Che scherzi fa la storia, guardata in prospettiva! Forse è vero, come Lev Tolstoj scriveva in Guerra e Pace, che l’esistenza e le vicende degli uomini, più che alla volontà dei potenti, malvagi o illuminati che siano, rispondono a una legge naturale, a una trama misteriosa e necessaria. Guardate, per esempio, l’Europa: qui il tempo ha trasformato tanti edifici sontuosi quanto inaccessibili, come castelli e palazzi reali, in spazi aperti di cultura, democrazia e libertà. I secoli hanno spalancato le porte di rifugi dorati, un tempo aperte solo per le dinastie e per pochi cortigiani. E i grandi parchi, una volta luoghi di svago e delizie appannaggio esclusivo dei re, oggi sono i confini naturali che salvaguardano ettari ed ettari di territorio dall’espandersi incontrollato del cemento e della speculazione edilizia.
È successo così per la Reggia di Caserta, una delle più grandi del mondo, se non la più grande. Due milioni di metri cubi di volume, 1200 stanze, 1742 finestre, 1026 camini, 56 scale, un milione e duecentomila metri quadri di verde… Caserta non solo “ha” la sua reggia, Caserta “è” la sua reggia. Tanto è vero che negli anni del dopoguerra, quando i viaggiatori erano pochi, ci si dimenticava quasi che il parco reale fosse la magnifica appendice del palazzo e per i casertani era semplicemente “il bosco”. E per tanti di loro, la maggioranza, quel bosco era l’unica, amatissima opportunità per le passeggiate domenicali, i pranzi all’aperto e perfino per le vacanze estive, un lusso altrimenti impensabile. Senza la reggia, la città nuova, quella che si estende ai piedi del borgo medievale di Casa Hirta, forse non sarebbe neanche nata. Ma i primati non sempre sono solo aride quantità. Per una piccola città sono manna dal cielo. E poi non ci sono solo i numeri a decretare l’unicità di un luogo. C’è molto altro, come il fatto che questo palazzo reale racchiude in sé, nelle sue forme, il principio e la fine di due epoche diverse, perché, come si legge nel documento con il quale l’Unesco, nel 1997, decise il suo inserimento nella lista del Patrimonio dell’Umanità, il capolavoro vanvitelliano anticipò il gusto neoclassico e nello stesso tempo rappresentò, con le sue architetture di pietra, di verde e d’acqua, “il canto del cigno della spettacolare arte del barocco”. Un’eredità eccezionale ma non facile da gestire e tutelare.
Qui da poco sono iniziati interventi di recupero che in larga parte saranno aperti anche al pubblico, con restauratori, storici e chimici al lavoro sulle superfici esterne, facciate e tetti, e su quelle interne, dallo scalone monumentale alle stanze, con gli arredi e le opere d’arte contenute al loro interno, mentre agronomi, botanici e giardinieri intervengono sul parco e sul giardino all’inglese.
“Questi lavori sono importanti ma il vero, nuovo obiettivo è quello di realizzare un piano efficiente di manutenzione ordinaria. Non si può e non si deve proseguire con interventi straordinari ed emergenziali. È necessario dare un respiro più ampio agli interventi di tutela, con una seria programmazione. Non dobbiamo mai dimenticare che l’azione di tutela inizia dall’eliminare ciò che potenzialmente può costituire degrado della materia: dalle polveri al consumo antropico delle superfici fino a situazioni di contesto”, spiega l’architetto Tiziana Maffei, alla direzione della Reggia dal maggio scorso.
È stata per tre anni, dal 2016, presidente dell’Icom Italia (International Council of Museums) e crede fermamente nella lezione di Giovanni Urbani e nella sua eredità culturale. È a lui che dobbiamo il riconoscimento dell’importanza della conservazione programmata: una concezione miope dell’economia, fondata solo sulla logica dell’immediato profitto e delle sporadiche sovvenzioni finisce sempre col marginalizzare e compromettere la salvaguardia del patrimonio storico-artistico, perché lo vede come qualcosa di superfluo e non come un elemento vitale di ricchezza, appartenenza e immedesimazione da parte delle comunità.
“Per realtà complesse come la Reggia, che è un museo con eterogenei servizi culturali rivolti al pubblico, occorrono persone con diversificate competenze museografiche e museologiche, professionalità che si occupino di conservazione e valorizzazione. Per ottenere risultati adeguati è importante avere una squadra efficiente in cui il settore amministrativo si interfacci con quello tecnico per lavorare in una logica di interdisciplinarità”.
Anche per il parco, dove la tradizione del giardino italiano rinascimentale si fonde con le soluzioni introdotte dal paesaggista francese André Le Nôtre a Versailles, valgono gli stessi princìpi enunciati da Giovanni Urbani. Per i suoi prati costeggiati da siepi e statue, i boschetti di lecci e carpini che si aprono in improvvise radure, i gruppi scultorei, i laghetti, le fontane, le cascate e i giochi d’acqua alimentati da una grandiosa opera di ingegneria idraulica, l’Acquedotto Carolino, che termina con una spettacolare struttura in tufo a tre ordini di arcate che scavalca una valle e congiunge due monti… per tutto questo c’è l’esigenza della stessa scrupolosa programmazione. Così come per il Giardino all’inglese, che non è solo un sublime ricordo del capriccio di una regina, Maria Carolina, ma un laboratorio verde, vivo e palpitante, che conserva piante rare importate oltre due secoli fa da tutto il mondo, tra le quali, secondo la tradizione, la prima camelia arrivata in Italia, portata fin qui dal Giappone come romantico omaggio per Lady Hamilton, moglie dell’ambasciatore inglese a Napoli passata alle cronache per la sua avvenenza e per un illustre amante, l’ammiraglio Horatio Nelson.
“Per il verde storico della Reggia è importante una programmazione a medio e a lungo termine. Non bastano interventi di restauro ma è necessario agire preventivamente in una logica di cura costante. Ciò che intendiamo fare ora è impostare nuove gare con un approccio di triennalità che permetta anche al privato di investire in attrezzature per assicurare la qualità e a noi di eliminare carichi amministrativi, riportando la nostra attenzione non solo alla fase di predisposizione dei disciplinari ma anche, successivamente, al controllo in fase di esecuzione. La Reggia, inoltre, fa parte del Tavolo Verde, un tavolo tecnico permanente dedicato ai parchi storici dei Musei autonomi dello Stato. Oltre Caserta, ne fanno parte i giardini di Tivoli, di Boboli a Firenze, Miramare a Trieste, Musei Reali a Torino e Capodimonte a Napoli. Lo scopo è quello di confrontarsi per valutare approcci e strategie per la gestione, la tutela e la valorizzazione del verde storico. A Caserta, poi, abbiamo un ecosistema affascinante quanto fragile, in particolare nel Giardino all’inglese, che è un vero e proprio orto botanico dove fu introdotta e sperimentata la coltivazione di piante esotiche, che oggi costituiscono una collezione rara e delicata, che va trattata, come il resto del parco, quale patrimonio culturale che richiede la presenza di conservatori botanici”.
Un patrimonio fragile minacciato dai cambiamenti climatici in atto.
“Anche in questo, negli anni Ottanta, Giovanni Urbani era stato profetico ma le sue parole rimasero inascoltate. Sosteneva si dovessero tenere in considerazione, a livello territoriale, i rischi sia antropici sia naturali ai quali i monumenti, le opere d’arte e i parchi sono esposti. Invece per lungo tempo, quando si è parlato di grandi rischi, si è sempre fatto riferimento al rischio sismico, al rischio idrogeologico e a quello di incendi. Finora, soprattutto nei territori più meridionali della penisola, non si era tenuto in debito conto il rischio di venti e nubifragi, che invece hanno provocato tanti danni, anche alle fragili strutture in ferro e vetro delle serre storiche, oltre che ad alberi secolari. Una situazione che penalizza anche altri parchi come il nostro nel quale non si è arrivati a strutturare interventi di manutenzione sulla base di diagnosi. A proposito, l’ultimo evento che da noi ha abbattuto circa quaranta esemplari vegetali ci ha costretto anche a ripensare il significato della perdita. Abbiamo voluto impostare un approccio di economia circolare. Per recuperare il significato simbolico e il valore produttivo di ciò che rimane abbiamo pubblicato un bando che ci auguriamo sostenga anche la nascita di start up innovative per ridare vita agli alberi sradicati dal maltempo trasformandoli in opere d’artigianato o in energia sostenibile. Si tratta di un progetto sperimentale, etico ed ecocompatibile, che si colloca nell’ottica degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 dell’ONU. Un punto di riferimento che traccerà il futuro della missione della Reggia di Caserta quale patrimonio dell’umanità”.