Un secolo fa, il 18 gennaio 1919, don Luigi Sturzo fondò un partito ispirato alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, in un periodo in cui era estremamente urgente che i cattolici avessero un’organizzazione politica per poter far sentire la loro voce nel Paese, malgrado il “divieto” papale che gravava su di loro, il Non expedit del 1874. Assieme a Giovanni Bertini, Giovanni Longinotti, Achille Grandi, Angelo Mauri, Remo Vigorelli e Giulio Rodinò, era significativo che proprio un prete si delineasse come leader politico nell’Italia del dopoguerra.
L’idea originaria di fondare un partito d’ispirazione cattolica era di Murri, ma la Santa Sede non si era dimostrata d’accordo, data la propria posizione politica rispetto al Regno d’Italia. Mano a mano che il clima cambiava e che le posizioni Stato/Chiesa si avvicinavano, fu chiara la possibilità per Sturzo di dare vita a un partito che legasse le varie anime politiche cattoliche, dai moderati come De Gasperi ai conservatori, ai sindacalisti come Grandi. Da Roma don Sturzo lanciò un “Appello ai liberi e forti” per sottoscrivere il ruolo della Società delle Nazioni, difendere le libertà religiose, il ruolo della famiglia, la libertà d’insegnamento anche per le scuole cattoliche; ribadire la volontà di riforme democratiche che portassero più partecipazione politica, anche con il suffragio universale, cercando di ottenere la tanto agognata riforma agricola con riduzione del latifondo e aumento della piccola proprietà privata rurale.
Don Sturzo voleva che il partito fosse composto da cattolici ma non cattolico, cioè libero e aperto a più classi sociali che, ispirandosi alla dottrina della Chiesa, fossero in grado di lavorare insieme per costruire una società libera giusta e migliore. Sturzo affermava che il cattolicesimo è per definizione universale, mentre il partito è per definizione politica e dunque divisione: per quel motivo non volle che il Popolare fosse un partito cattolico. La religione non doveva essere un vessillo da sfruttare o dietro al quale nascondersi: con il partito ci si doveva mettere in gioco per la vita pubblica e politica italiana, malgrado la difficoltà di mantenere l’equilibrio tra chi aveva una visione gerarchica delle organizzazioni.
Il simbolo scelto fu lo scudo crociato, simbolo della volontà di difendere i valori cristiani, e il motto “Libertas” che sottintendeva anche la richiesta di decentramento amministrativo ai comuni, su esempio medievale, per avere uno Stato più snello e vicino ai cittadini. Il 16 novembre 1919 si tennero le elezioni con la riforma elettorale proporzionale e il Partito Popolare ottenne il 20,5% dei voti e cento deputati. La diffusione l’ebbe in modo particolare al Nord Italia grazie alla capillarità dell’Azione Cattolica; tra le leghe contadine nell’Italia centrale e le società di mutuo soccorso dell’Italia del Sud. Organo fu il Corriere d’Italia nel 1919, sostituito da Il Popolo Nuovo fino al 1924 e poi Il Popolo per un anno, dall’ottobre 1924.