Il giudizio sull’abbigliamento e più in generale sul look è arrivato a soppiantare completamente la valutazione razionale ed obiettiva delle persone, delle azioni e delle situazioni.
Prima c’è stata una spietata critica a Carola Rackete, capitana della SeaWatch 3, la ricordate? Una donna che parla correttamente quattro lingue, laureata in Scienze Nautiche, con Master in Conservazione dell’ambiente conseguito in Inghilterra, a 23 anni già al timone di una nave, al Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi. Ebbene, critiche spietate le sono state mosse a proposito della scelta della canottiera, o dell’assenza di reggiseno.
Poi è stata la volta di Teresa Bellanova, una donna forte e coraggiosa, che dopo la terza media ha lavorato come bracciante, giovanissima è entrata nelle organizzazioni sindacali dei braccianti, si è impegnata contro la piaga del caporalato e oggi è Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. È stata pesantemente accusata per aver indossato un vestito dal colore eccessivamente forte.
Più recentemente, è stato il turno di Giovanna Botteri, che ha al suo attivo una Laurea in filosofia con il massimo dei voti e un dottorato di ricerca alla Sorbonne di Parigi. Giornalista stimata e appassionata del suo lavoro. Lei è stata attaccata per la capigliatura poco curata o non in linea con il look del momento.
L’ultima (speriamo) è Silvia Romano, laureata come mediatore linguistico con una tesi sulla tratta di esseri umani, pur giovanissima già alla sua seconda missione da volontaria in Africa, rapita e rilasciata dopo 18 mesi. Ebbene, da quando ha messo piede sul patrio suolo, le critiche si sono accanite sull’abito, indossato dalle donne islamiche.
Non intendo qui entrare nel merito delle azioni e delle scelte compiute da queste donne, che personalmente ammiro e stimo e per le quali sono profondamente felice del fatto che abbiano raggiunto grandi e meritati successi e nel caso attuale di Silvia Romano, sono felice che sia ritornata a casa, libera.
No, ecco, in questa sede, al di là del valore professionale e umano, al di là del comportamento etico, al di là dei riconoscimenti, vorrei focalizzare l’attenzione su questi attacchi, che sono arrivati con crudeltà, in maniera trasversale, anche da parte di donne.
Mi ha molto colpita questo accanimento basato su elementi futili, dettagli che in una società civile dovrebbero passare quasi inosservati, o al limite dovrebbero far riflettere sulla gerarchia di valori che ciascuno di noi ha.
Che cosa consideriamo importante? Quali elementi sono per noi centrali nella vita?
E ancora: non reputiamo la libertà, nel rispetto degli altri, un valore importante, sancito anche come diritto dalla nostra Costituzione? Vogliamo lasciare le donne libere di scegliere quello che ritengono meglio per loro, nel rispetto di tutti e senza fare male a nessuno?
Credo che questo atteggiamento di distorsione delle interpretazioni e del giudizio sia arrivato ad un momento critico, esasperato dalle limitazioni, dalle costrizioni e dall’attuale perdita delle nostre libertà.
A questo punto, dopo che il Coronavirus ci ha fatto capire quanto sia importante la libertà, proprio adesso è ora di cambiare registro, di dare un taglio a queste critiche di basso livello, che minano, senza che neppure ce ne accorgiamo, tutte le conquiste democratiche ottenute con fatica ed in particolare le conquiste delle libertà delle donne.