La pandemia ha trasformato la nostra realtà, almeno per ora, tutto appare distorto e le priorità sembrano cambiate.
Forse basterà un vaccino a riportare tutto al proprio ‘ordine disordinato’ delle cose: alla folla, al traffico, allo smog, allo stress da lavoro, alle malattie mortali di tutti i giorni…
Forse basterà davvero solo un vaccino a farci tornare alle nostre vite piene di cose da fare, di persone da vedere e abbracciare, di amori, di viaggi, di risate… o forse no. Come molti illustri studiosi di psicologia e filosofia pensano e si accavallano a dibattere in Tv, forse l’Uomo ne uscirà trasformato, migliorato nel proprio approccio verso gli altri e soprattutto verso le cose che lo circondano.
Questo proprio non lo so: non so se davvero l’uomo possa cambiare dopo una sola esperienza. Come per le guerre, forse ha bisogno di perseverare per capire. Se pensiamo alla Grande Guerra combattuta da giovani ragazzi al freddo, tra spari, bombe e sangue… anche in quel caso ci sono volute più esperienze negative per capire. E poi tutto è tornato come prima.
Dalla restrizione causata dal Coronavirus cosa abbiamo imparato? Che gli anziani sono fragili, che la sanità è carente, che anche gli scienziati amano apparire in Tv, che la Natura è più forte di noi, che non siamo una Unione Europea ma un insieme di Stati distinti, che ognuno pensa al proprio orticello. La pandemia ha ridato valore alle frontiere, valore alle nostre città, alla nostra cultura, alle strade del nostro Paese. Ci siamo ripresi i nostri spazi. Ciò che prima dava il senso di mobilità e globalità, come aeroporti, porti, stazioni colme di gente in movimento, strade e parchi cittadini e spazi comuni affollati, ciò per cui l’architettura moderna ha combattuto per anni sembra essersi contratta su se stessa.
L’hanno definita “l’era glaciale della mobilità: tutti fermi nel proprio spazio”. Esattamente al contrario dell’idea di condivisione e di spazi comuni tipici del concept di architettonica urbanistica contemporanea che ha modificato l’aspetto delle grandi città metropolitane.
Sono cambiate le persone ed è cambiata la città attorno ad esse.
- Lo spazio pubblico è diventato inutilizzabile
- La scuola ha perso il suo senso di comunità
- La casa è ritornata ad essere un rifugio, ma non per tutti
- Gli ospedali inadeguati nella struttura oltre che nella salute
- Il Patrimonio culturale diventa privo di empatia
I provvedimenti di distanziamento sociale stanno cambiando il rapporto tra vita pubblica e vita privata. L’intensa vita che animava strade, piazze, parchi, scuole si è improvvisamente spenta. Quante di queste abitudini straordinarie diventeranno ordinarie? Quando finiranno le misure di distanziamento sociale? Ritorneremo a condividere gli spazi?
In molti guardano con gioia le strade senza traffico, l’aria cittadina più pulita, la diffusione delle tecnologie informatiche, la natura che riprende spazi impensati… forse allora ha ragione la cultura cinese che vede nella parola “crisi” un doppio significato: “minaccia e opportunità”.
La minaccia è di una crisi economica che sarà incontrollabile… per quanto riguarda l’opportunità forse dobbiamo saperla cogliere.
La pandemia sta mostrando la necessità d’integrare scienze mediche e ambientali, urbanistica, psicologia, ingegneria civile per conquistare capacità operative di tipo sistemico in grado di affrontare la complessità. E i nuovi architetti ed ingegneri saranno chiamati a progettare edifici e luoghi facendo tesoro del cambiamento radicale che abbiamo vissuto.
Mi ricorda gli Anni ‘60 e il boom delle costruzioni di bunker antiatomici in America. Chissà forse anche questo COVID-19 lascerà il suo segno nella pianificazione delle case e degli edifici pubblici del futuro.
Costruire spazi pubblici e luoghi di aggregazione è stato un traguardo raggiunto a fatica dagli urbanisti del secolo scorso. Investire nel bene comune è stato obiettivo di campagne politiche di ogni fronte. E ora si prevede un periodo di significativa limitazione nell’uso degli spazi pubblici. Le città costruite appositamente per aggregare, necessitano ora di distanziare. Piazze, centri commerciali come piccoli paesi, maxi biblioteche multifunzionali, centri multisportivi, aree gioco disponibili a tutti all’aperto e al chiuso: forse il rischio delle pandemie odierne e futuro snaturerà il senso e la funzione di questi luoghi.
Se resterà il bisogno di sostanziale distanziamento sociale non sarà più prioritario per le amministrazioni occuparsi degli spazi pubblici, con il rischio di un degrado degli stessi e con il rischio che non vengano più finanziati: forse i nuovi investimenti della pubblica amministrazione saranno indirizzati a nuove esigenze, tralasciando le prime.
La scuola, ad esempio, è stata oggetto di interesse per decenni, luogo pubblico per eccellenza. Il riassetto degli edifici scolastici e delle strutture che accolgono studenti è stato prioritario per tutte le amministrazioni pubbliche per decenni, è stato indice di progresso.
Dal 9 marzo 2020 la scuola non esiste più come edificio. Esiste come insieme di persone che si connettono e studiano online. Non soffermiamoci sul valore etico della scuola online e su quanto questa didattica digitale piaccia o meno… di base soffermiamoci a pensare al fatto che l’apparato SCUOLA è stato smaterializzato.
E con esso si sono fermate le cooperative, le associazioni, gli enti del terzo settore e le aziende di ristorazione, che contano migliaia di lavoratori, che si sono trovati davanti a un vuoto improvviso. Oggi la scuola è formata da alunno-genitore-tutor online. Stop a banchi imbrattati, aule fredde, palestre inagibili, biblioteche e mense…
Non volendo affrontare la problematica legata al declino delle relazioni, mi soffermo a pensare al cambiamento che questo comporta sia all’architettura delle strutture sia a tutto ciò che ruota intorno alla scuola. Abbiamo appurato che i nostri figli sono nativi digitali e la didattica digitale si può fare e che loro sono meglio di noi, sanno fare… I ragazzi potrebbero non spostarsi più dalle loro abitazioni, se non per riunioni o interrogazioni o particolari eventi… ma ahimè la vita della città senza le scuole si è spenta. Da quando le scuole hanno chiuso si è registrato un importante decremento degli spostamenti, anche in considerazione del fatto che intorno alle istituzioni scolastiche si muovono circa 16 milioni di persone - alunni, genitori, insegnanti, amministrativi.
In merito, invece, alle strutture residenziali ancora di più si è sentito durante la restrizione il divario tra edilizia privata o sociale… tra residenziale di pregio e residenziale economico, tra abitazioni costruite per accogliere ed altre solo per contenere.
In questo periodo di pandemia è apparso ancora più evidente che la qualità costruttiva della casa sia fondamentale.
Il futuro ci farà apprezzare abitazioni in grado di offrire tutto ciò che serve in caso di restrizione: palestra, aree ricreative per i più piccoli, spazi dedicati agli hobby… la casa diventa la fortezza in cui stare a lungo ma serenamente.
Il comfort domestico deve diventare la norma: grandi terrazze da vivere come soggiorni all’aperto, illuminazione naturale, servizi comuni, spazi adeguati in grandezza e areazione. L’emergenza sanitaria ci ha messo, ancor più di prima, di fronte alla necessità di avere più spazio a disposizione per noi, per i nostri gesti quotidiani che restano fondamentali laddove la città invece è rimasta muta.
E poi gli ospedali. Forse il vero focolaio della epidemia… perché? Oltre alla mancanza di informazioni e di dispositivi di protezione adatti a contenere il virus bisogna anche considerare che negli ultimi decenni le strutture ospedaliere sono state edificate seguendo il concetto di unire non dividere: per fini economici più che emozionali, le strutture ospedaliere da piccoli edifici in piena città votate a pochi pazienti, sono diventati enormi centri multimedici che accolgono tantissimi pazienti ogni giorno, di ogni età e per ogni patologia, fornendo in velocità assistenza medica, ricoveri, laboratori di analisi... ma che offrono anche assistenza ai familiari, spazi accessibili a tutti, anche spazi ricreativi: insomma anche gli ospedali sono edifici atti ad accogliere e unire. Un’offerta che sembrava davvero speciale in tempi normali ma che si è rivelato pericoloso in caso di pandemia.
Il concetto di casermone della salute non è compatibile con le malattie virali. Il vantaggio economico della medicina ad alta velocità e per tutti rischia di non essere in grado di gestire le pandemie che forse si ripresenteranno.
Ritornare alle cliniche di una volta non è possibile per la quantità di nuovi pazienti e per la pianificazione urbanistica che non permette più la costruzione di ospedali in pieno centro, in palazzi belli esteticamente ma con tanti limiti architettonici. Tuttavia l’architettura sanitaria dovrà riconsiderare l’organizzazione delle attività mediche e delle strutture sanitarie.
In Italia vi è poi il problema del patrimonio storico-culturale di inestimabile valore che ormai da mesi purtroppo non ha più visitatori. Possiamo ammirare il Cenacolo o la Cappella Sistina online… così come tutti i musei più importanti del nostro territorio. Ma davvero la visita virtuale potrà sostituire una visita reale? Ma allora verrebbe meno anche il senso del viaggiare… Non credo perché viene a mancare l’empatia, la capacità di coinvolgimento che l’opera d’arte può dare. Come sarà praticabile la riapertura dell’Italia al turismo e alla cultura in piena sicurezza?
A questo proprio non posso dare risposte… Ci sono cose che purtroppo non si possono sostituire, come le emozioni.