Nella seconda metà dell’Ottocento molti fotografi cercarono di perfezionare la loro capacità documentaristica in un ambito che oggi si chiama “reportage” - tra loro il fotografo statunitense Matthew B. Brady affermava che “la macchina fotografica è l’occhio della storia” - diventando ben presto testimoni dei conflitti e delle guerre in corso nel mondo - basti pensare alla spedizione di Roger Fenton (1819-1869) per la guerra di Crimea del 1855.
Ma è nel nostro Paese, l’Italia, il primo reporter di guerra, ovvero il pittore-fotografo Stefano Lecchi - a dire il vero ancora poco noto - che documentò con un reportage nel 1849 la fine della Repubblica romana. E proprio Roma 1849: Stefano Lecchi. Il primo reportage di guerra è la mostra digitale visitabile su Movio - Online Virtual Exhibition a cura di Maria Pia Critelli e Ilaria Poggi, in collaborazione con Mario Bottoni e Maria Teresa Natale.
Sessanta fotografie realizzate da Stefano Lecchi nel 1849, conservate dalla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma e dal Getty Research Institute di Los Angeles, documentano la guerra nella Città eterna nella metà dell’Ottocento, ben sei anni prima del reportage realizzato da Roger Fenton nella guerra di Crimea del 1855.
Nato nel 1803 e formatosi con molta probabilità in ambiente milanese - ad oggi la data della morte non è nota - Lecchi, abilissimo fotografo, dopo anni di ricerca e sperimentazioni crea un metodo per colorare i dagherrotipi e un particolare dispositivo di messa a fuoco.
Soggiorna a Malta, Aix-en-Provence, Avignone, Lione, Marsiglia, Nîmes, Parigi, Tolosa; la sua importante presenza in Francia è documentata dal fatto che il dagherrotipista Jean-Thomas Rameye lo citò quale suo maestro insieme a Louis-Jacques-Mandé Daguerre, l’inventore del processo fotografico chiamato dagherrotipo, e Charles Chevalier; a Londra, Bruxelles, Ginevra, in Germania e in Italia, a Napoli, Pompei, Pisa e Roma. E al tempo stesso si distingue anche per i miglioramenti al Diorama di Daguerre, del quale fu certamente allievo e collaboratore; per l’invenzione di un efficace metodo di colorazione dei dagherrotipi, un apparecchio fotografico con specchio periscopico e per avere messo a punto un proprio procedimento di sviluppo e stampa fotografica su carta.
In Italia dal 1847 - ritrae una veduta della torre di Pisa e gli scavi di Pompei - è a Roma nel 1849, periodo durante il quale realizza le vedute della città e, cosa fondamentale, suo è il primo reportage di guerra sui luoghi delle rovine e dei combattimenti durante l’assedio dei francesi che fra il 3 giugno e il 2 luglio, espugnarono la Città eterna la cui difesa della Repubblica romana, appena proclamata il 9 febbraio 1849, cadeva così dopo solo cinque mesi.
E a Roma, Lecchi documenta e immortala i teatri della guerra, le scene e gli scontri tra gli opposti “eserciti”, le case e i palazzi, rovine e bellezze di una città che cadeva e si struggeva sotto i colpi, i frammenti e i monumenti, ville, fortificazioni, acquedotti e fontane, cinte murarie, giardini, o i luoghi di una città e delle sue arterie vitali, della storia e della conoscenza delle identità. Tra bombardamenti e speranze svanite - come quelle a lungo cullate da Mazzini e dai suoi epigoni per arrivare a un accordo che salvasse la Repubblica. Anche perché, come ricorda lo storico del Risorgimento Giuseppe Monsagrati, Roma è una città “che in duemila anni di storia ha visto e sopportato di tutto, attraversando le circostanze più drammatiche senza mai abbattersi (…), cercando di restare fedele a se stessa”.
E le immagini di Stefano Lecchi ora fruibili e godibili nella mostra digitale sono straordinari documenti della storia della fotografia e di una città, di uomini e donne, vicende e accadimenti che fissano il nostro tempo, e la memoria del nostro grande Paese: l’Italia.