L’unico modo di fondarsi in un mondo vivente è quello di prendervi parte per davvero: coltivare gli strumenti e le pratiche da cui ogni persona può imparare ad essere presente nel vivere. Questo è l’unico modo per imparare maggior rispetto e tolleranza e per ottenere una maggiore partecipazione al mondo intorno a noi. Non può avvenire che così, attraverso una sorta di contagio esemplare.
(Francisco Varela, Un know-how per l’etica)
Viviamo in un’epoca in cui può essere molto facile abbandonarsi alla disillusione. Sta andando sempre peggio, dagli aspetti più personali a quelli collettivi: l’ambiente, la politica nazionale e internazionale, la disuguaglianza economica, la scuola, il lavoro; una tempesta perfetta si sta preparando per abbattersi su di noi. Che possiamo sentirci come esseri inermi, in balìa di eventi più grandi di noi.
La risposta più naturale è chiudersi, con la negazione – non è vero che c’è una crisi ambientale, la politica è sempre stata così, si sta solo esagerando – o con la negatività e il sarcasmo – niente può essere fatto, noi non possiamo far nulla per cambiare, gli uomini sono fatti così, devono solo estinguersi il prima possibile. Entrambe le posizioni, pur se diametralmente opposte, portano a focalizzarsi solo su di sé, sui propri bisogni e, forse, su quelli di pochi altri. E lì finisce il proprio mondo. Nell’illusione che la catastrofe imminente non ci sarà o che, viceversa, accadrà a prescindere da noi, quasi aspettandola pur di dimostrare che si aveva ragione sulla sua inevitabilità.
Entrambe portano all’immobilismo, giustificandolo come l’unica via sensata. E la disillusione è, in qualche modo, anche logicamente plausibile. Come possiamo pensare di cambiare il mondo? Illusione infantile, senso di onnipotenza, eccesso di buonismo, ingenuità caratterizzano chi crede di poter fare qualcosa per cambiare la drammatica situazione in cui ci troviamo. In effetti, non si tratta di logica o di razionalità. Non è l’essere razionali che può condurci a cercare di cambiare lo stato delle cose, anzi.
Del resto, noi ci appelliamo alla razionalità quando dobbiamo prendere delle decisioni sensate, ma ben pochi dei nostri comportamenti sono in realtà razionali. Spesso siamo spinti da motivazioni diverse – per lo più egoistiche - e solo a posteriori troviamo il modo di giustificare il nostro agire dando un senso logico e compiuto a ciò che abbiamo fatto e detto.
E il movimento ‘Strike for the Future’ non è forse un movimento che prende le mosse dall’ostinazione di una ragazzina sedicenne, il cui comportamento è stato seguito da migliaia e migliaia di giovanissimi in tutto il mondo? Non è certamente la logica che li spinge, ma qualcosa d’altro.
A ben vedere, è una forma di irrazionalità.
È una forma di fiducia nella vita, di riconoscimento della sua bellezza, che tocca il nostro cuore e che ci spinge ad agire, come fossimo innamorati. L’amore, pur di fronte a tutte le legittime perplessità, le travalica ciecamente. Non è detto che alla fine supererà le difficoltà enormi che ha dinnanzi a sé, ma è questa la scintilla che guida i cambiamenti: l’amore per la vita. Solo questo può farci dimenticare noi stessi e aprirci agli altri, al mondo, sentendoci parte di un tutto di fronte al quale non possiamo rimanere indifferenti, osservandone la distruzione senza poter fare nulla.
L’amore per la vita può riportarci con i piedi per terra, chiedendo a noi stessi cosa possiamo fare per salvaguardarla; è solo a questo punto che arriva il pensiero, la riflessione, la decisione da prendere su cosa sia più opportuno fare.
Non potrà mai, mai essere viceversa. Non possiamo pretendere che sia la sensatezza, la logica, la razionalità a salvarci. Questa sì che una illusione senza vita, senza futuro. È l’irragionevole amore per la bellezza della vita ad aprire le porte ad un futuro possibile.
Alla base di questo amore c’è tuttavia una scelta da compiere: non è qualcosa che alcuni hanno ed altri no, come fosse un dono (o un castigo) di natura. È un bivio di fronte al quale occorre decidere da che parte stare: da un lato la vita, l’amore, l’apertura a ciò che accade, essendoci completamente, scommettendo sulla propria vita e la propria presenza. È un dire a sé stessi e al mondo: io ci sono, sono qui.
Dall’altro lato la morte, quella lenta, legata a doppio filo con lo scetticismo, la razionalità, la giustificazione, la pigrizia, il cuore spento, lo sguardo distratto. È un dire a sé stessi e al mondo: io non ci sono, sono qui per sbaglio, ciò che accade non mi riguarda.
Francisco Varela parla di “prendere parte per davvero” al mondo vivente. Porre attenzione non solo alle parole, non solo ai pensieri, ma anche e soprattutto alle azioni, coltivandole giorno dopo giorno, per imparare a esserci nella vita; a esserne, appunto, parte. Con consapevolezza, presenza, amore. Ed è questo che può contagiare gli altri: il nostro esempio. Non possiamo essere certi che avverrà, ma è tutto ciò che possiamo fare e che è nelle nostre mani. E nei nostri cuori.
Prendere parte per davvero è una sollecitazione che riguarda ognuno di noi, in ogni attimo della nostra vita, per quanto insignificante possa apparire rispetto ai problemi che assillano il mondo e che sono sicuramente molto più grandi di noi. Forse un giorno, ripensando alla nostra vita, ci accorgeremo di non essere riusciti a cambiare il mondo, ma potremmo accorgerci di avervi preso parte per davvero.