Abbiamo intervistato Alfredo Rapetti Mogol in occasione della sua futura mostra Oltreparola, a cura di Giorgia Sarti, che si terrà presso gli spazi del Poliambulatorio Giardini Margherita, centro specialistico con sede nell’ex Convento e Convitto dell’Istituto Figlie del Sacro Cuore del ‘500 nel centro di Bologna, durante l’Artweek bolognese.
Alfredo Rapetti Mogol unisce sapientemente due sue grandi passioni, scrittura e pittura, in una propria tecnica artistica nota come “impuntura”, attraverso la quale l’azione del dipingere confluisce nell’atto dello scrivere: una scrittura pittorica, o pittoscrittura, che gli permette di trovare la forma espressiva che meglio esprime la sua personale e affascinante poetica.
Come definiresti l’essere artista?
Un privilegio, una possibilità, una responsabilità soprattutto verso se stessi.
Che ruolo dovrebbe avere o ha nella società contemporanea l’artista, oggi?
Quello di salvare la bellezza perché da sola non potrà mai salvare il mondo.
Quanto reputi sia importante l’ambito della formazione (dalle Università alle Accademie) per un artista? Mi racconti come sono stati i tuoi anni da studente?
L’artista riproduce essenzialmente se stesso, tutto quello che ha visto, letto, studiato, le persone che ha incontrato, le emozioni che ha vissuto. L’opera è una carta carbone, una radiografia emotiva, in ultima analisi un calco della vita e dell’anima dell’artista.
Come ti sei avvicinato all’arte?
È l’arte che si è avvicinata a me e da quel momento non l’ho più lasciata.
Se dovessi stilare una Top Ten di opere d’arte (dal teatro al cinema, dalla danza alla musica) quali sono i tuoi “must have”?
Troppe cose belle, solo il podio, intercambiabile: Taglio bianco di Lucio Fontana, Departures, film giapponese e Oscar al miglior film in lingua straniera, Opera n.35 per violino e orchestra di Pyotr Ilyich Tchaikovsky.
Da artista–critico, come definiresti/racconteresti la mostra Oltreparola che si terrà presso gli spazi del Poliambulatorio Giardini Margherita durante l’Artweek bolognese?
Oltreparola è un diario minimo del lavoro sulla parola dipinta su cui indago dal 1996.
Che rapporto hai con la città in cui vivi?
Sto bene a Milano.
Cosa pensi del sistema dell’arte contemporanea attuale?
La parola sistema ha a che fare a mio parere con logiche lontanissime dalla parola arte, forse la lambisce per quanto riguarda il suo lato puramente economico ma non ha nessun legame seppur superficiale con la parte creativa. Un sistema è in più molto spesso influenzato da logiche mercantili o elitario cultural-modaiole e questo comporta che spesso il valore dell’opera e suo prezzo non coincidano, creando un evidente slabbratura tra mercato e storia dell’arte. Il tempo rimette di solito le cose nella giusta prospettiva.
Giunti al termine di questa conversazione, agli artisti faccio sempre una domanda: Cosa vorresti che ti chiedessi (e che ti è mai stato chiesto)?
Nulla.
Ultima domanda, giuro. Se chiudi gli occhi in questo istante descrivici l’immagine che vedi, se la vedi.
I miei amori.
Nato a Milano nel 1961, la formazione artistica di Alfredo Rapetti Mogol risente del clima famigliare, dove da generazioni si respirano musica, letteratura, poesia. Giovanissimo, Rapetti è introdotto dal nonno materno, Alfredo De Pedrini, Presidente dell'Associazione Arti Grafiche, nell'ambiente artistico milanese, arrivando a maturare la passione per la pittura, alla quale si uniscono la formazione presso la scuola del Fumetto a Milano, le collaborazioni in ambito editoriale, mentre l'esercizio pittorico viene sperimentato in diverse direzioni, destinate a confluire, nel 1996, nello studio degli artisti Alessandro Algardi e Mario Arlati che invitano Rapetti a condividere con loro la ricerca pittorica.
Nell'atelier di Via Nota Rapetti lavora quattro intensi anni, arrivando a maturare l'esigenza di coniugare le sue due più grandi passioni: la scrittura e la pittura, intendendole quali visualizzazioni del processo mentale e psicologico. Grazie ad una tecnica particolare, detta “impuntura”, l'azione del dipingere si fonde così con l'atto dello scrivere, e le parole iniziano ad essere segnate non solamente su fogli ma anche nelle tele. Segni, tracce, graffiti di un'umanità creativa e consapevole, le opere di Rapetti proseguono quell'ideale tragitto di una scrittura pittorica che tanto più è universale, quanto più sa frantumarsi e confrontarsi con i secoli della storia dell'arte, dalle Avanguardie storiche al Concettuale, passando per le esperienze spazialiste di Lucio Fontana e le grafie astratte degli anni Cinquanta.
Trovata la forma espressiva congeniale alla sua poetica, fra la fine degli anni Novanta ed oggi, è davvero notevole l'attività espositiva, sia personale che collettiva, conseguita dall’artista sempre in viaggio fra l'Italia e il resto del mondo, ricordiamo alcune delle più importanti sedi: Museo della Permanente di Milano, il Salon d’Automne di Parigi, Palazzo Strozzi a Firenze, il Mosca Mar’s Contemporary Art Museum, il Riga Foreign Art Museum, il Grand Palais di Parigi, la Fondazione KPMG di Berlino, Palazzo della Ragione di Mantova, N.Y. University, Museo di scultura di Santa Monica L.A., 52ma e 54ma Biennale di Venezia, Castello Sforzesco, Spazio Oberdan, Lucca Center of Contemporary Art.