Tra composizione e improvvisazione, groove e jazz-rock d'assalto il nuovo disco di Marraffa, Papajanni e Di Giacinto. Lo pubblica la berlinese Aut Records, ospiti Fabrizio Puglisi, Stefano De Bonis e Valeria Sturba.
Casino di Terra è solo una delle numerose manifestazioni di Edoardo Marraffa. Quali sono le peculiarità di questo progetto rispetto alle tue altre collaborazioni?
Casino di Terra si contraddistingue per l'esplorazione di sonorità più affini all'ambito rock e per la presenza più preponderante di un groove definito, pur mantenendo una continuità organica con l'approccio che ho cercato di sviluppare negli anni, dedicandomi alla sperimentazione di pratiche compositive orientate all'improvvisazione. La contaminazione con espressioni musicali con una componente ritmica più legata al groove, e quindi apparentemente “lontane” dalla musica improvvisata tout court, d'altra parte, ha caratterizzato il lavoro di molte tra le figure più importanti che hanno definito quest'ambito musicale – su tutti Ornette Coleman. Il sound che contraddistingue la band è quindi un terreno di ulteriore sperimentazione, in cui cerco di dare alla mia ricerca uno sbocco coerente.
Cosa potrebbe accadere arriva a quattro anni dal debutto Ori. Che differenze ci sono rispetto al precedente album?
I quattro anni che separano i due album sono stati anni creativamente molto fertili. Ho scritto molte nuove composizioni, spesso concepite per contesti e organici strumentali differenti. Fantasmi di Nadia, Golden Square, Red Carpet e La gran follia, ad esempio, sono state spesso eseguite in solo, e sono incluse nel mio recente album Diciotto.
Quanta influenza ha avuto il tassello solista di Diciotto nella lavorazione di Cosa potrebbe accadere?
Diciotto è stato il mio secondo album in solo, registrato a 18 anni esatti dal primo. A partire dai primi anni '90 mi sono concentrato sull'esplorazione delle potenzialità espressive del sassofono (in particolare il tenore), lavorando parallelamente allo sviluppo di pratiche compositive e d'improvvisazione capaci di tradurre in una poetica coerente il “vocabolario” espressivo sviluppato nel corso di questa esplorazione. La realizzazione di un disco in solo rappresenta, quindi, sia un momento di bilancio, in cui il frutto di questo lavoro pluriennale trova un punto d'arrivo e di compiuta maturazione, sia anche un momento di rilancio, in cui l'immenso bagaglio accumulato apre immediatamente a nuove possibilità.
Casino Di Terra si muove tra formazione in trio e ipotesi di quartetto. Qual è la sua forma più rappresentativa?
La band nasce come trio, è stato questo il “formato” da cui siamo partiti nel concepire il nuovo album. La collaborazione con una musicista straordinariamente versatile e orientata alla sperimentazione come la violinista e thereminista Valeria Sturba, ha rappresentato l'occasione per ampliare l'organico ad un nuovo elemento, nell'idea di conferire al sound della band una più ampia varietà timbrica e di aggiungere nuovi livelli di interplay tra i musicisti.
Qual è stato il contributo all’opera di due special guest come Puglisi e De Bonis?
Stefano De Bonis ha suonato con Casino di Terra, trasformato per l'occasione in quartetto, in alcuni concerti da vivo negli anni successivi all'uscita del primo album. La sua voce aveva quindi già trovato una propria dimensione nella poetica complessiva del gruppo, e la registrazione di un nuovo album ha rappresentato l'occasione per mettere “nero su bianco” l'importante contributo di questo pianista straordinario quanto, purtroppo, poco noto al pubblico.
Fabrizio Puglisi, dal canto suo, oltre che pianista di primissimo ordine e musicista a 360°, è da sempre un audacissimo sperimentatore. Da questa attitudine sperimentale deriva, tra tante altre cose, la sua familiarità con le sonorità di un sintetizzatore ostico ma straordinariamente ricco di possibilità come l'Arp Odissey. È sembrato quindi naturale provare a far interagire la sua intima conoscenza dello strumento con le sonorità sature ed “elettriche” che caratterizzano la musica di Casino di Terra.
Dal 1993 lavori sul suono del sax tenore e sulla sua personalità. Quali sono le mete da raggiungere dopo venticinque anni di attività?
Ho esplorato a lungo le possibilità di questo strumento, spesso illudendomi di aver inventato qualcosa di veramente nuovo, per poi accorgermi che non era vero. Ma ho l'intenzione di insistere per sempre. Mi diverto così.
Hai lavorato con giganti come William Parker, Hamid Drake, Han Bennink e Wadada Leo Smith, quanto è stato importante il confronto con queste personalità?
William Parker è stato di grande stimolo perché è un musicista che sa rischiare e ama letteralmente “gettare” le sue composizioni nel marasma dell'improvvisazione, lasciando agli altri musicisti (e a se stesso) la libertà di smontare e rimontare i suoi mattoni sonori.
Il maestro assoluto della capacità di combinare creativamente composizione e improvvisazione, con cui ho collaborato a lungo, e con cui spero di continuare a lavorare, è per me Tristan Honsinger.
La parola più ricorrente nella tua storia è improvvisazione. In ambito teatrale e attoriale si dice talvolta che l'improvvisazione è un lusso che raramente ci si può concedere, per te invece è pratica sistematica e filosofia artistica.
Il problema è che l'improvvisazione, in musica, viene spesso vista come contrapposta o addirittura antitetica alla composizione. Si tratta di una dicotomia fuorviante, legata al concetto molto recente (e tutto occidentale) di composizione come realizzazione di un prodotto “definitivo” che può al massimo essere “interpretato” da un esecutore diverso dall'autore della composizione stessa. Se però si guarda alle pratiche che caratterizzano le tradizioni musicali popolari in buona parte del mondo, ci si rende conto immediatamente di come, accanto alla trasmissione orale, l'improvvisazione sia un altro elemento che ritorna costantemente.
Intendere l'improvvisazione come pratica sistematica può quindi voler dire senz'altro spingersi sul terreno dell'improvvisazione totale – elemento da sempre presente nel mio percorso di musicista – ma significa anche esplorare la dialettica tra composizione e improvvisazione – una dialettica in cui la composizione “apre” all'improvvisazione e l'improvvisazione si presenta come una forma di “composizione istantanea”.
Esistono differenze tra una buona e una cattiva improvvisazione?
Proprio in base alla risposta precedente, i “criteri”, se così vogliamo chiamarli, che distinguono una buona improvvisazione da una cattiva non sono molto diversi da quelli che distinguono una buona da una cattiva composizione; o, più in generale, la buona musica dalla cattiva musica. Certo, la musica improvvisata, soprattutto quella caratterizzata dall'improvvisazione totale e radicale, è molto meno frequentata dal pubblico in generale, e manca quindi quel livello di “familiarità” con la forma espressiva che in altri ambiti può contribuire a plasmare un giudizio definito. Ma la base rimane la stessa.
Cosa potrebbe accadere è un album totalmente improvvisato o parti da canovacci prestabiliti?
I brani sono tutti delle composizioni. Non ci sono in questo album – e nella produzione di Casino di Terra in generale – dei brani totalmente improvvisati.
I prossimi passi nella tua attività seguiranno Cosa potrebbe accadere o ti stai dirigendo altrove?
Spero di continuare a lungo con Casino di Terra e quindi con quel tipo di approccio. D'altra parte è ovvio per me continuare a sperimentare soluzioni sempre nuove, cercare musicisti e artisti diversi. Ultimamente si sta affacciando timidamente l'idea di un grande ensemble. Vedremo...