Il parricidio sgomenta solo s’è efferato. Quando l’eredità è il movente. Il sacrificio espiatorio del capro non interrompe il sonno se l’incubo è un sogno. Le palme di mia madre sono sporche e selvagge. L’uomo di fatica non ha tempo per l’olocausto definitivo.
Lui non si sporca le mani di terra e clorofilla ma conta le banconote. Non posso sapere che le palme furono un omaggio, in un tempo in cui adornavano corone funebri all’ultimo grido. Il padre di lei ne aveva piantate a migliaia e noi abbiamo ereditato la giungla. Regnano i topi.
Ora sono in una stanza umida. L’estate è torrida e la mia bocca impastata di whisky arsa. Le pale del ventilatore m’ipnotizzano fino a estorcermi l’inconscio. Violenza e dolore affiorano sulle mie nocche. Colpisco lo specchio e sanguino. Le schegge riflettono le deiezioni delle mosche, pattern delle pareti sudice. Sudo e sanguino ebbro come le menadi. Euterpe annega nel Parnasso in tempesta ch’è il mio ventre, Apollo è morto.
Risalgo il ruscello a capo d’un contingente di demoni altamente addestrati. L’afa ci distrae dall’obbiettivo, il veleno obnubila noi soldati. Cupida ambizione ruota su se stessa come un dervisho in estasi ed è chiaro che sia evaporata in una nube lisergica. Natura sgombra i nostri cuori dalle tenebre mentre ci arrampichiamo utilizzando sterpi e rovi come appiglio. Anemoni e tulipani suonati dallo Scirocco rendono l’aria grottesca e a malapena respirabile.
La madre è solo un edificio pomposo e arrapante in cui giacciono molli e lascive prostitute d’ogni etnia. La psiche d’un uomo qualsiasi s’erge claudicante e rovinosa fra il mobilio barocco d’una sinagoga infestata da spettri lubrichi. Il canto del cigno della rivoluzione declama amore, morte e perversione. L’autostima svanisce all’alba del compromesso e con essa ogni certezza.
L’assassino si svegliò prima dell’alba,
indossò i suoi stivali
prese una nuova maschera dalla galleria antica
e scese lungo il corridoio.
Serpenti cavalcati da Amazzoni in vestaglia strisciano al fianco smangiato del paladino. Non ci sono odio e rabbia alla catena di montaggio. Missili asettici e indifferenti bombe artigianali sgorgano come altrettanti lapilli e lave, pronti a prendere la via del Cielo.
Sparpagliati con risentimento sulla piazza del suk, ardiscono le proprie dita nella tana della vedova nera.
Giungo alla capanna dove il padre regna sovrano sulla mediocrità. L’orrore mi assale sotto forma della voce di Sandro Ciotti. Novantesimo Minuto è solo la prima delle infinite offese e degli stupri.
Il profumo della panificazione e il rosso dei fiori sulla terrazza non riescono a ricacciare indietro la nausea.
Erano i tempi in cui mi erano risparmiate la radio commerciale, la TV in cucina, le moviola.
Sinceramente grato considero che non ho fame, non sono stanco, non sono ancora psicolabile. Penso alla droga con malinconia, poi strappo il tappo alla boccetta dell’arsenico e ne confondo sei gocce alla crema della crostata di mandorle e more.
La madre è avvolta nobile e distratta fra le volute d’una sigaretta, compendio indispensabile e vivo al respiro della campagna.
Padre?
Sì figlio?
Voglio ucciderti
Madre…
Aprii gli occhi. Accesi una sigaretta. Preparai il caffè. Accesi una seconda sigaretta e il pc. Bevvi il caffè e misi su A Hard Day’s Night.
Pensai agli Oyampi del Rio Maroni. Appena svegli guadagnano il centro del villaggio. Gli uomini s’inginocchiano in prossimità delle braci ancora calde. Le donne si posizionano alle loro spalle e pittano le schiene di un sunto simbolico dei sogni vissuti durante la notte appena trascorsa, in simultanea al racconto che ne fanno i maschi. Pesca abbondante, sensazionale raccolto di vegetazione spontanea, caccia suntuosa? L’attività del giorno sarà dettata dall’ invisibile tutore onirico.
Quella notte commisi parricidio. Giustiziai mio padre in seguito a equo processo. Era stato accusato di pavida accidia e fu riscontrato colpevole senza possibilità d’appello, l’attenuante della paternità non servì comunque ad alleviarne il castigo.
Mentre valutavo la prospettiva Oyampi considerai che si può uccidere il padre una sola volta e che non vale la pena concedersi piaceri non ripetibili e quindi scevri del potenziale della dipendenza.
La madre dissimulava gratitudine.