C’è ancora posto nell’arte contemporanea per la pittura? Ne abbiamo parlato con Alessandro Moreschini in occasione del suo “autoritratto” all’auditorium del MACRO, Museo di Arte Contemporanea di Roma. Il 26 ottobre, infatti, in occasione del Rome Art Week Moreschini ha parlato della sua pratica artistica oltre che con il sottoscritto anche con Giorgia Basili e Beatrice Burati Anderson. Di seguito il testo dell’intervista che ha approfondito alcuni spunti dell’intervento e del dibattito.
Nelle tue opere la pittura diventa una texture che ricopre non solo tele ma anche oggetti. Qual è il motivo per cui hai deciso di far “uscire” la pittura dal quadro?
Si tratta forse di una ribellione!? La pittura esce dai confini prestabiliti dello spazio bidimensionale! Mi pare evidente che da quando la pittura sia nata, penso alle pitture rupestri di Lascaux, abbia poi utilizzato sempre ciò che il succedersi dei millenni e dei secoli poneva a disposizione. Anche un regista può essere pittore con la pellicola! Si può dipingere con le parole, con le note musicali, ma quando si dipinge con i pennelli ed i colori ci si sente più responsabili rispetto ad ogni altra pratica artistica, la pittura è la più antica, quindi la più difficile da rinnovare! La pittura infine ribadisce sempre la propria vitalità al contrario di chi vorrebbe farla retrocedere, declassarla, farla sentire inadeguata rispetto alla contemporaneità. Nulla di nuovo, già i Futuristi con Balla, spinsero la pittura fuori dalla tela fino a dipingere la cornice, come se questa registrasse le vibrazioni e il movimento che dall’interno si propagava verso l’esterno. Se i Futuristi pensavano al domani ancor prima di aver capito davvero l’oggi, più tardi, Giorgio De Chirico Pictor Optimus, pensava a ieri avendo capito molto bene l’oggi. La Pittura contemporanea invece, a mio parere non compie più spostamenti temporali come nelle avanguardie o in molto ‘900, ma si caratterizza invece come un profumo, che è percepibile ma non si capisce da dove provenga e soprattutto dove realmente vada! Comunque è presente e lascia una traccia odorosa nella contemporaneità.
La pittura è ancora un “medium” contemporaneo?
Janis Kounellis affermava di essere pittore, dipingere è uno stato mentale non tecnico. La pittura è una condizione dello spirito e non tutti gli artisti vivono tale condizione. Federico Fellini era pittore nel suo cinema, come Janis Kounellis era pittore (come lui amava definirsi) nelle sue opere, anche se la reale produzione pittorica è limitata. Francis Bacon nel secolo scorso, ha rinnovato la pittura e di certo non si è posto la domanda se la pittura potesse essere un medium contemporaneo, lo ha semplicemente dimostrato con la sua opera, anche se fotografia e cinema erano ampiamente diffusi e la pittura era considerata poco contemporanea. Il punto non è quale medium utilizzare, ma come utilizzare il medium che ti è più congeniale, come in un rapporto di coppia lo scopri strada facendo… e se funziona la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti, anche se ci saranno sempre quelli che diranno “non può funzionare”. Siamo nel XXI sec e la pittura risponde all’appello e come altri medium si pone a confronto con la complessità o la banalità della realtà.
C’è nel tuo lavoro una costante lentezza nella realizzazione ed una cura nei dettagli quasi certosina, maniacale in un mondo che invece va veloce, molto veloce ed in questa velocità diventa anche superficiale. Come vivi questo rapporto tra la tua pratica e la contemporaneità?
Sì è vero tutto va veloce, sempre più veloce… Sempre i Futuristi già citati, erano consapevoli che il mondo visto da un’auto in corsa era diverso da quello dalla finestra di casa. Era sempre lo stesso mondo ma visto in due diverse condizioni! La velocità implica una condizione che non mi è congeniale, mentre la lentezza a mio parere è il modo più adeguato per vedere e non solo per limitarsi a guardare! La superficie è la prima cosa che vedo, che analizzo, che scruto, che colgo e sulla quale si posa il mio sguardo. Andy Warhol aveva compreso quanto siamo affascinati dalla confezione e non tanto da quello che contiene! La forma di un’auto è seducente anche se è ferma, solo dopo scopriamo che forse sotto il cofano non c’è nulla. A pochi veramente importa sapere cosa c’è dentro ad un museo contemporaneo, spesso è più appagante l’esterno che fa da sfondo agli infiniti e coatti selfie del mordi e fuggi. Se la superficialità fosse un peccato, allora ci sarebbero file chilometriche davanti ai confessionali… Mi sembra invece che oggi la superficialità sta al nostro tempo come la proporzione stava al Rinascimento! Anche la pittura sta sulla superficie… ma non per questo è superficiale.
Un elemento che si percepisce subito osservando le tue opere è la decorazione, così poco apprezzata dalla critica contemporanea, sempre attenta ad un concettualismo spesso fine a se stesso. Come ti poni rispetto alla decorazione, al concettualismo ed alla critica contemporanea?
È alquanto inevitabile, nella mia pratica, utilizzare uno schema geometrico di partenza, spesso costituito da moduli che poi diventano decorazioni, che vanno a ricoprire superfici anche tridimensionali. Il punto di vista occidentale è figurativo e antropomorfo fin dai tempi dei graffiti rupestri, e ha sviluppato questo modello per millenni. Ormai oggi, con la diffusione di testi e immagini in rete, tutti sanno o quasi, che in altre culture, neanche tanto lontane, non sempre è stato così! Nella cultura araba, la geometrizzazione matematica delle superfici è in realtà la rappresentazione della complessità del divino, che non deve avere forma umana. Nell’Inghilterra della rivoluzione industriale sono arte i tessuti e gli oggetti di William Morris quanto i dipinti di Edward Burne-Jones, ad esempio. Il gusto orientale e decorativo di Venezia non la rende meno affascinante della geometrica e prospettica Firenze. Si tratta semplicemente di capire che una musica è interessante anche se non è affiancata da un testo cantato. L’universo contemporaneo è costituito da una mescolanza di punti di vista, tu stesso nel 2015 hai tenuto una conferenza insieme a Renato Barilli dal titolo “La decorazione come elemento di contaminazione del canone artistico occidentale e come possibilità di dialogo interculturale”. Infine lo stesso Barilli nel lontano 1997, nel suo saggio in Officina Italia già registrava la debole presenza di risorgenze decorative. Personalmente, mi pare evidente quanto ormai la decorazione rappresenti un gene del DNA contemporaneo, forse un gene impazzito… una variante imprevista che la critica ha sicuramente riconosciuto, penso a Yayoi Kusama!
Il rapporto etica/estetica è un rapporto molto stretto, contrariamente a quello che si crede quando si pone l’etica quasi in contrapposizione rispetto all’estetica. In realtà la parola estetica contiene al suo interno la parola etica, quindi ha alla propria radice proprio l’etica. Qual è il rapporto, il legame tra la tua pratica e l’estetica e l’etica?
Etica ed estetica un binomio antico che viene dalla Grecia classica, dove tutto ebbe inizio o quasi. Riemerge poi nel Rinascimento e si impone con il Neoclassicismo teorizzato da Johann Joachim Winckelmann nella romana Villa Albani, oggi Torlonia. Di certo nei nostri tempi contemporanei l’etica è in via di estinzione, l’estetica invece al contrario si è sviluppata in iper-estetica, aggredendo tutto e tutti. È il trionfo della forma senza contenuti! L’uso del selfie coniugato alla fragile certezza del “Io esisto” in quanto sono immagine, quindi superficie aggiungerei! Come coniugare forma e contenuto, estetica ed etica!? Nella mia pratica artistica mi propongo a volte di rimettere in equilibrio la bilancia, ad esempio, nell’opera Ora et Labora realizzo un intervento pittorico su 86 chiavi inglesi, simbolo della materialità occidentale che poi dispongo in modo da evocare le geometrie di un tappeto orientale. Due mondi diversi e oggi di fatto molto vicini, che si pongono in un equilibrio ideale. Oppure in *Meditate azioni sull’acqua” utilizzo quattro piccole statue di Buddha, che opportunamente dipinte, chiudono gli occhi per vedere… quell’acqua così essenziale che in futuro diventerà sempre più preziosa. L’estetica senza l’etica è come un cellulare senza batteria… anche se comunque si deve riciclare e non buttare!
Uno dei termini per poter descrivere la tua pratica è il virtuosismo, che spicca in un mondo piatto, che non fa della qualità e dello studio, della ricerca la propria ragione d’essere. Vivi questa condizione come un limite o una risorsa?
Il virtuoso è forse colui che per opporsi alle scorciatoie del tutto e subito, della fretta di arrivare e di ottenere il risultato più immediato, preferisce porsi delle domande. Leonardo non era mai contento della sua pittura e ritoccava all’infinito le proprie opere, un virtuoso per molti, in realtà un genio in perenne ricerca di miglioramenti con le proprie sperimentazioni, a volte anche totalmente fallimentari. Si nasce virtuosi o lo si diventa potrei domandarti!? Sicuramente esiste una predisposizione nell’individuo che poi trova un terreno fertile sul quale svilupparsi. Come si trova questo terreno!? Bisogna cercarlo, poi coltivarlo evitando che venga calpestato! La virtù è al tempo stesso una risorsa ed un limite; è risorsa quando viene riconosciuta, diventa limite quando è sconosciuta!