La presenza di microplastica, particelle di plastica molto piccole e spesso addirittura microscopiche, è un problema che è già stato oggetto di vari studi che hanno fornito varie informazioni sulla sua pericolosità per gli animali marini che la ingeriscono e per il resto della catena alimentare, esseri umani inclusi. Un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports si concentra sull'ingestione di microplastica da parte dei coralli, soprattutto quando le particelle sono mischiate con normale cibo. Come se questo tipo di minaccia non fosse sufficiente, un articolo pubblicato sulla rivista Molecular Ecology Resources riporta la scoperta che comunità di batteri possono formarsi su particelle di microplastica aumentando il rischio che specie patogene si diffondano in diverse aree per gli oceani. In casi in cui anche microalghe del gruppo delle diatomee si attacchino alla microplastica, aumenta il rischio che essa venga mangiata.
Un esperimento descritto sulla rivista Scientific Reports è stato condotto all'Università di Washington da Jeremy Axworthy, che sta studiando per il dottorato alla Scuola di Scienze acquatiche e della pesca, e da Jacqueline Padilla-Gamiño, assistente professoressa di quella scuola. Essi hanno usato due specie di coralli, Montipora capitata e Pocillopora damicornis, che hanno esposto alla normale temperatura ambiente di 27 °Celsius e a una temperatura un po' più elevata di 30 °Celsius per poi nutrirle di microplastica, di larve di crostacei del genere Artemia di cui si nutrono normalmente o di entrambe.
I coralli sono già minacciati da vari cambiamenti ambientali che stanno causando diversi problemi agli ecosistemi oceanici. L'aumento delle temperature degli oceani può creare problemi diretti o indiretti come quelli alle microalghe che possono vivere in simbiosi con i coralli. Eventi più complessi che comportano variazioni nelle correnti oceaniche come quelli comunemente chiamati El Niño possono causare vari danni all'ecosistema che colpiscono anche i coralli. L'acidificazione degli oceani porta alla dissoluzione degli scheletri dei coralli. Certe tecniche di pesca possono provocare danni ai coralli. In queste situazioni, l'aggiunta di altre minacce come la microplastica potrebbero rappresentare il colpo di grazia.
La perdita di colorazione dovuta all'espulsione di microalghe simbionti che segue l'aumento delle temperature ambientali forza i coralli a cercare altre fonti di nutrimento per compensare il calo della componente di energia ottenuta tramite fotosintesi. Alcuni coralli si nutrono di meno in questi casi, con effetti negativi, ma quelli che si nutrono maggiormente di cibi come larve di crostacei corrono maggiori rischi di ingerire anche microplastiche.
L'esperimento è stato limitato a due specie di coralli e a tipi limitati di microplastiche con la conseguenza che i ricercatori non sono in grado di dire con certezza perché certi coralli non mangiano microplastiche quando non sono mescolate ad altro cibo. È possibile che riescano a percepire certe sostanze chimiche ma la presenza di cibo normale li inganni. Gli esperimenti continueranno per verificare le conseguenze a lungo termine dell'esposizione a microplastiche ma il primo studio già mostra il pericolo.
I pericoli diretti delle microplastiche sono già conosciuti ma restano ancora da capire quelli indiretti. Un team di ricercatori guidati da Linda Amaral-Zettler, Jessica Mark Welch e Cathleen Schlundt ha condotto lo studio riportato sulla rivista Molecular Ecology Resources. Usando un metodo di esame al microscopio innovativo sviluppato al Laboratorio Biologico Marino di Woods Hole, è stato possibile rivelare la struttura delle comunità di microrganismi che rivestono campioni di microplastiche prelevate da diversi siti oceanici.
I microrganismi trovati sui campioni di microplastiche raccolti in varie aree dell'Oceano Atlantico appartengono soprattutto a tre phylum: cianobatteri (Cyanobacteria), proteobatteri (Proteobacteria) e Bacteriodetes. Questi ultimi due phylum includono anche specie patogene.
Anche i risultati di questa ricerca andranno ulteriormente sviluppati, estendendo la raccolta di campioni di microplastiche da esaminare e combinando i risultati con quelli ottenuti con altri metodi di indagine. L'obiettivo è di capire l'influenza delle microplastiche sui comportamenti di questi microrganismi e sulla loro diffusione in diverse aree degli oceani.
C'è ancora molto lavoro da fare per capire pienamente le conseguenze della diffusione di spazzatura dispersa nei mari dagli esseri umani. I problemi causati da particelle molto piccole sono più difficili da valutare rispetto a quelli già ben visibili causati da oggetti ben visibili ma ogni nuovo studio sta evidenziando i rischi esistenti. I danni indiretti richiedono studi prolungati e c'è il pericolo che ci siano già conseguenze serie come la diffusione innaturale di microrganismi patogeni e una distruzione di barriere coralline superiore a quella prevista.