In generale ci piacciono gli artisti che si rinnovano, che sperimentano per non ripetersi, che cambiano pur sapendo di rischiare. Fiumanò Domenico Violi, un nome artistico di per sé, sicuramente è fra quelli. Originario di Palizzi, cuore della Calabria grecanica, Domenico da tempo vive altrove per seguire il suo estro: attualmente vive sospeso in una striscia di terra feconda fra Parigi, la Sardegna e il Nord-Est, un triangolo che ben si concilia con la vitalità di un uomo artisticamente irrequieto. Dopo lunga gestazione (Il Biciclettista era stato pubblicato nel 2008), da qualche settimana è disponibile 9 minuti 9, (Dogimi\Egea), un concept-album profondo e maturo, nei temi come nella scrittura, che potrebbe essere quello della definitiva consacrazione. Ce ne ha parlato in esclusiva, con il suo argomentare immaginifico ed altrettanto figurativo, da cui ci si lascia simpaticamente travolgere: “Si è vero – ribadisce - è passato del tempo rispetto al capitolo precedente, perché volevo fare le cose per bene, essendo meticoloso nel processo di composizione, ma anche a causa di fatti imponderabili che si sono messi in mezzo: scomparse di affetti, dolori, distacchi ancora in fase di elaborazione dove la scrittura, l’ideazione e la realizzazione, hanno dovuto cedere il passo agli eventi, rallentando l'arrivo alla meta. Questo tempo, lungo ben 10 anni, è servito ad approfondire e focalizzare un tema molto delicato. Un tempo necessario per riuscire ad elaborare e portare a maturazione il mio punto di vista rispetto al coinvolgimento di tutti gli attori che si muovono intorno al dramma della detenzione. Ho lavorato mettendo insieme un epistolario che testimonia fotogrammi di vita vissuta, utili alla ricostruzione dei fatti, poi sintetizzati nelle 15 tracce. A continuazione di questo processo, per meglio tessere le testimonianze, lettere, verbali, confessioni raccolte negli anni, è stato indispensabile ri-assemblare l’antico telaio con altre 46 mani. Quelle di grandi professionisti della musica che mi sono stati accanto nell'atto finale.
Un gruppo di collaboratori fidati o hai preferito mischiare le carte?
Il nucleo centrale è costituito da amici storici, a partire da Franco Testa al contrabbasso che, con l’eleganza e la passione insite alla sua persona, ha diretto la filanda riannodando l'ordito che avevo lì in bottega da tempo e che poi abbiamo tessuto. Quindi, Paolo Birro, che sugli 88 tasti ha dipinto bellezza: piccoli ma intensi quadri espositivi, senza mai andare oltre i paletti delle mie narrazioni, chiamali se vuoi obbligati, anche lì, dove il passo avrebbe permesso dilatazioni. Poi, Elio Rivagli, 'primario del reparto di unità coronarica' con le sue pelli, piatti e bacchette ad indirizzare quell’eccelso ritmo che lo rende riconoscibile, fin dal primo battito, tratto identificativo di tutto l’ensemble. E ancora la new entry di Stefano Pisetta, per la prima volta con me in studio, con i suoi tamburi ad arricchire la tavolozza di colori, a ricamare altre emozioni. Alle chitarre un altro nome della musica d'autore come Giorgio Cocilovo, capace con le sue corde in un equilibrato punto all’uncinetto a regalare trame di raso e velluto. A soffiare l’ancia del sax soprano l’eccelsa anima lagunare di Pietro Tonolo. E a soffiare ancora attraverso la finestra a vapore il mantice cromatico di Fausto Beccalossi, lì a passeggiare arie notturne in profumo di Senna. A fare da eco a queste passeggiate parigine, le note ottonate di Marco Brioschi che dai Navigli si svegliano nell’incanto di un mare aperto e brigante, dove tra intro, strofe ed incisi, sono arrivate le voci di Betty Vittori, Sara Picone e Marco Bertoli, tre carezze. E, di carezza in carezza, le corde inarcate del Cello di Daniela Savoldi, avec un fragment dans le parfum de la dodecaphonie. Pour moi un moment sublime. Ma anche la parte tecnica, grafica, fotografica è stata appannaggio di un team molto capace e dedito che ringrazio indistintamente.
Una vera corazzata schierata al tuo fianco, quindi, che si oppone al titolo ristretto che poi ha scelto, un titolo che può prestarsi a varie interpretazioni, senza dimenticare le collaborazioni illustri presenti. Come e quando hai incontrato Moni Ovadia ed Alessandro Haber, riuscendo poi a coinvolgerli nel tuo lavoro?
Il titolo nasce dopo un servizio sulla pena di morte: un federale, subito dopo un'avvenuta esecuzione intorno alle 6 del mattino, alla domanda di un giornalista presente sui tempi di agonia del condannato, rispose con faccia orgogliosamente soddisfatta: “negli anni, per garantire sempre meno dolore, abbiamo fatto passi da gigante portando l’agonia da 30 minuti a 20 minuti, da 20 minuti a 15 e così via, insomma un successo dietro l’altro”. Dopo averci riflettuto un attimo... ecco trovato il titolo e la scelta è ricaduta su 9 minuti 9 perché metricamente funzionava di più, dato che nulla sottraeva all’importanza del tema trattato. La scelta di invitare gli amici Alessandro Haber e Moni Ovadia non è stata limitata alla profondità della loro voce, e all’eccelsa arte del loro recitare, ma alla comunanza dei delicati temi che da sempre marca il nostro passo, elementi di cui la Petite Suite 9 minuti 9, non poteva non tenere conto.
Ti sei imposto all'attenzione di critica e pubblico con un altro album dal titolo singolare Ero jazz e non lo sapevo. All'opposto, la consapevolezza nei suoi confronti, quando è arrivata?
È un discorso stratificato che richiama a diverse componenti in gioco. Forse la più importante è quella di essere stato benedetto ed impollinato da una delle tante forze invisibili, ma palpabili, che mi accompagnano fin dalla tenerissima età, a quelle forze va la mia riconoscenza, la mia devozione. Insieme alla sorpresa, ogni volta che capita, di quando gli amici che mi accompagnano incominciano a spazzolare le mie parole, le mie note, i miei temi, le mie armonie, con quei ritmi e melodie, sui miei racconti, nati quasi sempre da storie vere.
A produzione finita e ottimo disco fatto, che senso ha oggi produrlo, visto che il mercato è in forte crisi? Il tuo pare un’opera di artigiano, con grande cura nei particolari, a partire dalla grafica, chi se ne è occupato e in quale forma avete collaborato?
L’impianto delle illustrazioni e le grafiche sono nate lentamente, diciamo nell'arco di qualche anno, a stretto raggio con il mio amico Lorenzo Fantetti che, immerso tra testi, musica, prime stesure, voci guida, pronti ascolti e bozze varie, ha dedicato a 9 minuti 9, intere notti e giornate che hanno poi prodotto il risultato racchiuso nelle tracce: poesia nella poesia, musica nella musica, una transumanza cromatica e simbolica da cui trarremo spunti per un film di animazione, sul quale in verità stiamo già lavorando. Per quanto riguarda la crisi del mercato, non saprei dire molto, perché in effetti non l'ho mai abitato assiduamente. Per cui non ha rappresentato un freno, anzi. Ancora di più si è consolidata in me la convinzione che fino a quando non ci sarà una seria crisi del pensiero e del fare musica, il mercato dovrà adeguarsi comunque alla bellezza, che si chiami vinile, CD, pennette USB o a qualsiasi altro supporto. Non dimentichiamo il passaggio dai vinili e musicassette al CD, sembrava stesse succedendo la fine del mondo, eppure la musica è andata avanti. Oggi vogliono farti credere che la quantità di album venduti conti poco, nella logica per la quale apparire sembrerebbe meglio che essere, dunque l'unità di misura non sarebbe più quanti dischi vendi, piuttosto quanti like o follower o apparizioni in Tv o qualsiasi altra diavoleria. Ma io non ci sto. Se avessi dovuto tenere conto di questi processi di “mercato” sarei già divenuto l’ateneo della crisi. Ed invece… Toh!, un doppio vinile che magari farà riaprire qualche cantina per tirare fuori un vecchio impianto e, qui, piatti puntine e casse che sapranno ancora di buono... haaaa che bellezza!! Sì, è stato un eccelso lavoro di artigianato, in quanto filati e tessitori provengono tutti dalla più alta scuola dell’artigianato musicale ed io, finché potrò vivere in questa filanda, terrò vivo questo grande telaio che lotta e resiste al dilagare della spinta assolutistica verso il “tessile liquido”.
Come vedi la tua prediletta e bistrattata Calabria dal tuo osservatorio sul Grappa? È un luogo della mente che ogni tanto fa capolino nelle tue canzoni?
Quasi in tutti gli albumi bussano quei suoni, quei certi profumi, ma non parlerei solo di Calabria, soprattutto oggi, che dal mare dal cielo e dai valichi ci è arrivata altra tavolozza di colori e profumi, parlerei piuttosto di tutta la fascia mediterranea da questa parte e dall’altra parte del mare, di ieri e di oggi… Tu mi parli dell’osservatorio del Grappa da dove qualche volta ci siamo messi in contatto, ma potrei parlarti anche dell’altro mio osservatorio lungo la Senna, e/o di quello in terra nuragica!!! Osservatori che danno risposte multicolori, paralleli diversi. Ma per restare nei paraggi della tua domanda, vedo la Calabria, un tempo 'Italia' di nome e di fatto, come una bella camicia che tanti hanno usurpato indossato stropicciata, ingiustizia mai lavata se non con il sangue del Sud, una cambiale a nostro favore da incassare ancora, emessa in quel lontano 17 Marzo 1861. Ma, a raccontarla dritta e più in chiaro a livello temporale, bisogna ritornare all’8 Dicembre 1816, data in cui venne sancita la costituzione del Regno delle Due Sicilie. Oggi come non mai, sento crescere un diffuso desiderio di verità storica e, per quanto possa suonare utopistico, mi piace pensare che si possa costruire un Sud moderno e culturalmente avanzato sul modello di Federico II. Penso oggi ad uno stato italiano totalmente libero da maglie di sudditanza e dai carnefici che in buona fede abbiamo scelto; penso ad uno stato italiano radicalmente riorganizzato in autonomie ed amministrazioni locali, ispirato a quel federalismo federiciano, oggi tanto invocato ma frainteso da certi figuri mediocri e privi di coscienza politica e di conoscenza storica, che si servono della Costituzione senza neanche averla letta. Io amo la mia patria, ma non come è stata voluta e costruita da quel manipolo ristretto di pseudo intellettuali lontanissimi anni luce dal popolo, ieri quanto oggi. Dentro quel torchio c’è rimasto ancora quel Sud, con la Campania, la Puglia e la Calabria, che si chiamava l’Italia degli Enotri, risalente all’Età del Ferro, regioni che rappresentavano l’Enotria. Ora non pretendo di scomodare Enotrio, o altre figure mitologiche, per spiegare a chi non sa, “i retroscena della terra nostra”, come recita il testo in Briganti, quarta traccia lato B del doppio vinile, ma “scomodare” almeno la curiosità di chi leggerà, quello sì. Concludo, dicendo che confido nell’impegno delle nostre più alte cariche istituzionali, affinché si prodighino a restituire il maltolto a tutti gli Italo-Enotri, con la rivalutazione dei dovuti interessi, ai tassi di interesse, però, degli anni più belli. Quindi vorrei che si riconoscesse quale capitale, come già in passato, la città di Acri, in provincia di Cosenza, la quale si impegnerebbe a ridistribuire i valori alle rimanenti sorelle Regioni.
Qualcuno ha detto che il rispetto per il proprio pubblico non risiede nell'accontentarlo, tu cosa ne pensi e come ti immagini l'evoluzione del tuo pubblico?
Beh! Di aforismi e proverbi sul rispetto, in senso più generale, ne sono stati scritti a perdita di memoria e me ne vengono ora in mente almeno un centinaio, in particolare alcuni in sanscrito, ma per rimanere in zona palcoscenico e pubblico, mi sento di dire con assoluta certezza, che li ho sempre rispettati: quando un poeta, un pittore, un autore rispetta il proprio sentire, segue le proprie trasformazioni non rinuncia al rispetto del suo pubblico anche quando non si “accontentano” le aspettative, perché ciò che conta è l'autenticità del momento. Dunque non ho mai pensato all’evoluzione dei miei sostenitori, anche perché dal penultimo album: Il biciclettista, a 9 minuti 9, sono passati 10 anni buoni e nel frattempo nel mondo sono cambiate molte cose.
Chi sono i colleghi che stimi e che tipo di musica stai ascoltando in questo ultimo periodo?
Colleghi che stimo per ciò che hanno scritto e per come hanno tenuto compagnia ai miei anni, ce ne sono, anche se alcuni purtroppo, hanno ormai ceduto il passo varcando la curva del tempo. Altri sono giovani e sono sulla buona strada. Ascolto Bach da sempre e poi sempre da giovanissimo sono stato ammaliato dalla dodecafonia e dalla musica seriale.
Cosa ti aspetta nelle prossime settimane? Se ti avessero chiamato saresti andato a Sanremo?
Certo che ci sarei andato, sì! Ma perché no? Non ho mai pensato che le mie canzoni dovessero avere un palco ben preciso, tranne forse che in quest'ultimo caso, in quanto essendo un concept-album, dal taglio decisamente teatro-canzone, necessita indubbiamente di profondità e altezza per fondali e schermo. Il desiderio sarebbe quello di proiettare ulteriori concept tra illustrazioni, documenti, foto, testimonianze e corrispondenze epistolari. Lo spazio naturale è il teatro. Che sia piccolo, medio o grande. Lo richiede la drammaticità della pena capitale, tema che ha necessità di assoluta attenzione e intima concentrazione, data la così forte e aberrante barbarie. Spero quindi, passato questo periodo di forzata sospensione, di poterlo rappresentare dal vivo.