…È la tecnologia che fa corpo con la vita e diventa la versione digitale del panopticon di J. Bentham, il dispositivo di sorveglianza carceraria che a fine Settecento inaugura la moderna società del controllo e della prevenzione. E adesso i cento occhi sono tutti nello schermo di iWatch. Forse non è un caso che, in inglese, guardia sentinella si dicono watch, con la stessa parola di orologio. Così ognuno di noi diventa un sorvegliante sorvegliato. Un “iWatch me” in carne e ossa.
(M. Niola)1
Il lancio pubblicitario dell’Apple Watch 4 ha fatto molto rumore, non solo per gli avanzamenti tecnologici in generale, ma soprattutto perché l’ultima versione è in grado di registrare un tracciato elettrocardiografico. Il device ha stimolato i giudizi più discordanti, fra chi lo considera come l’apertura di una strada verso un’assistenza sanitaria più predittiva e preventiva e chi invece lo classifica come semplice operazione di marketing.
L’Apple Watch è attivabile facilmente nell’App Salute di un iPhone obbligatoriamente abbinato. Se l’utente desidera ottenere un tracciato, ad esempio in caso di sintomi come un battito accelerato o irregolare, deve essere a riposo, con il braccio appoggiato su una superficie o in grembo. A questo punto, poggiando il dito sulla corona dello smartwatch acquisisce in 30 secondi un elettrocardiogramma (ECG) a singola derivazione, simile a D1, che, memorizzato in pdf, è condivisibile via mail o messaggio.
L’attivazione dell’App avvia inoltre un monitoraggio periodico, passivo, peraltro solo nei periodi in cui l’utente non si muove per un tempo sufficiente a ottenere la lettura. In caso di battiti irregolari, chi indossa il Watch riceve una notifica di potenziale aritmia e, nell’App Salute, ulteriori informazioni, ad esempio, l’ora dell’aritmia. Tutti i dati e le rilevazioni, compresi eventuali sintomi, sono consultabili e possono essere inviati al medico. L’orologio digitale non può effettuare un ECG completo a 12 derivazioni, e per questo non può diagnosticare altre patologie.
Vantaggi e limiti
L’Apple Watch segnala a chi lo indossa la possibile presenza di una patologia altrimenti spesso difficilmente identificabile. La FA è, infatti, asintomatica in oltre un terzo dei casi e la sua scoperta può essere del tutto casuale con possibilità di esordire con eventi gravi come l’ictus. L’aumentato engagement dei cittadini può peraltro provocare una eccessiva confidenza nell’auto-monitoraggio e nelle diagnosi “fai da te”, anche se, nelle varie schermate di spiegazione, da leggere prima di poterla usare, l’App ricorda l’indispensabilità della visita specialistica per confermare e valutare la presenza di possibili patologie. È quindi necessario inserire il device in percorsi clinici predefiniti, oltre che integrare i dati automaticamente in un unico repository, ad esempio, la cartella clinica elettronica del paziente, per non appesantire ulteriormente il carico burocratico dei sanitari2. Occorrono medici esperti, che educhino l’utente ad un uso corretto, informando sul possibile rischio di falsi positivi e conseguenti falsi allarmi in una popolazione in gran parte non alfabetizzata sul piano digitale. Non dimentichiamo che la nostra identità è ancora fondamentalmente analogica, pur in un mondo sempre più digitale3.
L’Apple Watch con Ecg non può sostituire gli strumenti diagnostici tradizionali. La sua evoluzione da costoso gadget a tecnologia affidabile, efficace ed efficiente richiede la validazione in progetti di ricerca condotti con metodologia rigorosa. Un obiettivo potrebbe essere una maggiore conoscenza della storia naturale della FA, soprattutto nei casi asintomatici, non diagnosticabili facilmente con i metodi tradizionali.
L’utilizzo dell’Apple Watch non è peraltro soltanto un problema di efficacia/efficienza ma di cambiamento di paradigma culturale. Il rischio è che si stia realizzando una sorta di nuovo apparato sensoriale, una strumentazione pervasiva, in grado di accedere a realtà fisiche, sociali e ambientali in modalità, scale e forme che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. I dati, proiezione digitale delle nostre persone, “specchi a senso unico”, possono essere input fondamentali per produrre avanzamenti in ambito medico e per migliorare le politiche sanitarie. Sono peraltro anche strumenti per la creazione di valore nel mercato digitale. Il concetto di dato personale e anonimo è ormai sparito in una sorta di far web di schedature e profilazioni ossessive, fuori controllo, nel quale la violazione della privacy sembra essere sistematica e destinata ad accentuarsi con l’imminente esordio del cosiddetto internet delle cose (e dei corpi). Nel caso specifico la Apple rassicura, affermando che i dati rimangono criptati all’interno del dispositivo, o dell’iCloud, inaccessibili all’azienda stessa e resi in chiaro solo dall’intervento dell’utente e dal riconoscimento tramite codice, touch o face ID4.
1 Niola M. Il presente in poche parole. Milano: Bompiani 2016.
2 Sim I. Mobile devices and health. NEJM 2019; 381: 956-68.
3 A questo proposito è interessante segnalare che il termine digitale deriva dall'inglese digit (che significa cifra, riferita in questo caso al codice binario), che a sua volta deriva dal latino digitus, "dito" (con le dita infatti si contano i numeri). Nonostante l’etimologia, il concetto di medicina digitale è diventato nell’uso pratico un ossimoro: il tocco umano versus la sua antitesi, il contatto versus il monitoraggio, con un rischio sempre maggiore di perdita della relazione medico-paziente.
4 Toniutti T. L’orologio fa l’elettrocardiogramma.