Il tema della salubrità dell’aria nelle aree urbane a forte concentrazione di emissioni è certamente cruciale nella sfida che la nostra civiltà si trova ad affrontare in direzione di un rapporto più equilibrato con l’ambiente nel quale la specie umana ha immesso in poche centinaia di anni una serie di input il cui impatto si sta manifestando negativo per gli equilibri planetari. La tendenza all’aumento della temperatura sulla Terra in atto ormai da quasi 150 anni, se da un lato può trovare spiegazioni nel quadro dell’entropia del sistema terrestre, sconta tuttavia in modo sempre più evidente e percepibile, il peso dell’intervento umano e il debito che stiamo contraendo con l’habitat che ci consente di vivere e crescere e che ha sostenuto sino ad ora lo sviluppo dell’umanità.
Ed è un tema nel quale confluiscono molteplici elementi che derivano dalle conoscenze sempre più approfondite che la scienza consente sugli equilibri, le criticità, i rischi che stiamo correndo. In questo amplissimo caleidoscopio certamente un posto importante riguarda le scelte e i comportamenti che si adottano laddove lo squilibrio tra la nostra cosiddetta civiltà e l’ambiente è più forte ed evidente, oltreché in costante deterioramento: le grandi realtà urbane. In Italia, non esistono le megalopoli che caratterizzano molti paesi del globo ma le più grandi realtà del Paese a causa della forte concentrazione di mezzi di trasporto e di tecnologie ancora non ottimali in tema di riscaldamenti urbani, subiscono e hanno subito forti danni alla qualità della vita e alla salute. Di qui una serie interminabile e pluridecennale di interventi e di scelte solo in parte fondati su dati e conoscenze certe e inoppugnabili. Più spesso si è assistito a decisioni dettate da questioni occasionali e alla ripetizione delle stesse nel tempo, senza una oggettiva valutazione dell’impatto e dei risultati. In parallelo è cresciuta tuttavia anche la consapevolezza dei cittadini in relazione a quanto necessario per aiutare l’ambiente a tornare salubre e a mantenerlo tale.
Uno sguardo alla situazione oggi in 14 realtà metropolitane nazionali, può aiutare a comprendere il lavoro fatto e soprattutto quello che resta da fare. È di quest’anno lo studio che il gruppo di lavoro “Mobilità sostenibile” del Kyoto Club e gli esperti di CNR-IIa (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto sull’Inquinamento atmosferico) ha prodotto intitolato Mobilitaria, giunto alla sua seconda edizione e che si è avvalso anche del contributo originale di OPMUS, l’osservatorio sulle politiche di Mobilità Urbana Sostenibile di ISFoRt, l’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti. Un’analisi che ha permesso di delineare un quadro complessivo dell’andamento della qualità dell’aria nelle principali 14 città intrecciandolo con le politiche sulla mobilità urbana.
Una sfida difficile ma fondamentale - osserva il rapporto conclusivo - per capire quali le scelte efficaci, da quelle delle amministrazioni comunali che si intrecciano con le competenze regionali, alle cabine di regia nazionali, per affrontare uno dei più gravi problemi ambientali del nostro tempo. Infatti il trasporto di merci e persone, affidato come è alla combustione dei fossili, da una parte contribuisce in maniera importante ai cambiamenti climatici, e dall’altra è fattore determinante nell’inquinamento atmosferico a livello locale, specialmente appunto nei grandi agglomerati urbani. E in entrambi i casi - la considerazione - siamo in ritardo con le risposte.
Gli scienziati internazionali dell’IpCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno scritto chiaramente che la soglia di 1,5 gradi centigradi di aumento della temperatura media terrestre non deve essere superata perché le conseguenze sui mutamenti climatici potrebbero essere irreversibili. Ma i Governi hanno condotte differenziate e gli impegni degli accordi di Parigi (peraltro insufficienti) non sembrano ancora centrare gli obiettivi. Intanto le emissioni inquinanti non diminuiscono come sarebbe necessario. Per questo il rapporto Mobilitaria sottolinea ancora che l’innovazione tecnologica ci aiuterebbe a marciare rapidamente verso la decarbonizzazione anche nei trasporti, sostenendo anche qui quella transizione/rivoluzione che è cominciata nella produzione di energia con lo shift da fossili a rinnovabili protagonista della green economy. Il piano Nazionale Energia e Clima, la cui bozza è stata di recente presentato dal Governo, non contiene obiettivi sufficientemente stringenti sui trasporti, la conclusione non certo ottimista.
Sull’inquinamento a livello locale il ritardo è forse ancora più grave visto che è causa di morti premature: in Europa 3,9 milioni di persone abitano in aree dove vengono superati i limiti dei principali inquinanti dell’aria e circa il 95%, vive nel Nord Italia secondo l’Agenzia UE per l’Ambiente. Il nostro Paese è al secondo posto in Europa per morti per PM2,5 (60.600) e al primo per le morti da biossido di azoto (20.500). Quanto di questo inquinamento è dovuto al trasporto e quanto al riscaldamento delle nostre case o alle attività industriali è oggetto di ricerca, ma non sul contributo negativo del traffico e delle altre fonti.
Il rapporto delinea un quadro complessivo sull’andamento della qualità dell’aria e delle politiche di mobilità urbana nelle principali 14 città e aree metropolitane italiane nel periodo 2017-2018: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino, Venezia. Nella prima edizione 2018, lo studio aveva preso in considerazione in modo analogo, l’inquinamento dell’aria e le politiche di mobilità delle 14 grandi città italiane, nel decennio 2006-2016. Le motivazioni che sono alla base del rapporto Mobilitaria nascono dalla constatazione che in Italia non esiste un luogo istituzionale dove siano conservati in modo integrato i dati sulla mobilità urbana, da mettere in correlazione con gli effetti ottenuti sulla qualità dell’aria, l’andamento della mobilità e la ripartizione modale, i comportamenti dei cittadini, le emissioni di gas serra, gli investimenti, le innovazioni e sperimentazioni in atto.
Kyoto Club e CNR-IIa ribadiscono pertanto che resta indispensabile un osservatorio, uno spazio reale dove sia possibile confrontare e ragionare in modo collegiale sui risultati ottenuti, scambiando esperienze, insuccessi e buone pratiche delle città, con lo sguardo rivolto al futuro.
Dalle analisi condotte nel periodo in esame si è riscontrato un miglioramento generalizzato della qualità dell’aria, che tuttavia non è sufficiente a garantire per tutte le città il rispetto dei limiti normativi. Nello specifico, per il biossido di azoto (NO2) si verifica una riduzione delle concentrazioni medie. In particolare, le maggiori percentuali di decremento sono state registrate nelle città di Messina (-23%), Cagliari (-21%), Roma (-12%), Torino (-12%) e Bologna (-11%). In controtendenza Catania e Reggio Calabria che indicano un incremento dei valori. Nel 2018 le città di Milano, Roma e Torino hanno registrato valori di NO2 superiori ai limiti normativi; rispettivamente 45 µg/m3 per Milano e 43 µg/m3 per Roma e Torino.
In merito al valore del limite orario dell’NO2 nel 2018 non si osservano particolari criticità, infatti nessuna città presenta superamenti oltre il limite. Le concentrazioni medie del PM10 in tutte le città analizzate risultano al di sotto dei limiti. Diversamente, per il limite giornaliero del PM10 in alcune città la situazione rimane critica: in particolare, Torino, Milano, Venezia, Cagliari e Napoli superano il limite consentito, e fra queste la città con il maggior numero di superamenti è Torino (89 giorni). In merito alle concentrazioni del PM2,5 nessuna città registra valori maggiori al limite normativo, tuttavia le città di Torino, Milano e Venezia presentano concentrazione prossime ai 25 µg/m3.
Nonostante si sia riscontrato un miglioramento della qualità dell’aria in alcune città - aggiungono gli estensori del rapporto - questo non è sufficiente per ridurre le concentrazioni e i superamenti al di sotto dei limiti previsti dalla normativa. Per questo motivo l’Italia è stata deferita dalla Commissione Europa alla Corte di Giustizia il 17 maggio 2018 per il mancato rispetto dei valori limite stabiliti per la qualità dell’aria e in particolare per non aver messo in atto misure giudicate appropriate per la riduzione dei superamenti dei limiti di legge delle polveri fini (PM10), infatti il piano di normalizzazione presentato non è stato valutato positivamente dalla Commissione.
La Commissione Europea ha motivato tale decisione ritenendo le concentrazioni di PM10 nell’aria, superiori ai limiti da più di 10 anni, una violazione sistematica e continuata della direttiva europea in materia di qualità dell’aria. Inoltre, la Commissione sostiene che i piani per la qualità dell’aria, adottati in seguito al superamento dei valori limite di concentrazione di PM10, non permettano né di conseguire detti valori limite, né di limitare il loro superamento al periodo il più breve possibile. Sempre in riferimento ai piani, ritiene che molti di questi siano privi di informazioni richieste nella normativa europea in materia.
Dall’analisi condotta dei diversi piani Regionali della qualità dell’aria, emerge una situazione eterogenea nelle modalità adottate per la redazione degli stessi e per il controllo degli effetti generati. Per tale motivo è necessario fissare delle Linee Guida omogenee per la redazione ed aggiornamento dei piani; questi dovranno contenere obiettivi stringenti per la riduzione dei gas serra (- 33% al 2030), target di mobilita sostenibile (a piedi, in bicicletta, trasporto collettivo, sharing mobility) crescente, target per l’elettrificazione dei veicoli, riduzione delle emissioni per la qualità dell’aria. Servono a nostro parere quindi obblighi stringenti per le Regioni, anche se differenziati sulla base dello stato di fatto e progressivi rispetto al 2030.
In aggiunta agli obiettivi di riduzione dell’inquinamento della qualità dell’aria nelle città, l’Italia deve inoltre intervenire con misure strutturali per decarbonizzare il comparto del trasporto, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. In particolare l’Italia, in base a quanto previsto dall’Effort Sharing Regulation, ha un obiettivo vincolante di riduzione al 2030 del 33% rispetto ai valori del 2005 per tutti i settori dell’economia non inclusi nel sistema EtS1. Assumendo una ripartizione equa del target del 33% tra tutti i settori afferenti, il trasporto su strada dovrà tagliare le sue emissioni di 23,8 milioni di tonnellate nella prossima decade e 76,8 milioni nel ventennio immediatamente successivo.
È quindi evidente che a livello nazionale devono essere attuate politiche urgenti e decise per ridurre la domanda di trasporto, attuare lo shift verso modalità più pulite e aumentare l’efficienza del sistema. Esse possono essere di natura fiscale (come, ad esempio, quelle relative alle tasse sui carburanti, o congestion charge nelle aree urbane) o di natura non fiscale (riduzione del numero dei parcheggi, zone pedonali, introduzione limiti di velocità locali) e lo stop alla vendita di auto a combustione interna, con quote annuali crescenti. In tal senso si rende necessaria l’introduzione di un target di emissioni zero per tutti i veicoli venduti al più tardi dal 2030.
La mobilità urbana nel biennio ha visto consolidare tendenze ed azioni ma senza balzi in avanti, come sarebbe necessario, rispetto alla situazione di congestione, incidentalità, emissioni di gas serra e inquinamento. Stabili le Zone a Traffico Limitato. Da ottobre 2018 a marzo 2019 è stato attuato il primo provvedimento di blocco del traffico nel bacino padano per i veicoli vetusti e inquinanti, ma gli scarsi controlli ne inficiano il risultato. L’uso del trasporto pubblico cresce lievemente, in qualche città anche in modo significativo (Bologna, Cagliari, Torino, Firenze) ma dove c’è la crisi finanziaria dell’azienda di trasporto cala ancora, come avviene a Napoli, Roma e Catania. Stabili anche aree pedonali e piste ciclabili. La Sharing Mobility cresce a Milano, Torino, Firenze, Roma, Palermo e Cagliari, mentre sbarca a Bologna per la prima volta. Per il resto vi sono difficoltà e in qualche caso viene sospeso il servizio, come per il car sharing a Bari. La mobilità elettrica ha numeri purtroppo insignificanti anche se procedono accordi tra le città e gli operatori per l’istallazione di colonnine. Va registrato come dato negativo, la crescita nelle città e aree metropolitane dell’indice di motorizzazione di auto e moto, che nei dieci anni precedenti era diminuito in modo significativo. Torino la peggiore con un +5,4%.
Entro ottobre 2019 le principali città dovranno approvare il piano Urbano per la Mobilità Sostenibile, secondo le Linee Guida del Decreto MIt del 4 agosto 2017. I PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) di derivazione europea, sono un obbligo per tutte le città italiane, singole o aggregate, superiori a 100.000 abitanti. Ad oggi lo hanno approvato il Comune di Milano, mentre Torino ha un vecchio piano del 2011, Bologna e Genova ne hanno adottato uno a scala metropolitana ed è in corso il processo di partecipazione, Bari, Reggio Calabria e Roma lo hanno adottato a livello comunale. Cagliari lo sta redigendo mentre Napoli e Messina hanno adottato solo delle Linee Guida di indirizzo. Le Città Metropolitane di Venezia, Firenze, Cagliari e Milano stanno svolgendo le attività propedeutiche per la redazione su scala metropolitana.
Si tratta, come sottolinea il rapporto, di una grande opportunità per le città ed aree metropolitane di pianificare e agire su scala vasta per la mobilità sostenibile del futuro. La mobilità urbana ha sempre avuto poco spazio nell’agenda politica italiana, dominata degli investimenti per grandi opere strategiche, con scarsa attenzione alle opere utili, ai servizi di trasporto e alla manutenzione delle reti. Ma negli ultimi anni la strategia per la mobilità urbana ha ricevuto nuovo impulso da Governo e Parlamento, che hanno destinato finanziamenti per i veicoli, per il completamento delle reti metropolitane di Milano, Napoli, Roma, Catania, Genova e Torino e per l’estensione di alcune tramvie.
E ... intanto, arriva un dato positivo sull’aria nel nostro paese che negli ultimi 40 anni è risultata più pulita e l’atmosfera è diventata più limpida. Sono le conclusioni a cui sono giunti un gruppo di ricercatori del Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell'Università degli Studi di Milano e dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Isac), pubblicate di recente su Atmospheric Environment.
I ricercatori hanno utilizzato i dati di una variabile meteorologica che non era mai stata studiata in modo esaustivo in Italia, cioè la visibilità orizzontale in atmosfera, molto condizionata dal livello di inquinamento atmosferico. La visibilità orizzontale è importante in diversi ambiti tra cui quello del traffico aereo, tanto da venire monitorata continuamente da molti decenni in tutte le stazioni del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, dove un operatore addestrato valuta, mediante una serie di riferimenti, quale è la massima distanza alla quale un oggetto risulta visibile.
Nella ricerca viene discussa l'evoluzione della frequenza delle giornate con “atmosfera limpida” (ovvero con visibilità superiore a 10 e a 20 km) in varie aree del territorio italiano nel periodo 1951-2017. Questa frequenza è cambiata fortemente in tutte le aree considerate e i cambiamenti più grandi si sono avuti nelle aree più inquinate del Paese tanto che, in zone come il bacino padano, la frequenza dei giorni con visibilità sopra i 10 o i 20 km è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni.
In Italia, così come negli altri Paesi più sviluppati, sottolinea lo studio, le emissioni di sostanze inquinanti sono fortemente cambiate negli ultimi decenni e, a una rapida crescita delle emissioni negli anni ’60 e ’70, dovuta al tumultuoso sviluppo economico di questo periodo, ha infatti fatto seguito un’altrettanta rapida decrescita dovuta ad una serie di norme emanate per ridurre l'inquinamento atmosferico nelle nostre città.
“Le analisi effettuate hanno quindi messo in evidenza in modo molto efficace il grande successo che si è avuto in Italia sul fronte della lotta all'inquinamento atmosferico - il commento di Maurizio Maugeri, docente di Fisica dell’atmosfera all'Università di Milano, che ha aggiunto - tuttavia, non dobbiamo dimenticare che si può e si deve fare ancora di più per completare il percorso di risanamento che i dati di visibilità in atmosfera documentano in modo così efficace”.
Un altro aspetto di grande rilevanza delle analisi è che esse mettono in evidenza in modo molto efficace il legame tra i livelli del particolato atmosferico e la trasparenza dell'atmosfera. “Le emissioni degli inquinanti che concorrono al particolato atmosferico, oltre a danneggiare la nostra salute, vanno infatti ad interagire con la radiazione solare riflettendola verso lo spazio causando un raffreddamento della superficie terrestre provocando, quindi, un effetto opposto a quello dei gas che alterano il clima, come l’anidride carbonica”, l’indicazione di Veronica Manara del Cnr-Isac.
L’aumento del contenuto di aerosol in atmosfera registrato fino agli inizi degli anni ’80 ha quindi parzialmente nascosto l’aumento di temperatura causato delle sempre più alte concentrazioni di anidride carbonica. Negli ultimi decenni, invece, grazie alle politiche di contenimento delle emissioni, la progressiva riduzione degli aerosol ha determinato un aumento della radiazione solare che giunge a terra “smascherando” il vero effetto dei gas serra. Infatti, mentre tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’70 la temperatura nel nostro Paese è rimasta pressoché costante, lo studio conclude che dagli anni ’80 ad oggi è cresciuta di quasi mezzo grado ogni decennio.