Nell’ambito del sistema di ospitalità e ristorazione italiana pressoché devastato dalla pandemia e attanagliato da una crisi sistemica i cui confini ancora non sono definiti e l’unica cosa certa è il probabile baratro in termini finanziari e di pubblico, un posto certamente significativo per la sua testimonianza convinta e generosa da anni spetta ai Ristoranti del Buon Ricordo, un’associazione di ristoratori - oltre un centinaio e con qualche diramazione all’estero – che si batte sul fronte della qualità e dell’origine dei prodotti alimentari italiani. Una testimonianza senza se e senza ma, fatta di caparbietà e forgiata dalla convinzione che l’alimentazione italiana, la cucina italiana, la filiera alimentare agricola e industriale italiana, non siano secondi a nessuno e che l’originalità del made in Italy trovi in questo settore una vera eccellenza.
L’ondata della pandemia ha travolto questo lavoro certosino fatto di impegno quotidiano, fatto di interrelazioni, di confronti, di sano “agonismo” nella promozione del proprio prodotto. Uno scossone terribile i cui effetti negativi sono ancora solo immaginabili e per far fronte ai quali occorrerà in un certo senso e non solo metaforico, ripartire da zero, riprendere da capo, ricreare quasi dalle fondamenta. Unico elemento l’indiscussa qualità e la forza di un’idea già affermata.
Che cosa accade in questo momento nell’Unione e tra i suoi associati, quali iniziative sono già in atto e quali altre saranno poste in essere una volta che il meccanismo del Paese si sarà riavviato sia pure a passo lento e nella sicurezza sanitaria. Lo abbiamo chiesto a Luciano Spigaroli, segretario dell’Unione Ristoranti che sul finire dello scorso marzo dopo quaranta giorni di blocco sollevarono le prime grida di aiuto nei confronti dei pubblici poteri. Appello ripetuto, poi e sottoscritto il 2 aprile, in associazione con il comparto dell’imprenditoria enogastronomica, in rappresentanza di 26 realtà e più di 34.000 associati. Otto i punti fermi sottolineati, guardando al più ampio e nazionale settore dell’ospitalità e dell’enogastronomia:
1) cancellazione delle imposte nazionali e locali pertinenti (a titolo indicativo e non esaustivo TARI, IMU, affissione, occupazione suolo pubblico, etc.), credito per utenze relative alle attività commerciali; rateizzazione dei pagamenti degli acconti IRES, IRAP previste a giugno e senza interessi;
2) proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza al 23.02.2020 e fino al 31.12.2020;
3) sospensione di leasing, mutui e noleggio operativi fino al 31.12.2020, recupero delle mensilità congelate in coda al periodo previsto dalla relativa misura posta in essere;
4) armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l’accesso al credito;
5) credito d’imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31.12.2020 con 40% dell’importo a carico del locatario e misura semplificata (cedolare secca);
6) detassazione (straordinari) sulle risorse umane in organico, detassazione degli oneri contributivi e assistenziali e dei benefits sino al 30 giugno 2021;
7) possibilità estesa a tutto il comparto ristorazione di effettuare l’asporto;
8) misure di sostegno a fondo perduto, ristori e indennizzi, per il periodo di chiusura obbligatorio imposto per legge dall'emergenza COVID-19 (pari al 10% del fatturato in relazione allo stesso periodo di riferimento).
Un panel chiaro e concreto per permettere il riavvio di attività altrimenti destinate a chiudere definitivamente. A questa serie di impegni si è aggiunto un ultimo appello, ora che la fase due sembra cominciare a delinearsi: “I tempi stringono, è tempo di agire”, osserva anche a nome del settore, l’Unione Ristoranti Buon Ricordo. Il nostro grido di allarme ha quasi un mese, “da allora poco è cambiato”, l’amara conclusione. “Il nostro mondo, il mondo della ristorazione italiana ancora si interroga e vaga senza certezze. Oltre alla cassa integrazione di nove settimane per i nostri dipendenti, che ad oggi in tante regioni ancora non si è monetizzata, e all’invito ad indebitarsi con i famosi finanziamenti garantiti dallo Stato non si è visto altro.” Una situazione che senza sbocchi entrerà in una criticità cruciale. La mancanza di chiari e concreti interventi e linee guida rischia di non scongiurare il tracollo dell’intero comparto.
Agli otto punti, per il Buon Ricordo è però indispensabile aggiungere - così come richiesto a gran voce anche dai suoi partner di Confagricoltura - la reintegrazione dei voucher, oppure di una formula sostitutiva che snellisca e favorisca il lavoro occasionale, soprattutto nei territori e nelle località che non vivono tutto l’anno dell’attività di ristorazione.
E, prima che sia troppo tardi, e forse purtroppo è già troppo tardi, sapere quando e con quali regole si potrà riaprire.
Allora, Spigaroli, insieme al presidente Carbone, state difendendo la ristorazione italiana di qualità, impegno che dura da 56 anni e insieme alla rete della ristorazione oggi vi dichiarate offesi perché da alcuni descritti come possibili realtà altamente contagiose?
Pensiamo di aver dimostrato negli anni un senso di responsabilità e professionalità che nessuno ci può contestare. Pensiamo di poter tornare alle nostre occupazioni nel pieno rispetto e salvaguardia della salute nostra, dei nostri collaboratori e dei nostri clienti. Ci mettiamo la faccia. Non abbiamo paura di urlare ciò che in Italia tantissimi nostri colleghi stanno pensando. La nostra storia, i nostri fondatori ce lo chiedono. Siamo pronti a ripartire ma dobbiamo essere messi nelle condizioni di farlo. Per la ristorazione italiana è il momento di essere compatta e non abbassare la testa. Il mondo ci aspetta”.
Esiste qualche alternativa perché la pandemia sanitaria non si trasformi in una tragedia sociale ed economica?
Il primo pensiero deve andare a quanti hanno perso la vita, ai tanti, anche amici, conoscenti, agli italiani del Nord e del Sud che ci hanno lasciato. Siamo poi convinti che purtroppo il nostro settore sarà uno di quelli, se non quello, più colpito dalle conseguenze della pandemia. Il turismo in tutte le sue articolazioni, gli alberghi, i pubblici esercizi, i ristoranti subiranno il danno più pesante. E qui in primo luogo dobbiamo pensare ai nostri dipendenti, ai nostri collaboratori, se la chiusura proseguirà troppo a lungo, in che modo garantiremo loro il lavoro! Purtroppo vedo un futuro di grande disoccupazione davanti a noi, di cassa integrazione sino a quando sarà consentito. Questo se non ci saranno risposte chiare e linee guida efficaci per riavviare tutto il comparto turistico ed enogastronomico.
Ogni giorno che passa questa situazione peggiora. E sta rischiando di trasformarsi in un handicap mentale, sociale. Siamo sostanzialmente esercenti che basano la loro azioni sulla famiglia, alla quale si affiancano poi i dipendenti, essere da quasi due mesi completamente nell’impossibilità di lavorare, di agire, di avere contatti ed interazioni con le filiere produttive, rischia di diventare catastrofico. Teniamo presente che già negli ultimi anni i margini di attività si sono sempre più assottigliati per i costi complessivi di sistema e che la crisi era già in atto. Sovente dico a me stesso che stiamo lavorando e impegnando il capitale da troppo tempo, e così vuol dire andare indietro non avanti. Vuol dire aver mantenuto solo le posizioni lavorando giorno e notte. Altrimenti si saltava, questo già prima del virus.
E la pandemia, come una guerra mondiale, con le sue conseguenze, umane, sociali e produttive, rischia di sfiancare anche la volontà di rimettersi in gioco che da sempre è uno degli elementi distintivi di queste attività. E ogni giorno in più senza certezze e indicazioni sul da farsi, ci fa porre la domanda esistenziale ‘chi ce lo fa fare?!’ Perché allora aprire, indebitarsi, pagare le tasse, mantenere lo stato occupazionale. È terribile non avere certezze: ‘dimmi di che morte morire, ma dimmelo’, il refrain che serpeggia.
Servono decisioni e subito, invece sembra che quando si decide lo si fa di settimana in settimana, di dieci giorni in dieci giorni, sembra che nessuno voglia assumersi la responsabilità di gettare il sasso! E a chi come noi fa impresa si apre una stagione di mutamento sostanziale della stessa filosofia per così dire del nostro agire, del nostro sistema di riferimento, i costi, il sistema di lavoro. Quali imprenditori della ristorazione dobbiamo poter progettare il da farsi, fare profitti, garantire il lavoro in un quadro di certezze. Se queste mancano per troppo tempo, il quadro si fa fosco e riaprire non solo è difficile ma per molti rischia di divenire impossibile.
In termini concreti, quale tempistica si può indicare, quando questo spartiacque che voi identificate corre il pericolo di diventare reale e distruttivo? Quanta strada abbiamo ancora davanti?
Dispiace dirlo, ma ritengo e riteniamo che lo spartiacque sia stato già superato, la perdita di fiducia sta diventando il motivo costante in questo settore. La sensazione di non sentirsi considerati adeguatamente per quel che facciamo è palpabile e anche in questo senso lo spartiacque è già passato.
Per quel che riguarda quanti, pur in questa stagione difficile, facendo i conti, ritengono di poter provare, sfidare la contingenza, va detto subito che anche il secondo semestre dell’anno (il primo e il suo dato negativo non abbisogna molto di spiegazioni), deve essere considerato pressoché perso. Chi deciderà o potrà avere condizioni per riaprire, nel 2020, vedrà al più un 30 per cento di fatturato sulle previsioni se andrà bene! È un anno zero. Dobbiamo rovesciare la prospettiva: non solo cosa offrire alla nostra clientela, ma comprendere subito cosa il cliente si aspetta da noi in questa nuova condizione di partenza. Che sensazione avrà, che paura avrà, quale psicosi lo potrebbe accompagnare nel compiere il gesto una volta normale di entrare in un locale pubblico, in un ristorante, in un bar! E certo, se cerchiamo di infondere fiducia mentre intorno a noi i numeri e la realtà delle notizie è concentrata sulle vittime, sui contagi e sul trend ancora non confortante anche se in diminuzione, facciamo una fatica senza scopo. Forse occorrerebbe, pur consapevoli della drammaticità dello scenario, cominciare a dare fiducia, a responsabilizzare, a parlare di quel che si può fare per riprendere, ma in concreto non sullo scenario.
Dobbiamo fare esperienza di quel che è stato, migliorare tutto quello che si può migliorare in termini di salute, igiene pubblica, distanze, precauzioni, ma non possiamo immaginare ristoranti e luoghi pubblici come strutture para ospedaliere. E neppure dare credito o spazio a soluzioni (penso alle divisioni in plexigas sulle spiagge o nei locali di cui si parla sempre più spesso e in mano a soggetti discutibili), delle quali peraltro non vi è traccia nelle linee indicate dalle istituzioni. Ecco allora che le preoccupazioni dei gestori sono anche queste e non oso pensare ai timori dei possibili clienti di fronte a questa confusione e senza indicazioni semplici e conclusive. Pensiamo agli eventi pubblici di ogni tipo, ad esempio, in Austria hanno vietato sino al 31 agosto. Giusto o sbagliato vi è una data certa sulla quale calibrare le cose da decidere. Qui da noi, ancora nessuna indicazione similare è stata ancora data e in modo certo. Ed è un discorso che riguarda senza differenze sostanziali tutto il comparto del turismo, dagli alberghi, agli impianti balneari, alle strutture di ogni tipo legate al settore nel corso dell’anno. Oltretutto, teniamo presente che almeno il 40 per cento delle attività nel Paese è continuato perché collegato in qualche modo all’emergenza, per il resto è buio assoluto.
Che ne sarà della famosa e apprezzata ospitalità italiana, il nostro modo unico di porci nei confronti degli ospiti. Quale ripresa possiamo immaginare, con quali caratteristiche di questa eccellenza del made in Italy?
Penso che i problemi maggiori si porranno per strutture che vedono una eccessiva vicinanza. Per i ristoranti di un certo livello, il discorso di una distanza adeguata è sempre stato nei fatti. Così come la opportunità di regolarizzare il controllo assoluto nostro e dei nostri dipendenti in tema di salute a garanzia della clientela. È il buon senso che deve prevalere anche nell’applicazione delle norme che devono essere giustamente e rigidamente legate alle conoscenze acquisite. Per tutti poi esiste il principio di salvaguardia reciproca.
E abbiamo anche un altro pregiudizio a livello internazionale: quello di essere stati il Paese che, attaccato per primo, ha fatto nell’immaginario da porta di ingresso al contagio verso il resto d’Europa. Giusto o sbagliato questo è un pregiudizio che già abbiamo sentito sulle nostre spalle e che non sarà facile sfatare. Quindi più che mai regole chiare, certe, immediate, altrimenti sarà un disastro. Si avverte forte il rischio che bar, ristoranti, luoghi pubblici non riaprano in assenza di un quadro di riferimento. Un paradosso certamente, ma se non si hanno tutte le garanzie nessuno assume i rischi.
È il momento, riteniamo, di avere e dare fiducia agli italiani e alla loro capacità di muoversi nella nuova situazione creatasi con la pandemia. Tutti abbiamo a cuore la salute personale e quella di chi vive e lavora con noi e della clientela che ci sceglie. Dobbiamo essere posti nelle condizioni di sopravvivere e se non si riparte finisce tutto. Occorre un cambio di mentalità. Abbiamo visto la morte in faccia, credo che sia il momento di prenderne atto e ripartire da qui. Riavviare il Paese senza egoismi di parte, retropensieri politici, scontri senza altro fine che l’esercizio del potere. Così la società resta asfittica, l’economia non può decollare, il Paese perde ancora peso e ruolo nel mondo produttivo ed economico nel quale continua a rappresentare in moltissimi ambiti un’eccellenza da imitare. Non buttiamo via tutto questo e usiamo il buon senso! E ci attendiamo azioni istituzionali che ci diano fiducia per dare fiducia alle istituzioni e a tutti noi!
È il momento di agire. Il tempo stringe, sempre di più! .