Una fotografia in bianco e nero, che nelle scorse settimane è tornata in circolazione, dopo le polemiche scatenate dal pomeriggio in costume, mojito e cubiste di cui si è reso protagonista Matteo Salvini (comunque in vacanza), mostra un pezzetto dell'Italia degli anni '60, quando il Paese e la sua economia crescevano impetuosamente, ma senza che questo facesse perdere di vista regole e stile. La foto in questione ritrae Aldo Moro, impeccabile in un vestito grigio, in piedi accanto all'ombrellone sotto il quale i suoi figli si riparavano dal sole che martellava una spiaggia in agosto.
Cinquant'anni sono una eternità, ma resta - almeno a mio giudizio - l'importanza dello stile per chi rappresenta le Istituzioni. Anzi per chi ''è'' Istituzione (intesa come rappresentanza degli interessi nazionali).
Oggi quel rigore anche formale può apparire, agli occhi dei nostri ragazzi, fuor di luogo o esagerato. Non è esattamente così perché un certo modo di fare giornalismo, quello che s'appiglia anche al più microscopico dei particolari, ha ripreso a cavalcare la polemica per la polemica, un po' come facevano alcuni giornali di destra degli anni ‘60-‘70, quando ogni occasione era buona per buttarla in caciara.
Un esempio che mi pare calzante di questa considerazione mi pare possano essere le considerazioni che sono state fatte sull'abito che, per il suo giuramento da ministro delle Politiche Agricole, indossava Teresa Bellanova. Un abito blu elettrico, tutto balze e rotondità, che il ministro ha indossato quasi con spensieratezza, forse pensando che ciascuno può indossare quel che vuole, nel rispetto dei luoghi, dei regolamenti e persino delle leggi.
E invece no, perché contro Teresa Bellanova - donna di spirito, ma anche di grande rigore, come insegna la sua storia, da semplice bracciante a pilastro del movimento sindacale - si è scatenata un’offensiva che, vedendo da dove proveniva, devo dire che non mi ha sorpreso nemmeno un pochino. Ma d'altra parte il ciclo circadiano della polemica politica impone anche questo, scegliersi quotidianamente un bersaglio per massacrarlo, passando da paragoni offensivi a veri e propri insulti.
Teresa Bellanova non se l'è presa più di tanto (almeno questo ha detto ufficialmente), ma, anche se se la fosse presa, avrebbe guadagnato la nostra solidarietà perché per lei è stato adottato quel modello di giornalismo che ha la memoria corta e che magari, quando ad essere stato punzecchiato era stato un esponente politico della sua parte, era insorto gridando allo scandalo.
Da questo canone giornalistico, però, e lo ammetto con amarezza, non ci si esce perché è semplicemente un modo di fare politica e null'altro. La cosa che più indigna è che per colpire il ministro Bellanova - che aveva appena giurato - si è tirato in ballo il suo aspetto fisico e non invece, per come avrebbe dovuto essere, un provvedimento, una legge, una colpevole omissione. No, l'importante era sfotterla con considerazioni che non solo sono state di cattivo gusto - e mi fermo qui, per non volere dare troppi indizi sull'identità degli autori di queste sparate 'fashion' - ma anche portatrici di disvalori che rasentano la maleducazione, la cattiveria, l'ipocrisia.
Anzi, da parte di coloro che usano a senso unico le parole come fossero pallottole, si rasenta il bullismo politico.
Ne hanno fatto le spese in molti, senza grandi distinzioni di partito o schieramento. Nel passato, anche quando la politica era occasione di scontri che rasentavano l'ordalia, mai si era raggiunta un tale livello di mancanza di rispetto. Nei decenni passati i politici se ne dicevano di tutti i colori, ma, almeno a mia memoria, restando in un alveo di normale dialettica e null'altro. O, quando si voleva attaccare qualcuno per il suo aspetto fisico (Amintore Fanfani docet), lo si faceva senza volere indulgere nella cattiveria. Perfidia forse, ma finiva lì.
Per questo, semmai potessi dare un consiglio a Teresa Bellanova, le direi di non curarsi di chi cerca di offenderla. Soprattutto se alcune di queste considerazioni vengono da chi, in politica, nella vita o nella professione, ha sempre qualcuno da ringraziare.