazzi che viaggiavano con lo zaino si sono estinti e con loro sembra essere scomparsa quella capacità che permetteva a chi viaggiava di adattarsi a ciò che trovava, con un senso di meraviglia e gratitudine.
Portare in viaggio le proprie abitudini uccide non solo quel senso dell’avventura necessario per scoprire nuovi territori, ma anche parti inesplorate della propria anima che rimangono coperte e soffocate dal telone della consuetudine.
Ma nulla ha potuto cambiare i colori del mare, che a Naxos comprendono tutte le sfumature possibili del blu, dal celeste all’oltremare, dal fiordaliso all’acquamarina al cobalto di Van Gogh.
Oltre alle spiagge di sabbia bianca e ad un mare che ha una trasparenza tale da darti la sensazione di nuotare nel cristallo liquido, l’isola ha ancora moltissimo da offrire ed è diversa da qualsiasi altra isola greca.
Gironzolando nella Chora, la capitale, vi può capitare di imbattervi in qualche turista che si aggira per le stradine che portano alla Rocca commentando un po’ stupito: “Non ti ricorda un po’ Venezia?”
Sì, ricorda proprio un po’ Venezia.
Il motivo c’è.
Di ritorno dalla quarta crociata, un veneziano di nome Marco Sanudo ebbe la bella pensata di autoproclamarsi duca dell’isola. Sembra che la conquista dell’isola non fu particolarmente drammatica: Sanudo non fece altro che sbarcare, annunciare agli abitanti che Naxos diventava un ducato della Serenissima e quelli non ebbero nulla da ridire.
Fu Sanudo a costruire la rocca fortificata al posto della antica Acropoli: se salite verso il Kastro e guardate con attenzione potete vedere qualche capitello o il resto di una colonna usati dai veneziani come materiale edile.
Il dominio veneziano durò più di trecento anni, fino a quando nel 1537 l’isola venne conquistata dal pirata Hayreddin Barbarossa, diventando parte dell’impero ottomano. Ancora una volta la conquista dell’isola fu un evento sostanzialmente pacifico, e di fatto i veneziani continuarono ad amministrarla esattamente come prima: cambiò solo il destinatario a cui spedire i tributi riscossi.
La Chora è un gioiello che da solo vale una visita all’isola e, come per Venezia, la regola principale da seguire è: smarrirsi.
Entrate dall’Old Market e lasciatevi alle spalle la zona più turistica e più vicina al porto, salite verso il Kastro, perdetevi nelle stradine tra gatti greci, esplosioni di bouganville, vecchie case padronali e un silenzio a volte irreale. C’è una bellissima chiesa cattolica costruita nel XIII secolo, e la antica Scuola delle Orsoline, ora convertita a centro culturale, dalla cui terrazza - che ora ospita il 1739 Terrasse Café - si gode una vista strepitosa.
Un edificio del tredicesimo secolo costruito attorto a delle colonne del periodo greco arcaico ospita un negozio di antichità chiamato "Antico Veneziano”, ed è un luogo magico. Con un po’ di fortuna, potreste trovarci qualche opera di uno scultore geniale: Ingbert Brunk.
Terminata l’accademia d’arte a Berlino nel 1985, Brunk è partito alla ricerca del “suo” marmo. Dopo aver girato mezza Europa, è arrivato alle cave di marmo di Naxos, da cui si estrae un marmo morbido e screziato, il bianco abbagliante è segnato da venature imprevedibili. Era il materiale che il giovane artista cercava, e che lo ha spinto a stabilirsi sull’isola. Se volete concedervi un’avventura, cercate di visitare il suo atelier ad Azalas, vicino a Motsouna.
Se volete mangiare in “città” ci sono moltissime taverne che possono fare al caso vostro, ma se siete alla ricerca di un’esperienza culinaria un po’ diversa andate senza indugio da Typografio. Ne vale la pena. Questo locale deve il suo nome al fatto che l’edificio che occupa è stato una tipografia, dove nel 1922 tale Anthony Champas iniziò a pubblicare il primo giornale dell’Isola, La voce di Naxos-Paros. Nel 2004 il posto venne rinnovato e convertito in un ristorante a gestione familiare che reinterpreta la cucina tradizionale con un tocco contemporaneo. Le materie prime provengono tutte dall’isola, ed il menu è favoloso.
Con un po’ di fortuna nella piazzetta antistante potreste trovare dei giovani musicisti di strada che vi offriranno musica greca suonata con maestria e passione, arricchendo la vostra serata con una colonna sonora straordinaria. Prima di andarvene, lasciate qualcosa nel loro cappello, e siate generosi.
Una vera a propria istituzione dell’isola vi permetterà di trascorrere le vacanze in compagnia di un libro che, se saprete scegliere con saggezza, vi offrirà un viaggio nel viaggio. A pochi passi dalla Paralia, la strada davanti al porto, troverete Papyrus, un meraviglioso negozio di libri di seconda mano. La scelta è enorme: i libri, in sedici lingue diverse, sono ordinati sapientemente nei loro scaffali, e spaziano dai classici alla letteratura contemporanea, dal saggio al best seller da leggere sotto l’ombrellone. Nel caso veniste colti dall’improvviso desiderio di indossare qualcosa di speciale o vi ricordaste un imminente compleanno, una sezione della libreria ospita delle vetrine di gioielli in argento.
Se volete provare la cucina greca tradizionale guardando un tramonto spettacolare e ascoltando musica greca di qualità, all’inizio della spiaggia di Plaka c’è la Taverna Paradiso. Paradiso di nome e di fatto, il ristorante della famiglia Karamanis serve i piatti classici della cucina ellenica, pesce freschissimo, verdure del proprio orto, il tutto condito con molta gentilezza. Il Boss, Vangelis, siede alla cassa come un capitano al timone della propria nave, ed ha un profilo che sembra copiato da una antica moneta greca. I tavoli sotto l’albero sulla spiaggia sono diventati una delle immagini più gettonate dai social media.
Naxos è grande, e bellissima. Il paesaggio può cambiare bruscamente da brullo e desertico a lussureggiante, ognuno dei villaggi dell’interno ha caratteristiche proprie ed una forte identità.
Andate alla scoperta di questa isola incantevole e incantata, tra siti archeologici, cave di marmo, valli e montagne (il monte Zas è il più alto delle Cicladi, con un’altitudine di 1000 metri).
Se noleggiate una macchina vi daranno una mappa dell’isola: oltre a un po’ di spirito di avventura e una buona dose di curiosità, non avrete bisogno d’altro.
Quando raggiungerete Apeiranthos, fermatevi a bere un bicchiere di vino per Manolis Glezos. La figura di Manolis Glezos è leggendaria: scrittore, rivoluzionario, eroe della resistenza e di tutte le successive lotte per la democrazia in Grecia, è nato in questo bellissimo villaggio di cui è stato sindaco. Entrò nella storia quando nel 1941 si arrampicò con un amico sull’Acropoli di Atene e strappò la bandiera nazista che vi sventolava: un gesto epico e folle, che così ha descritto in una intervista: “Io e Apostolos Santas non ci sentivamo per niente contenti di vedere quel drappo rosso sopra la città. Il Partenone era il nostro campo giochi, il nostro simbolo, la nostra storia e il nostro orgoglio. Che cosa ci faceva quella croce uncinata lassù? Conoscevamo ogni cespuglio, ogni albero, ogni pietra della collina. Tra le colonne spezzate, ci muovevamo come gatti. Siamo arrivati all’asta della bandiera da un passaggio antico e abbiamo cambiato la svastica con la bandiera greca. Al mattino, tutta Atene ha visto il nostro drappo azzurro. I tedeschi erano furibondi. Noi tremavamo di paura, ma quanto abbiamo riso, quanto abbiamo riso”.
Visitate la bellissima Apeiranthos, con le sue stradine lastricate di marmo, i suoi musei e le sue torri, sedetevi in una taverna, ordinate del vino e fate un brindisi a questo indomito ribelle.
Se vivrai, non dimenticarmi. Sentirai il frangersi delle onde per me, danzerai anche per me, berrai il vino per me… vivrai per me.
(Manolis Glezos)