In questo periodo di vacanze quanti desiderano avvicinarsi alle montagne, alle colline appenniniche così ampie e poco conosciute, significa che ne apprezzano la naturalità, che ha in sé quel fascino ormai perduto dei luoghi urbanizzati, periferici e industriali raramente vivificati da alberi. Mi risulta penoso dover accettare una realtà così cruda in merito alle cosiddette nostre aree protette che comprendono parchi nazionali e regionali: sono 580 i milioni di euro buttati in sanzioni in Italia per non aver adempiuto alle Direttive ambientali a partire dal 2011.
È bene che di questo si parli poiché troppe persone non sono al corrente di quante poche regole si rispettino, proprio a difesa di un patrimonio fondamentale per la sopravvivenza delle popolazioni, la rinascita del turismo nelle zone interne, o più spesso in montagna, depressa oltre che dall’abbandono da eventi sismici o problemi idrogeologici. In aiuto ci vengono ormai diverse pubblicazioni interessanti, anche di stampo divulgativo, sul tema alberi, boschi e il loro effetto benefico sulla nostra salute non solo fisica ma psichica.
Anni fa era solo l’alpinista e scrittore Mauro Corona, oggi diventato fenomeno mediatico in cima alle classifiche librarie, che da eremita del bosco ce ne ricordava il valore. A vent’anni dal suo esordio, (Le voci del bosco, Pordenone, Biblioteca dell'Immagine, 1998) oggi di questi testi se ne annoverano molti e soprattutto per chi non è proprio un conoscitore della materia forestale, ma solo un curioso o un appassionato di escursioni nei boschi. Sta diventando quasi una moda potremo dire, visto che anche le grandi case editrici, in termini di numeri intendo, se ne sono prese a cuore con tante uscite in così pochi anni. Però sarebbe bene non fermarsi a un atteggiamento estetizzante e sentimentale nei confronti della natura poiché il rischio è di vedersi sottrarre interi ambiti che dovrebbero essere preservati per finalità dubbie, di cui oggi studiosi della materia possono darci una mano per capire le dinamiche.
Qualche dato. In base alla direttiva Habitat (92/43/CEE), riportava un recente articolo uscito sulla stampa italiana, recepita in Italia solo nel 1997 con cinque anni di ritardo, le aree da tutelare una volta indicate dai paesi membri e adottate dall’Unione Europea come Siti di Interesse Comunitario (SIC), devono diventare entro 6 anni al massimo, Zone di Conservazione Speciale (ZcS). La prima lettera di richiamo arrivò dall’Unione Europea quando nel 2015 su 1880 Siti di Interesse Comunitari italiani, a cui era già scaduto il termine, solo 367 erano stati trasformati. Ricordiamo che l’Italia si era dotata nel 1991 di una Legge quadro per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette (oltre 1000 tra parchi e riserve regionali), proprio per il “superamento della concezione antropocentrica del diritto; per una volta non è l’uomo l’oggetto finale del diritto, ma la natura; ciò che è di tutti e dunque di nessuno, è definitivamente sottratto allo sfruttamento e all’egoismo individualista della produzione economica” chiosano Di Plinio & Fimiani nel 1997. Riporto questa citazione da un libro illuminante di Bruno Petriccione, ecologo, giurista e oggi tenente colonnello presso il reparto dei Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro dell’Aquila, dal titolo La protezione dei valori ecologici in Italia.
La seconda ripresa inviata dall’Unione Europea all’Italia è una richiesta di far chiarezza sulle motivazioni di questo annoso ritardo nella messa a norma di tante aree protette. E così si cade nel solito rimpallo, lo stato adduce la responsabilità alle Regioni che sono quelle responsabili di produrre i famosi Piani di conservazione delle aree. Cioè semplicemente predisporre attraverso dei piani, dove i singoli Parchi ripartiscono il territorio di competenza in Aree con destinazioni e gradi di tutela diversa, già previsti dalla legge italiana. Zone A di riserva integrale, zone B di riserva integrale orientata, Zone C di protezione, zone D di promozione economica e sociale.
Petriccioni chiarisce questo punto critico nella sua pubblicazione del 2018, edita dall’Università di Camerino: “Poco più della metà della superficie della Rete Natura 2000 istituita dalla Direttiva Habitat di cui sopra, una superficie di circa 7 milioni di ettari, il 20% circa del territorio italiano, è compresa in aree già protette a livello nazionale o regionale, ma il regime di protezione offerto dalle Direttive Europee è spesso più rigido e inderogabile di quello garantito dagli strumenti previsti dalla legge n.394/1991.” Oltre al danno la beffa, purtroppo bisogna citare il brutto detto, perché oltre a perdere aree di importanza fondamentale per il mantenimento della biodiversità – i biotopi degni di tutela e meritevoli di conservazione furono censiti e pubblicati dalla Società Botanica Italiana tra il 1971 e 1979 con un poderoso lavoro – l’Italia perde milioni di fondi strutturali, indennizzi per le attività agricole, per ritirare su le sorti di aree che vivrebbero delle famose piccole produzioni locali … quanta agricoltura sana inghiottita dall’attesa dei famosi bandi regionali che non arrivano o arrivano tardi per pochi eletti!
In compenso abbiamo però il record di infrazioni sull’ambiente. Il ministero alla lettera della commissione europea risponde che le designazioni al marzo 2019 erano di 2100 Zone di Conservazione Speciale assegnate e 210 ancora da assegnare. Potremmo tirare un sospiro di sollievo, ma purtroppo ora arriva un altro collo di bottiglia quando poi sta alle Regioni fare i Piani e ci si va a scontrare con i famosi interessi locali. E la macchina si blocca. In merito a questo devo citare un intervento tempestivo, appropriato ed esauriente, solo l’ultimo in ordine di tempo, di un emerito docente universitario, scienziato, che si è battuto un’intera vita in modo instancabile per la Natura Italiana, il grande protezionista, Franco Pedrotti. Il testo sul tema Aree protette e sostenibilità di cui riporto un brevissimo estratto lo ha appena scritto a Camerino il 21 giugno scorso.
Il 12 giugno 2019 la Federparchi ha siglato con la Federlegni un impegno di collaborazione per diffondere la sostenibilità e valorizzare i modelli di sviluppo eco-compatibili nelle aree protette. L'argomento della sostenibilità e della valorizzazione di modelli di sviluppo eco-compatibili è sicuramente importante, ma non può essere applicato nelle aree protette. Nelle aree protette vanno applicati modelli di tutela della biodiversità, della conservazione in integro degli ecosistemi e del mantenimento delle funzioni degli ecosistemi in perpetuo. Per l'ecosostenibilità e per i modelli di sviluppo ecosostenibili il nostro paese dispone di altri territori, non destinati in prima istanza alle aree protette.
Il tema è tra i più complessi come potete osservare da questo breve e non esauriente report che ho tentato di produrre per portare soprattutto a conoscenza almeno di quanta attenzione dobbiamo porre a tali argomenti. Questi sono temi che non possono ormai più solo riguardare un cenacolo di studiosi, protezionisti, membri della autorevole Società Botanica Italiana, o gli appassionati per propensione personale. La questione dei parchi, della natura italiana e della sua conservazione ci riguarda tutti come individui in quanto quelle estensioni sterminate sono sotto la nostra giurisdizione e ne siamo noi i responsabili anche quando ne siamo “spensieratamente” inconsapevoli.
Salviamo i Parchi e le montagne!