La rivoluzione digitale conferisce al cittadino/paziente un ruolo sempre maggiore nella gestione della propria salute. Questa dovrebbe essere infatti normale luogo e tempo di condivisione, in base a principi generali di democrazia. In realtà il cittadino è spesso considerato un “portatore” di diritti senza esserne fruitore. Il medico è spesso sostituito dal “procedimento”; il cittadino dai “dati” amministrativi. Una cultura caratterizzata da maggiore autonomia dei diretti interessati è dunque auspicabile.
Secondo Eric Topol, cardiologo, genetista e influente ricercatore di medicina digitale a livello mondiale, saremmo addirittura alle soglie di una nuova figura, il paziente emancipato, in grado di gestire la propria salute in totale autonomia in quanto produttore e dunque proprietario dei dati che lo riguardano1.
Gli strumenti principali della “emancipazione” sarebbero le profilazioni genomiche, facilmente disponibili on line, gli strumenti diagnostici, a portata di smartphone, i wearable device o dispositivi indossabili (DI), costituiti da uno o più biosensori, inseriti su capi di abbigliamento quali orologi (smartwatch), magliette, scarpe, pantaloni, cinture, fasce (smart clothing), occhiali (smart glasses), in grado di rilevare e misurare diversi parametri biologici (frequenza cardiaca, respiratoria, saturazione di ossigeno, temperatura corporea, pressione arteriosa, glucosio, sudore, onde cerebrali) e fornire informazioni sullo stile di vita (attività fisica, sonno, alimentazione, calorie consumate).
Le nuove tecnologie digitali, utili per studiare condizioni patologiche, stanno peraltro orientando sempre più la cultura medica anche verso la misurazione della salute e del benessere, realizzando una sorta di data-driven world2. Gli obiettivi degli utilizzatori “sani” sono diversi: dalla semplice registrazione dei dati da parte di soggetti che già adottano uno stile di vita salutare e vogliono semplicemente quantificare i loro progressi (numero di passi giornalieri, velocità di marcia massima, media e istantanea, tempo settimanale dedicato ad attività fisica moderata, fitness cardiorespiratorio), all’utilizzo volto a migliorare il benessere psicologico ed emozionale, la socialità e la capacità relazionale, la produttività e le performance professionali3.
Il rovescio della medaglia è che la vita stessa rischia di diventare di pertinenza della medicina, in quanto oggettivabile in termini medici. La “sensorizzazione” è infatti ormai parte della vita quotidiana di molte persone, soprattutto peraltro di quelle che in realtà ne hanno meno bisogno: giovani, mediamente benestanti, tecnologicamente competenti e già fortemente orientati ad utilizzare la tecnologia.
Uno dei pericoli di questa aumentata autonomia è peraltro quello descritto di seguito, uno scenario che potrebbe presentarsi in un futuro non remoto.
Nell’Hundred Person Wellness Project4, 100 volontari sani sono stati seguiti intensivamente per 9 mesi mediante monitoraggio continuo del sonno, dell’attività fisica, della frequenza cardiaca, associato ad una batteria di circa 100 test biochimici su sangue, saliva (genoma), urine, feci (micro bioma) ogni 3 mesi. Lo studio, senza gruppo di controllo, ha evidenziato qualcosa di anomalo in quasi tutti i partecipanti, dalla riduzione dei livelli di vitamina D al prediabete. È seguita la proposta di una piattaforma a pagamento per effettuare gli stessi esami con la supervisione di un* coach* e la promozione di uno studio su larga scala, su 100.000 persone in buona salute5.
L’utilizzo dei dispositivi di monitoraggio infatti non è soltanto un problema di efficacia/efficienza ma di cambiamento di paradigma culturale. Il rischio è che si stia realizzando una sorta di nuovo apparato sensoriale, una strumentazione pervasiva, in grado di registrare con occhi nuovi e ridefinire lo stesso concetto di identità corporea e di persona. H.G. Gadamer ha affermato che “la salute stessa è l’abilità di dimenticare di essere sani” 6. Ciò sembra sempre meno realizzabile nell’era della medicalizzazione e del controllo continuo, nella quale gli individui sentono continuamente la necessità di verificare/confermare il proprio stato di salute/malattia. Da questo punto di vista, lo specchio computazionale, prototipo di semeiotica digitale, si colloca esattamente nel main stream delle richieste delle persone, che sembrano sempre più necessitare di conferme esterne del proprio stato di salute, espropriati delle loro percezioni, come profetizzato da Illich nel 19767.
Il wise mirror (specchio saggio), progetto di ricerca condotto da centri di eccellenza (Istituto di Fisiologia Clinica, sedi di Pisa e di Milano, Centre de Recherche en Nutrition Humaine di Lione), consiste in un sistema di automonitoraggio, con l'aspetto di uno “specchio”, in grado di aiutare le persone a migliorare il proprio stile di vita al fine di ridurre il rischio cardio-metabolico. Mediante sensori viene ricostruito il volto in 3D mentre l’acquisizione di sequenze video consente la valutazione della frequenza cardiaca e la rilevazione di segni collegati a stati psicologici negativi, come stress, ansia e fatica. Un dispositivo, chiamato Wize Sniffer, analizza inoltre la composizione dell’esalato per monitorare l’effetto di abitudini nocive, quali fumo e abuso di alcol. I descrittori ottenuti sono integrati in un "indice di benessere" la cui evoluzione temporale descrive lo stato dell’individuo. Un sistema di coaching guiderà l’utente, mediante messaggi e suggerimenti, nel mantenimento di un corretto stile di vita riducendo le abitudini nocive. I pazienti saranno anche in grado di condividere, se lo desiderano, i propri dati, memorizzati in un diario, con il curante altri professionisti sanitari.
Conclusioni
I cittadini/pazienti sempre più spesso sottoporranno ai medici dati da loro stessi ottenuti, autonomamente, con il rischio di essere travolti da nuove responsabilità, in un contesto di maggiore incertezza e confusione, ad esempio, per l’utilizzo di strumenti non validati o per le eccessive aspettative riposte nella tecnologia. È pertanto auspicabile (indispensabile?) lo sviluppo di strategie e strumenti per una “vera”partecipazione alla cultura della salute/malattia, che non significa gestione diretta da parte di cittadini “emancipati”, ma un approccio globale, incentrato sulla identificazione e condivisione di valori, senso, interessi, obiettivi, per una cultura medica nella quale il potere delle decisioni possa essere condiviso tra i curanti e coloro che ne vivono in prima persona le conseguenze.
1 Topol E. The Patient Will See You Now. The Future of Medicine is in Your Hands, Basic Books, New York, 2015.
2 McKinsey Global Institute. The age of analytics: competing in a data-driven world. McKinsey Global Institute, 2016.
3 Collecchia G. La medicina digitale. I dispositivi indossabili.
4 Gibbs WW. Medicine Gets Up Close and Personal. Nature 2014; 506: 144-45.
5 Cross R. Scientific Wellness’ Study Divides Researchers. Science 2017; 357: 345.
7 Gadamer HG. 1996. The Enigma of Health. Cambridge: Polity.
7 Illich I. Nemesi medica. L’espropriazione della salute. Arnoldo Mondadori Editore. Milano: 1976.