Heresy Story
Scena 7: da Mosca all’Avana, 1963-65
La scena da cui partire per descrivere questa ripresa intellettuale del marxismo di Guevara si svolge a Mosca e ce l’ha descritta egli stesso in uno dei Resoconti stenografici delle conversazioni bimestrali da lui tenute al ministero dell’Industria dal 1962 al 1964. A noi qui interessano soprattutto alcune registrazioni dell’ultimo anno di permanenza del Che a Cuba come ministro. Sono materiali informali, ma preziosi; ancor più preziosi perché non essendo stati rielaborati né rivisti riflettono pensieri immediati e per nulla diplomatici del Che. Queste registrazioni furono pubblicate nel 1967 (ma già nel 1966 Guevara ebbe modo di vedere le bozze) nel vol. VI della prima edizione a tiratura limitatissima (intorno alle duecento copie) delle proprie opere, curata da Orlando Borrego (El Che en la Revolución cubana). A Cuba non furono mai ripubblicate, né mai inserite in raccolte di sue opere e quindi per molto tempo sono state leggibili soprattutto nelle edizioni e traduzioni fatte all’estero: le prime furono in francese, a cura di Michael Löwy (n. 1938) e dell’editore Maspero (1932-2015), e in italiano da il Manifesto nel 1969 e poi nella mia raccolta di Scritti scelti del Che nel 1993. Finché sono state finalmente inserite nel volume degli Apuntes, pubblicato a Cuba nel 2006.
La scena si svolge il 5 dicembre 1964 nell’ambasciata cubana a Mosca dove il Che viene ascoltato da una cinquantina di studenti sovietici, ma anche contestato da alcuni di loro riguardo alla sua teoria della priorità degli incentivi morali, fondata sulla crescita di coscienza dei lavoratori più che sul ricorso agli incentivi materiali.
Ahí ed donde se empezó a plantear [?], claro, era una cosa violenta. La Biblia - que es el Manual - porque desgraciadamente la Biblia no es El Capital aquí, sino es el Manual. De pronto estaba impugnada en algunos puntos y otra serie de cosas peligrosamente capitalistas, entonces de ahí surge el asunto de revisionismo.
(Apuntes, p. 369)
A quel punto, quando si cominciò a porre [i problemi], lo scontro si fece violento. La Bibbia - vale a dire il Manuale - perché disgraziatamente la Bibbia qui non era Il Capitale ma il Manuale. Dei punti cominciarono ad essere impugnati, mentre venivano dette però anche cose pericolosamente capitalistiche: fu allora che emerse la questione del revisionismo.
(Scritti scelti, II, p. 565)
È importante puntualizzare che il “Manuale” di cui qui si parla ironicamente è il Manuale di Economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss, al quale Guevara dedicherà un intero volume di critica devastante all’inizio del 1966 e su cui quindi torneremo.
Per ora è importante stabilire che a Mosca è cambiata l’atmosfera nei riguardi del Comandante Guevara (considerato “glorioso” soprattutto per le sue imprese militari e non per il suo marxismo) e che le critiche che nel frattempo egli ha rivolto alle concezioni economiche sovietiche hanno lasciato il segno. Non è più l’apologeta ultrasovietico, pedissequo sostenitore della superiorità quasi metafisica del materialismo dialettico, ma un intellettuale in piena crisi “revisionistica”, come gli viene imputato a Mosca, che ha ormai capito che per l’emancipazione dell’essere umano “el método exacto no se ha podido encontrar en ningún país y en algunos casos se caía en los extremos de lo que se llama hoy ‘estalinistas’” (12 settembre 1964) “il metodo esatto per riuscirci non è stato trovato in nessun paese e in alcuni casi si è caduto negli estremi che oggi chiamiamo ‘stalinisti’” (p. 548).
E poiché a Mosca non è consentito il dubbio su questioni fondamentali di tale natura, si può immaginare quale reazione potevano aver provocato i giudizi negativi sulla gestione economica sovietica che il Che aveva formulato durante il gran debate económico. La sentenza non poteva essere altro che la damnatio iudicii classica, propedeutica alla damnatio memoriae: si trattava chiaramente di “trotskismo”.
Y como a mí me identifican con el Sistema presupuestario, también lo del trotskismo surge mezclado. Dicen que los chinos también son fraccionalistas y trotskistas y a mí también me meten el “San Benito”.
(p. 370) Ma poiché mi identificano con il Sistema di finanziamento di bilancio, vengo confuso con questa del trotskimo. Dicono che anche i cinesi sono frazionisti e trotskisti, e l’etichetta l’appicciano pure a me.
(p. 567)
De manera que es allí, precisamente en la Unión Soviética, donde se pudo precisar más claramente. ¿Quiere decir eso de revisionismo hasta trotskismo, pasando por el medio? [...] El trotskismo surge por dos lados, uno - que es el que menos gracia me hace - por el lado de los trotskistas, que dicen que hay una serie de cosas que ya Trotsky dijo. Lo único que creo es una cosa, que nosotros tenemos que tener la suficiente capacidad como para destruir todas las opiniones contrarias sobre el argumento o si no dejar que las opiniones se expresen. Opinión que haya que destruirla a palos es opinión que no lleva ventaja a nosotros.
(p. 369)
E quindi è stato lì, proprio in Unione Sovietica, che si è potuta ottenere una maggiore chiarezza. Vuol dire questo che si tratta di revisionismo fino al trotskismo, passando per il mezzo? [...] Il trotsksimo emerge invece da due lati: uno (quello che meno mi attrae) viene dal lato dei trotskisti che dicono che vi è una serie di cose che Trotsky aveva già detto. Io credo solo una cosa, ed è che si deve avere la capacità sufficiente per distruggere tutte le idee contrarie su un determinato argomento oppure lasciare che le idee si esprimano. L’opinione secondo cui andrebbero distrutte a bastonate non è un’opinione che ci porti dei vantaggi.
(pp. 565-6)
Per capire la vera maturazione marxista del Che è indispensabile leggere con attenzione e approfondire le idee che sono sparse tra le registrazioni stenografiche, mescolate a mille altri problemi (funzionamento delle fabbriche, problemi degli operai, polemiche degli oppositori, giudizi negativi ma non ancora drastici sulle idee economiche dei sovietici). Non è facile ricostruire il filo rosso della riflessione guevariana e non è possibile nemmeno fornirne qui una sintesi. Mi limiterò a segnalare due riferimenti a opere di Marx che hanno una grande importanza qualitativa per questa nostra riflessione.
Il primo riguarda il “giovane Marx”. Era la metà degli anni ‘60 e in Francia non si era spento ancora il rumore prodotto dalla grande polemica sull’umanismo marxiano (ricostruibile appunto a partire dalle Opere filosofiche giovanili e dai Manoscritti del 1944), sia per le posizioni rigidamente antiumanistiche di Althusser (1918-1990) sia per la posizione assunta dagli ideologi sovietici. Guevara appare chiaramente affascinato dalla polemica e spezza qualche lancia a favore dell’umanismo del giovane Marx. Lo aveva già fatto nel corso del dibattito economico, citandolo esplicitamente: vi torna nella conversazione praticamente coeva del 21 dicembre 1963.
Egli ricostruisce i termini della polemica, ammette che il linguaggio “hegeliano” del giovane Marx non è quello del Marx “maturo” (autore de il Capitale), ma afferma che la tesi marxiana di fondo, per la quale lo sviluppo della società corrisponde allo sviluppo delle sue contraddizioni economiche in rapporto alla lotta di classe, era già contenuto nel Marx del 1944.
La ricostruzione fatta da Guevara di tale punto di partenza acquista una valenza particolare perché la riconduce al Marx della massima maturità acquisita, espressa nel testo in cui il filosofo di Treviri aveva fornito una propria concezione della società socialista e della transizione ad essa: la Critica del programma di Gotha. Ed è questo il secondo importante riferimento a Marx che scorre attraverso varie conversazioni (per es. pp. 270, 309, 311-12).
L’attenzione prestata dal Che al Marx del 1944 e al Marx della Critica al programma di Gotha, lo porta a sviluppare un proprio personale cavallo di battaglia, e cioè l’importanza dell’elemento soggettivo per il marxismo non solo nel corso della lotta rivoluzionaria, ma anche nella fase di transizione al socialismo, di costruzione della nuova società e dell’uomo nuovo. Non può esservi comunismo, secondo Guevara, che non faccia proprie le “inquietudini” marxiane rispetto al carattere umanistico della rivoluzione. Anzi, non può esservi rivoluzione se non si attribuisce il giusto ruolo e la giusta importanza all’impegno soggettivo - in senso etico - del lavoratore inteso come classe.
Questa posizione caratteristica del marxismo guevariano consentì a Michael Löwy di parlare per primo dell’umanismo rivoluzionario del Che (La pensée de Che Guevara, 1970). Sarà poi il mio turno di riprendere il concetto e di svilupparlo ampiamente nella mia monografia del 1987 più volte citata: l’intera filosofia o visione del mondo del Che si può riassumere proprio in questa formula - umanismo rivoluzionario.
Col tempo mi sono convinto in forma via via crescente che qualsiasi tentativo di collocare il patrimonio teorico del Che al di fuori del suo personale e originale umanismo rivoluzionario, non consente di spiegare praticamente nulla del suo comportamento: non solo del suo rapporto vissuto esistenzialmente e con coerenza estrema fra teoria e prassi, ma nemmeno la sua etica del socialismo e dell’impegno personale. Impegno che fu molto sartriano, sotto questo profilo, e non a caso J.-P. Sartre (1905-1980) seppe riconoscere in lui delle grandi doti personali e intellettuali già nel 1960 (Visita a Cuba).
Nelle conversazioni e in altri testi Guevara fa sua anche la problematica marxiana dell’alienazione, che come sappiamo era stato un elemento fondante della critica marxiana a Hegel e, a mio personale avviso, il principale elemento di differenziazione filosofica dallo statalismo hegeliano, per tutta una prima fase, e di differenziazione politica, per il resto della vita di Marx.
Non rientra nel tema di questa mia riflessione, ma è interessante ricordare che Guevara contrappone la concezione di transizione al socialismo di Marx (a partire dal rapporto tra il dato coscienziale soggettivo e il processo di autoemancipazione dai meccanismi dell’alienazione capitalistica) alle incertezze e vere e proprie svolte che giustamente attribuisce a Lenin, senza però dare alla questione l’importanza che invece meriterebbe.
Nel corso delle conversazioni Guevara parla del proprio mutamento di giudizio rispetto a Lenin. La vulgata del “marxismo-leninismo” non appartiene più al suo bagaglio di idee, anche se il procedimento che lo ha portato a tale visione è in un certo senso storicisticamente rovesciato: a Guevara non piace la Nep, perché non piace l’idea che in un’economia di transizione al socialismo si reintroducano elementi di mercato, metodi di funzionamento capitalistico. Non lo accetta per l’Urss e la Cuba sue contemporanee, e retrospettivamente non lo accetta per la Russia degli anni ‘20. Di qui una drastica revisione del giudizio su Lenin che ora viene presentato in conflitto con la problematica della Critica del programma di Gotha (pp. 310-12, 316, 324-6) se non addirittura con il suo Stato e rivoluzione, da Guevara sempre ammirato e citato.
Molte delle idee espresse nelle conversazioni al ministero dell’Industria si trovano riflesse negli articoli scritti quasi in contemporanea per il gran debate económico. La discussione si svolse grosso modo tra l’inizio del 1963 e la fine del 1964. Gli interventi apparvero liberamente su varie riviste cubane e alla discussione parteciparono non solo i principali responsabili di ciascun settore dell’economia - dall’industria alla banca, con l’unica eccezione di Fidel Castro che non vi prese parte - ma anche alcuni celebri economisti europei come Charles Bettelheim (1913-2006) ed Ernest Mandel (1923-1995) senza dimenticare l’importanza attribuita a quella discussione dalla Monthly Review di Paul Sweezy (1910-2004) e Leo Huberman (1903-1968) La migliore presentazione di quella storica discussione è stata fornita in O debate econômico em Cuba da Luiz Bernardo Pericás (n. 1969).
Una postilla va aggiunta riguardo alle fonti utilizzate dal Che per familiarizzarsi con la storia personale di Marx ed Engels. Egli lesse certamente parte dell’epistolario tra i due disponibile da tempo in lingua spagnola, ma la sua fonte favorita fu La vita di Marx di Franz Mehring (1846-1919). Egli la cita espressamente più volte. Per es. nella conversazione del 2 ottobre 1964 (p. 325) quando afferma la necessità di pubblicare anche a Cuba la celebre biografia (che definisce “commovente”) e sottolinea in particolare l’importanza da Mehring attribuita alla polemica di Marx con Ferdinand Lassalle (1825-1864). Purtroppo il Che non sviluppa il tema ed è un vero peccato perché avremmo potuto capire meglio il suo atteggiamento verso la concezione statalistica del socialismo della quale ho sempre avuto dubbi che Guevara fosse un adepto convinto.
Non mi risulta, invece, che Guevara abbia potuto leggere la monumentale biografia dedicata a Karl Marx e Friedrich Engels da Auguste Cornu (1888-1981), la cui prima metà della traduzione in spagnolo fu pubblicata dell’Instituto del Libro dell’Avana in un enorme volume di oltre 700 pagine solo nel 1967, anche se - mi fu detto - su esplicita richiesta fatta dal Che prima di partire.
Ma della biografia di Mehring Guevara fece qualcosa di più che raccomandarla semplicemente. Ne fece un vero e proprio compendio, ormai leggibile come “Síntesis biográfica de Marx y Engels”, sia nella sua sede naturale - all’interno degli Apuntes come capitolo dotato di una funzione teorica propedeutica rispetto alla successiva polemica con i sovietici - sia come operazione banalmente commerciale, cioè come libretto a parte, privo di apparato di note e di informazioni che spieghino le ragioni dell’estrapolazione: un ennesimo danno che si aggiunge ai molti altri fatti alla possibilità di un’edizione scientifica delle Opere del Che. In questo caso è stato colpito anche il progetto guevariano di attualizzazione del patrimonio di Marx ed Engels finalizzato al fuoco della polemica con i sovietici.
Marxist Story
Scena 8: Praga, 1966
Ed è ormai a questa polemica che dobbiamo dedicare attenzione, cercando in primo luogo di immaginare la scena: dopo la lunga reclusione nella casa dell’ambasciatore cubano a Dar es Salaam avviene un drastico cambio di continente, dall’Africa al cuore della vecchia Europa; una grande villa alla periferia di Praga; la convivenza semiclandestina (Operazione “Manuel” cubano-cecoslovacca) con alcuni dei compagni più stretti (“Pombo” [n. 1940] e “Tuma” [1940-1967]); le partite a scacchi; lo studio e la scrittura.
Il Che vi rimane da marzo fin verso luglio del 1966, quando rientrerà a Cuba per prepararsi all’impresa in Bolivia che nel frattempo è stata definitivamente decisa come meta politica, avendo abbandonato nel corso dell’estate l’obiettivo scelto in precedenza, vale a dire il Perù. (Tutto ciò è ricostruito e documentato dettagliatamente da Humberto Vázquez Viaña, Una guerrilla para el Che). E lì Guevara scrive l’opera che si usa definire “Quaderni di Praga” (ma pubblicati come Apuntes críticos a la Economía política, anche se in realtà il bersaglio del Che era il Manuale di Economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss). Un enorme lavoro di ricompilazione di testi (a partire dal compendio biografico di Marx-Engels di cui si è detto), con lunghi brani ricopiati a mano da opere soprattutto di Marx-Engels e di Lenin, ma un brano anche da Mao Tse-tung. Mi sembra giusto, però, aggiungere a questo lavoro di ricompilazione antologica anche i brani che Guevara copia in un libretto a parte, negli stessi mesi o in un periodo di poco successivo che non si è riusciti purtroppo a definire meglio. Questo libretto, insieme al “libro verde” con i brani poetici, ricomparirà tra i suoi oggetti personali venduti in Bolivia dopo la sua morte: in questo caso comprato dalla casa editrice Feltrinelli, ma senza ulteriori specificazioni.
Il libretto è stato pubblicato in una pessima edizione dalla stessa casa editrice con errori e con un titolo ridicolo (Prima di morire. Appunti e note di lettura). Va però preso sul serio perché contiene brani tratti da The Marxists di Ch. Wright MIlls, dalle Opere di Marx-Engels, di Lenin e di Stalin, da Lukács, dal M.A. Dinnik già ricordato e da varie opere di Trotsky. Sotto il profilo quantitativo i brani di Trotsky prevalgono di molto su tutti gli altri autori citati e il brano tratto dalla sua Storia della rivoluzione russa è accompagnato dal seguente commento:
È un libro appassionante ma di cui è impossibile stilare una critica poiché va considerato che lo storiografo è anche protagonista degli eventi. Comunque, fa luce su tutta una serie di eventi della grande rivoluzione che erano rimasti offuscati dal mito. Al tempo stesso, fa affermazioni isolate la cui validità resta ancora oggi assoluta. In definitiva, se tralasciamo la personalità dell’autore e ci atteniamo al libro, questo va considerato una fonte di primaria importanza per lo studio della rivoluzione russa.
(p. 94)
Il governo cubano è riuscito a impedire fino al 2006 che si pubblicassero i Quaderni di Praga (gli Apuntes), ma ha poi dovuto cedere non solo alle pressioni esercitate dalla Fondazione Guevara internazionale, ma anche perché alcune parti salienti di critica all’Urss erano già apparse nel 2001 nel libro di Orlando Borrego, Che, el camino del fuego. E tra i brani riportati e commentati dall’ex ministro dell’Azúcar figurava il prologo (Necesidad de este libro) in cui, in aggiunta alle tante affermazioni guevariane ispirate al marxismo che liquidavano la pretesa sovietica di marciare verso il socialismo, spiccava la seguente lapidaria affermazione riferita all’Urss:
La superestructura capitalista fue influenciando cada vez en forma más marcada las relaciones de producción y los conflictos provocados por la hibridación que significó la Nep se están resolviendo hoy a favor de la superestructura: se está regresando al capitalismo. (La sovrastruttura capitalistica è venuta influenzando in forma sempre più marcata i rapporti di produzione, e i conflitti provocati dall’ibridazione che significò la Nep si stanno risolvendo oggi a favore della sovrastruttura: si sta tornando al capitalismo).
(Apuntes, p. 27; Borrego, p. 382)
Una simile profezia formulata negli stessi mesi in cui Fidel Castro decideva di entrare definitivamente nel blocco sovietico può forse lasciare indifferenti oggigiorno, giacché ognuno può vedere come si sia effettivamente avverata. All’epoca, però, implicava un grande coraggio intellettuale da parte di una sorta di vicecapo di Stato, leggendario comandante per il mondo militare sovietico, che aveva maturato la seconda fase della sua adesione giovanile al marxismo in prona ammirazione dell’Urss come patria del socialismo. Qualunque analisi del pensiero del Che che non tenga conto di questa profonda trasformazione e presenti invece una visione unilaterale e stabile nel tempo delle sue concezioni economiche non merita la benché minima considerazione. Ma purtroppo, i libri dedicati a Guevara che offrono una tale visione monocromatica e quindi profondamente errata del suo pensiero hanno rappresentato per vari anni quasi la regola nella produzione editoriale di Cuba o da parte di autori ad essa legati. Ne potrei citare esempi cubani, cileni, italiani, statunitensi ecc. ma sarebbe un modo poco generoso di infierire sulla povertà intellettuale di un’intera generazione che nel passato definivo “nomenklatura latinoamericana” e che ormai comincia finalmente ad estinguersi.
Gli Apuntes sono un’opera molto impegnativa sotto il profilo teorico e andrebbero esaminati brano per brano, visto che ogni paragrafo si riferisce criticamente ad altro paragrafo del famigerato Manuale sovietico. Il linguaggio è molto tecnico e dimostra una nuova acquisita familiarità con i testi base del marxismo: il Capitale soprattutto. Abbondano anche i riferimenti a Lenin, citato in parte positivamente e in parte per contestare determinate scelte compiute dopo la fine del comunismo di guerra (tema di cui Guevara non parla, anche se si potrebbe presumere che sulle grandi linee ne fosse tendenzialmente a favore). È però evidente che il Che ignorava totalmente la letteratura “eretica” dedicata alla Russia dei soviet fin da quando era in vita lo stesso Lenin. Di questo grande laboratorio teorico, contrassegnato da nomi celebri del marxismo e non solo, Guevara non ebbe sentore e questo fu un suo grande limite teorico.
Va però anche detto che il Che visse solo 39 anni, molti dei quali viaggiando o combattendo armi alla mano per i suoi ideali.
Riguardo agli Apuntes, ciò che a noi può interessare di più è che vi è un ampio ricorso alla Critica del programma di Gotha, sia come riferimenti diretti, sia soprattutto come adesione alla sua sostanza. Quest’opera dell’ultimo Marx è comunemente considerata come il massimo concentrato della sua visione utopistica (così l’ho interpretata anch’io nella mia introduzione a una sua edizione italiana bilingue del 2008) e non vi sono dubbi che anche per il Che fu questo il suo significato più caratteristico. Non dimentichiamo che un anno prima (marzo 1965), tornando dal viaggio in Africa, egli aveva consegnato alla rivista Marcha di Montevideo il suo testo utopistico per eccellenza - Il socialismo e l’uomo a Cuba - in cui si avvertiva chiaramente l’ispirazione da quel celebre testo di Marx.
Va infine detto che anche tra i Quaderni di Praga è incluso il manoscritto di un programma di studi (il “Plan tentativo” [Abbozzo di piano]). Abbiamo già ricordato altri due piani di studio redatti nello stesso biennio, e questo è il secondo in ordine di tempo. È anche il più organico e il più dettagliato, visto che ha la forma di indice generale di un libro da scrivere, una sorta di schema per una grande monografia sulla storia sociale dell’umanità: dai modi di produzione precapitalistici all’imperialismo, passando per le società schiavistiche e il feudalesimo; dalle categorie marxiane d’interpretazione dello sviluppo capitalistico (compresa un’ampia sintesi del Capitale) a una definizione dell’economia della fase di transizione (tutta la terza parte); per arrivare infine alla problematica di costruzione del socialismo (quarta e ultima parte). La morte gli impedirà di portare a termine questo progetto ambizioso, al quale avrà certamente continuato a pensare durante la guerriglia in Bolivia, come dimostra il piano di letture citato all’inizio e che ora si conferma come serie di appunti bibliografici redatti mese per mese, parte di una lista dei desideri delle letture da compiere.
Pubblicati troppo tardi per avere qualche influenza sulla formazione teorica delle nuove generazioni di intellettuali cubani, gli Apuntes resteranno per sempre nella storia del marxismo come prova del massimo livello di comprensione del patrimonio teorico marxiano raggiunto da Guevara. Verranno però considerati anche come la più completa testimonianza della sua lucida capacità di previsione analitica, in rapporto a un mondo politico - il suo mondo politico - che brillò per ottusità se non vera e propria cecità riguardo al destino imminente del regime burocratico sovietico.
Fade-out... dissolvenza...
Scena 9: Vallegrande, 9 ottobre 2017
La scena è composita, policroma e multisonora. Nella grande spianata di quello che un tempo sarebbe dovuto diventare l’aeroporto di Vallegrande in Bolivia sono raccolte alcune migliaia di persone convocate dal governo del presidente Evo Morales per celebrare il 50° anniversario della caduta del Che in combattimento. Tante bandiere multicolori ma per lo più rosse con la silhouette della celebre foto di Korda, musiche andine e caraibiche, striscioni di associazioni politiche, sindacali e culturali di varia provenienza latino-americana. Nei giorni precedenti sono stati ascoltati studiosi del guevarismo fatti confluire da varie parti del mondo: il sottoscritto dall’Italia ma incredibilmente anche l’unico dall’Europa.
“Il Che vive” è lo slogan più ripetuto, ma l’edificio a forma di chiesa costruito sul luogo in cui furono ritrovate le ossa di Guevara sta lì a testimoniare il contrario. E quella tomba si associa mentalmente al Mausoleo cubano di Santa Clara al cui interno l’atmosfera è ancor più accentuatamente mistico-religiosa secondo una tradizione agiografica cubana, iniziata già dall’ottobre 1967. Per chi volesse approfondire il discorso su questa evoluzione della figura di Guevara - antimaterialistica (quindi antimarxiana), misticheggiante e popolar-irrazionale - è disponibile un’affascinante ricerca condotta per anni da un docente emerito di storia dell’arte della University of California (Los Angeles): David Kunzle (n. 1936), Chesucristo. The fusion in image and word of Che Guevara and Jesus Christ, (Chesucristo. La fusione in immagini e parole tra Guevara e Gesù).
Il Che è morto, non c’è dubbio. Ma per la riflessione condotta fin qui è morto soprattutto il suo rapporto con Marx. E questo non è accaduto a cinquant’anni dalla Higuera, ma mentre il celebre Comandante era ancora in vita. Infatti, dopo la ricchezza di riferimenti teorici contenuti nei Quaderni di Praga non si trovano ulteriori riflessioni del Che su problematiche riconducibili al marxismo. Abbiamo i titoli delle opere che egli avrebbe voluto leggere o rileggere in fondo al Diario di Bolivia, ma proprio da tale Diario sono totalmente assenti i nomi di Marx, di Lenin o di altri celebri marxisti. Sfugge Trotsky ma solo perché quel giorno (31 luglio 1967) si accusa la perdita di un suo libro. Il lettore può verificare facilmente tutto ciò perché dal 1996 esiste un indice dei nomi anche per il Diario boliviano: l’ho elaborato io per l’edizione da me curata del Diario di Bolivia illustrato ed è l’unico esistente al mondo. E mi sono sempre chiesto se questa incredibile manchevolezza - che non esista cioè alcuna edizione del Diario (nemmeno a Cuba) con un doveroso indice dei nomi - non sia un sintomo del disinteresse teorico verso l’ultima evoluzione ideologica del Che.
Se nei primi anni dopo la sconfitta in Bolivia il disinteresse poteva avere ragioni politiche - giacché Guevara era totalmente indigeribile per i paesi capitalistici, ma ancor di più per i paesi del presunto “socialismo reale” (Cina inclusa e anzi in prima fila visto che lì non fu mai data nemmeno la notizia della sua morte) - col passare del tempo furono altre le ragioni che potevano spiegare perché il connubio Guevara/Marx avesse perso molto della sua potenziale attrattiva teorica.
In primo luogo c’era il fatto che la polemica del Che contro l’Urss aveva perso gran parte del suo interesse e del suo potenziale eversivo dopo il crollo dell’Impero sovietico nel 1989-1991 (e comunque a Cuba era stato a lungo proibito parlarne sin dalla fine degli anni ‘60). Si aggiunga poi che la riflessione guevariana sul tema dell’alienazione (marxiana, sartriana o umanistica che fosse) fu ben presto travolta dalla nascita del mito della sua persona e dall’appropriazione fattane dalla società spettacolare di massa.
Questo riassorbimento della figura del Che che non poteva non travolgere il suo rapporto col marxismo è stato magnificamente descritto da uno dei più bei libri scritti sul “guevarismo” contemporaneo, cioè su come il mondo della cultura e dello spettacolo vive e sfrutta la sua figura a tanti anni dalla morte: si veda Michael Casey (n. 1967), Che’s afterlife. The legacy of an image (La seconda vita del Che. Storia di un’icona contemporanea).
Se si è perso il connotato comunista e internazionalistico della sua azione politica, se si è perso il fascino della sua ribellione contro ogni conformismo, se si è perso il valore etico della sua rinuncia alla gestione del potere (caso unico nella storia del Novecento), se si è persa la sua originale teorizzazione del rapporto teoria-prassi da me definita come “umanismo rivoluzionario”, poteva forse sopravvivere il suo rapporto con Marx?
No di certo.
Non resta quindi che concludere il nostro remake del vecchio film con un celebre aforisma di Woody Allen:
Marx is dead, Guevara is dead... and I’m not feeling too well myself.
Marx è morto, Guevara è morto... e anch’io non mi sento troppo bene.