Nullo Mazzesi ci ha lasciato scavando un vuoto insospettabile nelle persone che lo hanno avvicinato di persona o attraverso le sue opere. I suoi lavori risentono tanto della sua presenza, impressa quasi carnalmente, con quella modalità sanguigna da romagnolo appassionato e arrabbiato con la vita, trasfondendo loro quel tremore del vivere che si percepisce scorrere vibrante nei quadri, nei disegni e persino nelle stampe a cui si dedicava pazientemente con una precisione raffinata, un ricamo dal tratto sensibile ed ostinato allo stesso tempo.
Amore e odio per la vita con cui ha intessuto un rapporto a volte ardente, altre di gelido rifiuto, ma sempre con la focosità che lo contraddistingueva. Non si è mai tirato indietro, ma sempre con lo sguardo acceso e la mente in fermento è avanzato con forza e coraggio, impavido guerrigliero dell’avventura del vivere. Ha voluto e saputo vivere tutto, il bello e il brutto, il nuovo e l’antico, il difficile e lo scontato, le scoperte e i ricordi, provando entusiasmi che lo accendevano e nostalgie che gli laceravano l’anima.
È stato segnato da tante delusioni e ferite, ma i momenti belli in cui si sentiva riconosciuto e amato gli davano una gioia tangibile e un’energia che lo rendeva capace di inventare e creare il mondo.
Ricordo gli occhi solitamente spalancati con ingenuo stupore sulla vita e raggianti per il grande piacere degli incontri amicali, in quei momenti sembrava personificare la felicità, come anche poteva succedere che appuntamenti disattesi lo facessero piombare in tristezze infinite e in rimuginii rancorosi, quasi da animale ferito.
E questa oscillazione tra il bello e il brutto è stata la lotta di sempre per Nullo, l’agone continuo tra Eros e Thanatos l’ha messo a dura prova fino in fondo, l’ha stremato senza pietà, l'ha consumato anche se, paradossalmente, allo stesso tempo ne era nutrito, era come una guerra che intimamente ricercava, forse per sentirsi vivo. È caduto tante volte e tante volte si è rialzato con i pugni in tasca e con la grinta speranzosa nel cuore. Ma ora questa battaglia è terminata, Nullo ha deposto le armi, ha fatto la pace con se stesso e con la vita tanto amata e tanto temuta e si è concesso con la solita curiosità e arguzia di volare verso chissà quali nuove esperienze, quali incontri, sperimentazioni, quali impensabili colori che a noi, terreni, non è concesso di vedere.
Se ne è andato silenzioso, inaspettatamente, senza fare troppo rumore, ma ci ha lasciato come segno tangibile della sua personalità caleidoscopica pitture stupefacenti, toccanti, che lasciano a bocca aperta per la sorpresa o colpiscono come pugni allo stomaco per la loro irruenza e dolorosità.
In qualsiasi caso fanno comunque sentire il cuore in gola perché parlano il linguaggio universale delle emozioni profonde, parlano di paura, di gioia, di confusione, di terrori, di bellezza, di poesia. Presentificano le sensazioni ultime, impensabili e quindi indicibili. Alcune sono creazioni violente, suscitano fastidio e, a volte, addirittura repulsione, dipingono spudoratamente l’inconscio senza filtro, sono mostruosamente stupende, altre sono delicate, raffinate, soffuse di tenerezza, altre ancora sono estremamente sensoriali, erotiche, alcune anche con tonalità perverse.
Tenero e graffiante è lo stato anche Nullo con la sua sensibilità estrema, la sua generosità, ma anche con la sua passionalità e impetuosità. Le sue rabbie infuocate incendiano ancora i luoghi che ne sono stati testimoni stupefatti. La sua opera è unica, personalissima, attinta con passione ed ostinazione dalle viscere del suo mondo interno che ha osato visitare quasi con spudoratezza, incurante delle barriere e dei divieti, quasi volesse sfidare le leggi degli uomini e violare il luogo degli dei.
Ha saputo pescare nel profondo, con tuffi vorticosi e pericolosi, ma ormai per lui familiari, impunemente entrando ed uscendo dal limite, sono tuffi che raggiungono abissi meravigliosi e mostruosi, arrivando là dove si coniuga l’innesto tra psiche e soma, presentando in diretta nei suoi lavori quel luogo-senza-nome che è difficile e, spesso, riduttivo tradurre in parola, ma che richiede di essere contemplato in una sorta di unione mistica dove il linguaggio ancora non trova forma, ma vige il silenzio e il contatto intimo tra inconsci in una visione al di là del verbale.
La poetica di Nullo Mazzesi è un “dipingere come sognare” e per incontrare l’artista e tollerare l’angoscia che vibra dalla sua opera occorre essere disponibili emotivamente ad entrare in una dimensione oniroide, lasciarsi toccare da turbamenti urticanti, dolorosi e permettersi di sognare insieme a lui volteggiando sulle ali della visionarietà.
I suoi quadri vivono e risuonano della sua persona, riempiendo così il vuoto doloroso che la sua scomparsa ci fa toccare. Le sue opere sono pensieri frutto di libere associazioni o di sobbalzi dell’anima, sono lì, disponibili sempre a nuovi incontri permettendo che si verifichino accoppiamenti differenti, estatici o repulsivi, teneri o arrabbiati, comunque unici per rinnovare questo incontro ineffabile.
Ricordo con emozione la prima volta che visitai il suo atelier, sono stata invasa da centinaia di quadri dai colori assordanti e dalle forme intriganti, ma uno su tutti mi ha incantato e continua a risuonarmi dentro con l’identica forza magnetica di allora. Si tratta de Lo spavento della guerra. L’urlo della bambina che ne è ritratta si era fatto avanti con irruenza, sgomitando tra le altre tele o forse è stato il mio occhio a fare da zoom, sta di fatto che mi è subito arrivato addosso come un proiettile caricato di pallottole d’angoscia, “ma è la psicosi”, mi sono detta con emozione.
Si tratta di un urlo muto e assordante accompagnato da uno sguardo terrifico e raggelante di chi ha visto l’orrore della vita, è la visione della guerra sì, ma anche della guerra interna, dei fantasmi che si aggirano per le stanze buie della mente, è il terrore della solitudine, della mostruosità irrappresentabile del dolore e dell’angoscia di morte. Forse questo inquietante dipinto, reso ancora più stridente dai colori sgargianti del vestitino della bimba che sembrano sbeffeggiare le tenebre che abitano l’interno, rappresenta anche il vissuto terrifico di Nullo, che mette in scena con la bambina la sua parte fragilizzata da un trauma vissuto in gioventù e l’orrenda sensazione dell’essere in balia del terrore senza nome. L’urlo, in realtà, è anche un modo per sentirsi vivi, è una condensazione di energia che contrasta il venir meno delle forze, che si ribella con rabbia contro l’essere fagocitati dalla morte.
Gli occhi, pieni di terrore senza nome, catturano per l’intensità dello sguardo, per l’angoscia che ti si appiccica addosso, perché sono caverne inquietanti dentro cui si può inesorabilmente cadere, perché parlano la paura di tutti, guardano disperati in obliquo come per scappare via da una realtà insopportabile, sono occhi quasi osceni tanto mettono a nudo l’angoscia esponendola senza pudore, ma sono anche occhi che urlano bisogno di consolazione, condivisione, vicinanza, occhi che si aggrappano ferocemente ad un sostegno sicuro per poter continuare a guardare la vita per non doversi spegnere per sempre.
Anche la bocca è una voragine urlante, ma, se si guarda con attenzione, si intravede chiaramente sul fondo della gola una sorta di falce di Luna che rappresenta presumibilmente l’ugola. Cosa avrà voluto significare Nullo? Quale pensiero, quale storia in quella Luna, astro tanto cantato da poeti, da musicisti, da innamorati, conficcata nella gola della bambina?
Shakespeare immagina la luna così: “È colpa della Luna, quando più si avvicina alla Terra, rende gli uomini folli” e Oscar Wilde nella sua Salomé canta: “Guarda la Luna. Ha un’aria strana la Luna. Si direbbe che esce dalla tomba. La Luna sembra una donna morta. Si direbbe che cerca dei morti… Sembra una principessina dai piedi d’argento, che porta un velo giallo. Sembra una principessa dai piedi come due colombe bianche … si direbbe che stia ballando.”
Quante infinite, meravigliose immagini e tu Nullo, la tua Luna nascosta cosa sta urlando? Cosa narra, balla o canta? Da te ormai non lo sapremo mai, ma la magia di sognare e di inventare tante storie sulla tua luna, l’hai regalata a noi…
È vero che molte delle opere di Nullo Mazzesi rappresentano l’angoscia del vivere, sono lavori che danno forma all’esperienza del tragico, tanto da poter essere apparentati alla tragedia greca. Ma queste svelano solo il lato buio dell’artista, esiste in realtà un’altra parte, proprio come la Luna, quella parte luminosa che è sopravvissuta ed è stata riparata dalle violenze subite nell’arco della vita e che ha continuato, infaticabile, a risplendere. È la parte che inneggia alla speranza, che prova gratitudine, che tratta con cura e rispetto i sentimenti e le relazioni e che si rivela nei dipinti con colori tenui e delicati, ma è soprattutto nella poesia e nell’opera grafica che si lascia intravedere, dove il tratto e i contenuti rivelano con tocco delicato la sensibilità dell’anima.
È con estrema commozione che ripropongo questi suoi pensieri profondi:
Ho deposto in uno scrigno dorato un foglio piegato con resti di memorie sofferte, di miserie e di guerre. …Nella pittura, nella grafica, nei racconti, nelle poesie ho vagato come nel giardino del Paradiso. Se da piccolo ho vissuto tutta la vita in un sol giorno, ora, nei sentieri stretti della vecchiaia, mi sembra di vivere ogni giorno tutta la vita.
Ecco caro Nullo, ora sei davvero nel giardino del Paradiso tanto vagheggiato, dove puoi vagare a piacimento e all’infinito, “…animula vagula blandula…”, puoi odorare profumi inebrianti, ascoltare suoni mai sentiti prima e guardare coi tuoi occhi sgranati tutta la bellezza che ti appartiene.