Le nuove tecnologie che hanno reso più facile fare Cinema, e probabilmente anche eludere la censura, hanno esteso la possibilità per la Mostra di Venezia di “pescare in tutti i continenti” (parole di Paolo Baratta, presidente della Biennale).
Ed ecco, quindi, proiettato un film, Qiqiu (Balloon) del regista tibetano, Pema Tseden, ambientato in Tibet.
Lo incontro per un’intervista, che ovviamente ha il limite di essere fatta attraverso un interprete perché Pema non si sente a suo agio a parlare inglese.
Come è nata questa opera?
Sette anni fa ero a Pechino dove vivo e ho alzato lo sguardo al cielo. Era azzurro intenso, con le nuvole bianche. Mi ha ricordato il Tibet dove sono nato e cresciuto, in una zona molto vicina al confine con la Cina. Ci ho scritto una novella, da cui piano piano è nato questo film che - nota mia - ha proprio il cielo come prima inquadratura.
Le sequenze iniziali sembrano riprese con un filtro che rende le immagini lattiginose e quasi irreali. Un filtro sui generis, visto che è un preservativo gonfiato a mo’ di palloncino, attraverso cui i bambini guardano il panorama.
La sua novella è molto poetica, ma affronta anche grandi problemi sociali.
Sicuramente. Infatti, la popolazione lì è buddista, e questa professione religiosa spesso si scontra con la vita pratica. Però la spiritualità è molto sentita. Infatti la protagonista ha come ostacolo ad interrompere una gravidanza non voluta (grazie al furto dei preservativi da parte dei bambini!) il fatto che il marito creda nella reincarnazione per cui non vuole far torto al nonno morto da poco al cui rito funebre il monaco profetizza si sia incarnato nel figlio ancora da nascere.
Il film verrà distribuito in Italia?
Sì, è colui che ci sta facendo la traduzione che lo distribuisce.
Mi complimento con il distributore perché tante volte un bel film come questo viene visto solo dalle persone che frequentano il festival e non da un grande pubblico potenzialmente interessato.
C’è una scena del film, molto bella, ma di cui non ho capito il senso. Vi appare la donna ora incinta da giovane. Mi spiega?
Sì, quell’effetto di luce è ottenuto fotografando la donna allo specchio. Ho rappresentato così il ricordo della serenità che la donna viveva in gioventù, nel momento in cui si addensano le preoccupazioni per questa gravidanza non voluta.
E la sorella suora?
Anche lei ha avuto il suo dramma, per cui si è fatta suora.
Il contrasto fra la vita della suora e quella della mamma di tre figli (con il dubbio che il maggiore sia… della suora) è un elemento di fascino del film. La sorella più giovane ha una serenità che si incrina all’incontro con il passato, la donna dei campi, moglie di un pastore, è rude ma molto sicura di cosa vada fatto.
Il modo di pensare più nuovo però fa fatica a penetrare in quei luoghi remoti, dove invece i rapporti sono molto affettivi. Il regista trasmette agli spettatori una sensazione di benessere, al di là di tutte le difficoltà che i personaggi incontrano. E i bambini sono i primi a star bene in quel mondo, tutti presi a scambiare, col figlio di un vicino, il gioco, che gioco non è, con un fischietto lucidissimo dal suono penetrante.