Il mio studio si trova all’ultimo piano di un grande edificio. Proprio quello oltre il quale non si può salire perché più in alto c’è solo il cielo e più in basso stormi di tetti.
Ieri pomeriggio, guardandomi intorno, ho realizzato che questo studio così “in alto” contiene tre oggetti molto pesanti, tre macigni. Guardando i tre macigni mi sono sentita potente, perché per la prima volta e sicuramente in ritardo, ho compreso che amiche e amici hanno fatto e fanno miracoli per me.
Marcello è venuto da Verona con un grande chiusino di ghisa perché gli avevo raccontato che ho l’abitudine di camminare a testa bassa e così ho imparato a conoscere chiusini di tutte le specie; mi piacciono soprattutto quelli che custodiscono, a contatto con l’asfalto, fili d’erba. Il chiusino ora risiede nel terrazzo e fa parte, con piccoli sassi bianchi e piante grasse, di una installazione che tende a dilatarsi nello spazio e ha conquistato anche due vecchi elementi del termosifone abbandonati quassù e che nessuno vuole o riesce a portare via. Nel mio studio, quindi, gli oggetti tendono a stabilirsi e hanno invece problemi a ritornare da dove sono venuti.
Un altro oggetto pesante è il tavolo sul quale ora sto scrivendo. Letizia e Roberto, tanto tempo fa, lo hanno portato a me, gradino dopo gradino per 146 gradini. Da allora questo tavolo bianco è il mio complice e il mio compagno di lavoro.
Ed infine, da Ferrara, Maurizio ha fatto risalire, dalla terra al cielo, una scultura: un trono realizzato in marmo cementizio. Il trono, anche lui, è ora nel terrazzo e il tempo, la pioggia, il vento, il sole hanno creato nel suo interno nuove geografie. In quest’opera ci sono, insomma, vite diverse. Dato il peso, non posso dire che il trono sia volato fin quassù. Non so quali leve Maurizio abbia usato per risalire la corrente dei gradini, so solo che ora è qui.
I tre oggetti, sebbene tra loro così diversi, sono prova di un grande affetto. Non sono piume. Anche il dono di una piuma può far piacere, ma non ha peso; con una piuma non ci si mette in gioco. In questo caso, invece, i miei amici si sono fatti carico di imprese di grande portata che testimoniano la loro presenza nella mia vita.
Il tempo, quello delle ore, dei giorni sempre uguali, delle stagioni dal clima "impazzito", corre veloce, ma i miracoli di amiche e amici con la loro efficacia continuano e arrivano fin quassù. Lo studio è il luogo di tramonti infuocati e di lune piene. Per questa ragione sono arrivati tappeti volanti, divani, e nelle notti di luna piena il terrazzo diventa lo spazio che incanta le nostre vite. Rosanna ed Edoardo hanno tentato di mettere ordine e hanno compiuto un altro intervento di grande portata: il vecchio frigorifero, in disuso, contenitore di oggetti del tutto inutili ha lasciato il posto ad un frigorifero che funziona. Si crea tra me, creatrice soprattutto di disordine e gli amici un incontro scontro particolare. Da un lato, io, creatrice soprattutto di disordine e dall'altro loro, che ostinatamente continuano a riordinare. In queste operazioni, Angelo, ha tentato l'impossibile: il peso che la mia amica Luisa sta portando è carico di responsabilità. Mi ha vista soccombente, in grave difficoltà. Senza la sua autorevole presenza sarei ancora lì, immersa nei manoscritti, incapace di racchiudere in un libro foglietti volanti. Intorno a Luisa circola un’aura di perfezione. Con la semplice legge di “un racconto alla volta” Luisa crea eventi quotidiani concreti, sicuri, certi.
La settimana scorsa le ho portato, invece di uno, due racconti e si è rotto il computer. Il lavoro si è fermato. Non posso sgarrare, devo seguire esattamente il suo percorso.
Da una parte c’è Luisa che, con un racconto alla volta, tenta di eliminare tutto il peso di un lavoro in stato confusionale, raccogliendolo in un unico contenitore, il libro. Dall’altra parte ci sono io che continuo a produrre scrittura in fogli sparsi. Ora scrivo in qualsiasi foglio mi capiti sotto mano. Scrivo anche in quei piccoli blocchetti che regalano le banche per Natale; fino a poco tempo fa li usavo per scrivere numeri telefonici anonimi. Sono più utili adesso.
Luisa raccoglie, mette ordine, detta a sua figlia Lucia che trascrive al computer. Mentre io continuo a creare confusione. Attendo il suo autorevole: “Ora basta”. Uno stop miracoloso che mi toglierebbe da questo frenetico dare forma alla parola scritta.