Tre sono le età, tre i regni, tre le torce e le sacre insegne: la chiave, la corda, il coltello. La chiave, per aprire le segrete stanze che conducono al mondo di sotto; la corda, che nelle viscere della madre nutre la vita che germina; il coltello, strumento di potere rituale. Ecate ha svelato al mondo che ciò che è trino è sacro.
È portentosa quando appare, la dea che chiamavano taurodràkaina: toro e dragonessa, e al contempo leonessa, cavalla, cagna. Le sue epifanie sono cangianti, imprevedibili, potenti: è la signora delle infinite mutazioni. Puoi vederla con il capo cinto da orride serpi intrecciate a rami di quercia, oppure accompagnata da cani neri ululanti; le erbe rabbrividiscono sotto i suoi piedi. È la regina degli spettri, dei deliri e degli incubi; tuttavia le visioni che invia non sono ombre sciocche e vacue, ma apparizioni benevole. Si usava classificare i brutti sogni come assalti di una sua volontà maligna, ma solo perché gli uomini temono il buio della notte e i sussurri profetici, ritenendoli presagi di morte, e le intrusioni di Ecate nel nostro spazio interiore possono causare turbamenti, scompiglio, paura. Eppure i sogni, quelli veritieri che entrano dalla porta dai battenti di corno, non sono che gli avanzi dei pasti della dea: briciole, fantasmi che gli occhi della veglia non possono cogliere.
Ecate la formidabile indossa sandali d’oro al novilunio e di bronzo quando l’astro è nel pieno del suo splendore. Calzature magiche, non meno di quelle di Ermes, il dio con cui condivide la funzione di accompagnatrice, messaggera capace di muoversi con disinvoltura fra i mondi. Il suo viaggio lo racconta la luna, mentre ne percorre le età e i colori: il bianco virginale, il rosso della fertilità delle donne, il nero funereo del mantello che la nasconde.
Questa è la Ecate che ci racconta il mondo ellenico. Ma la dea ha un’essenza recondita, che supera le sembianze di qualunque simulacro. Visita l’anima femminile per recare doni accuratamente selezionati: sussurra a ogni donna che può essere guaritrice, profetessa, strega. Eppure, è proprio la natura di strega ad avere decretato l’esilio suo e delle adepte che la invocavano nel discernere i farmaci dai veleni, relegandola fra le divinità rinnegate, abiurate, disconosciute.
Ecate è una dea guardiana, mediatrice, che vive “in limine”, sul confine che delimita il tempio di ogni geografia sacra. Al crocevia dei trivi, una sua effigie può infondere coraggio all’avventore smarrito. I luoghi di transizione sono carichi di presagi, e così i riti di passaggio e le metamorfosi dell’anima. Nel mito, fu l’unica a udire le grida della giovane Kore, quando fu rapita da Ade il tenebroso. E quando la fanciulla, ormai regina, tornò dagli Inferi con un nuovo nome, fu lei, la Portatrice di Fiaccole, a precederla illuminandone il cammino, e da allora le fu compagna inseparabile. Per ogni giovane donna, Ecate è annunciazione, è premonizione di potere psichico. Ogni risalita dagli inferi consente il ricongiungimento con questa energia, memoria integra del sacro femminino. Lei è la maestra dei misteri che consentono la rigenerazione dopo l’inverno.
Ecate ha fatto visita a Octavia Monaco manifestandosi come una presenza folgorante, ispirando all’artista un ciclo di dipinti. Con la devozione di una vestale, Octavia ne ha colto la magnificenza, nella trasparenza di visioni che ne intuiscono la molteplicità riconducendola alla primitiva completezza. Ogni dipinto è simile alla trama aulica di un’invocazione alla dea: ne onora un attributo, un dettaglio, un epiteto, le epifanie, gli appellativi, brandelli di una genealogia rivelatrice.
Hecateia Carmina rivela un’epifania misteriosa e piena di grazia, intrisa di femminilità mite. La dea appare nella sua bellezza metafisica, imperturbabile e immersa in una profondità meditativa. Accanto a lei, una leggiadra piccola figura di donna, come un daimon gentile sembra ammansire una creatura chimerica che si fa docile al tocco delle sue mani. Il drago, che sempre è custode di tesori, annuncia la fioritura. La dea “canta, forse silente, il segreto del ciclico amare”. Ha lunghi capelli che si immergono nelle acque, alle quali appartiene la sua natura sirenica; intorno, si allarga un cosmo silenzioso e statico. Altrove, la Signora ha aperto il proprio corpo alla creazione e alle sue meraviglie, inglobandole. Il suo sguardo supera il tempo misurabile: l’esistenza ne è penetrata, valicata, e poiché possiede una natura al contempo urania e ctonia, la saggia anziana è pronta a tuffarsi nelle profondità dell’oceano per rinnovare la propria verginità, ritrovando l’innocenza di fanciulla. Come echi di Sibilla, ecco le parole con cui l’artista narra come Ecate si sia palesata nel suo splendore archetipico, ispirandole questo dipinto:
Lei arriva con le tenebre portando un velo di marea o nebbie acquoree, attraverso le quali si intravedono fondali e grotte che ospitano e conservano le forme originarie della scrittura della vita. Tutto concorre a rafforzare la potenza ancestrale che presiede, ordina e dis-ordina, ma che chiede di porgere l'orecchio-cuore per cogliere accordi più profondi e misterici, che raccontano di regalità possibili alla fonte. Armonizza, questa grande Madre, tutto il mondo vivente. Tutto il mondo vivente comunica e si manifesta musicale in lei. Il libro sapienziale è intangibile: in trasparenza, il seno, che è occhio corporeo di vista ulteriore.