Non ricordo dove e quando mi è stata raccontata la leggenda del pettirosso. So solo che in questo momento la riporto a me da tempi lontani per parlare un po’ di passione.
Allora, un giorno di primavera, un uccellino grigio, di quelli tutti uguali, vide e sentì lo splendore di una rosa. Sconvolto da autentica passione, le si avvicinò troppo. La rosa non gradì l’invasione di campo e con una spina lo colpì al cuore. Nacque così - per pura passione non corrisposta - il pettirosso. Si compì la metamorfosi: da uccellino - di quelli tutti uguali - allo splendore del piccolo pettirosso.
La ferita del pettirosso diviene così il centro di uno stato di grazia che si proietta all’esterno e dona al pettirosso la sua fatale qualità.
Passione da passus, participio passato di pati, sopportare, patire.
Dal vocabolario ne trascrivo sette voci:
1. sofferenza del corpo, dolore o tormento fisico
2. intima e profonda pena, sofferenza dello spirito
3. sentimento, impressione o sensazione più o meno forte che influisce in modo determinante su pensieri, azioni o atteggiamenti
4. sentimento intenso e veemente d’attrazione o di ripulsa
5. violento amore sensuale
6. parzialità nel sentire, nell’agire, nel giudicare
7. (letter.) mistero
E adesso dove mi colloco? Credo alla voce n. 4.
Nell’arco di una vita questi sette punti, più o meno, si attraversano tutti, naturalmente con molteplici varianti. Ogni voce un racconto, una riflessione, insomma una storia.
Ma quel che mi interessa ora è comprendere per quale ragione, da qualche tempo, sono attratta dal pettirosso e dalla rosa. Come spesso mi accade, ho iniziato a interpretare la leggenda inconsapevolmente, dando, due o tre anni fa, questo titolo a una mostra per la quale ho realizzato anche uno “scudo” pensando al pettirosso e alla rosa.
Oggi sto scrivendo una grande pagina (180 x 80 cm) dove, di nuovo, ho realizzato le immagini della leggenda. Alla terza esperienza sono passata alla consapevolezza; è venuta alla luce la circostanza che mi accomuna al pettirosso.
Come ho già raccontato, quasi tutte le mattine - più tutte che quasi - vado in bicicletta. Vado in bicicletta nei miei luoghi protetti. E tra questi luoghi, a fine estate, c’è quello che preferisco, quello che mi emoziona maggiormente dove il cuore mi batte più forte. Anzi, penso proprio che, se il paradiso in terra esistesse, sarebbe qui. A Punta Marina. A Punta Marina di fronte al Bagno Pino; una piccola porzione di spiaggia e di mare. Quando ci arrivo, spariscono nuvole, freddo, autunno, inverno. Qui, fuori stagione, contemplo in perfetta solitudine il cielo, l’acqua marina, le colline. Raccolgo conchiglie rosa e bianche e, soprattutto, protetta dagli scogli, faccio lunghe nuotate.
Leggo e m’abbandono al sole; insomma raggiungo una specie di beatitudine che annulla le mie ansie quotidiane.
Questa signora di una certa età che sono io ora vede e sente tutto lo splendore della rosa, in questa circostanza, il mio paradiso in terra.
Come è accaduto al pettirosso, sono sconvolta da autentica passione e m’avvicino troppo.
Una mattina ottobrina infilo la bicicletta nella rastrelliera del Bagno Pino, chiuso.
Vado poi in riva al mare. Sono una figura dell’acqua. Contemplo la qualità marina: l’aria, il colore, la luce, la limpidezza – illimitate. E, senza difese, sento il mare rispecchiarsi in me e m’abbandono alle sue acque. Mi asciugo poi al sole e infine ritorno felice e serena alla bicicletta.
Qui mi attende il signor Pino - la spina della rosa - che mi aggredisce verbalmente perché ho infilato la bicicletta nella rastrelliera che risiede, come un trono d’avorio, nella sua proprietà privata.
Il mio animo ancora innocente, beato e disponibile, si scontra con una rabbia furente e ne esce ferito a morte. Il signor Pino, distruggendo il mio stato di grazia, mi caccia dal paradiso terrestre. Ma in quel luogo ritorno, anche se ritorno a lato, “ormai diffidente”, sicuramente priva della primaria innocenza.
Il colpo al cuore mi porta alla ricerca di quegli spazi dove è ancora possibile compiere metamorfosi. Da signora di una certa età - di quelle quasi tutte uguali - a un fiore di ragazza che si offre all’acqua, alla terra, all’aria.