Con una laurea in Ingegneria fisica, un PhD in Fisica e anni di ricerca scientifica tra Spagna, Francia e Italia, Greta è un’appassionata di innovazione di processo e di prodotto. Ha contribuito a portare il grafene, nuovo materiale dalle straordinarie caratteristiche meccaniche, termiche ed elettriche, su applicazioni di mercato, partecipando al lancio di una delle start-up più promettenti del settore. Attualmente è junior Engagement Manager della McKinsey&Company.
Mi piace stare in compagnia e dedicarmi alle attività all’aria aperta. Sono appassionata di equitazione e non perdo occasione di fare un giro con Ballerina, la cavalla che mi ha accompagnato per anni nelle gare. Sono curiosa, mi piace imparare cose nuove e mi appassiono sempre molto a quello che faccio. Di fronte a una sfida risulto a volte un po’ testarda, come mi dice qualcuno, anche se io preferisco definirmi tenace. La caratteristica che mi viene attribuita e di cui vado sicuramente più fiera è la capacità di far accadere le cose. Spero di tradurre la passione, l’energia e l’entusiasmo con cui affronto quello che faccio ogni giorno in impatto positivo per le persone che mi circondano.
Un suo motto è: “Curiosity and imagination will take you further”…
Questa è la frase che scegliemmo come motto alla fondazione della startup Bedimensional, che nasceva con lo scopo di portare sul mercato nuovi materiali bidimensionali dalle caratteristiche estremamente interessanti, tra cui il più famoso è il Grafene. Era il 2015 e ai tempi ero una ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova. Il manifesto recitava:
Cambiare il mondo può essere tanto semplice quanto appagante. Noi crediamo che per farlo serva una grande dose di CURIOSITÀ. Questa ci porta a fare scoperte innovative E a trovare soluzioni all’avanguardia, così come a creare materiali rivoluzionari. Ma ciò che fa la differenza, è avere IMMAGINAZIONE. Intravediamo un modo in cui CI piacerebbe vivere domani e applichiamo tutto il nostro sapere per andare al di là dei confini della tecnologia di oggi. Queste sono le qualità che ci SPINGERANNO ad andare OLTRE le nostre aspettative.
Credo ancora molto in quelle parole. Sono estremamente appassionata di innovazione e gran parte della ‘benzina’ che mi alimenta sta proprio nel pensare ogni giorno a come potremmo migliorarci e migliorare domani.
La sottolineatura dell’immaginazione mi ricorda il famoso aforisma di Einstein: “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progresso, facendo nascere l’evoluzione”. Ha nutrito la sua immaginazione approfondendo le sue ricerche all’estero: è un segnale della difficoltà di trovare nel nostro paese adeguati supporti e riconoscimenti per chi fa ricerca?
La mia esperienza all’estero è stata guidata dalla voglia di confrontarmi con un contesto sfidante, internazionale, un passaggio non soltanto sano ma a mio avviso indispensabile per crescere, soprattutto nel mondo della ricerca che per sua natura supera i confini di qualsiasi nazione. È stata un’esperienza bellissima, sia dal punto di vista personale che professionale, e che consiglio a chiunque. In particolare, Barcellona è stata un’esperienza che porterò sempre nel cuore. Una città multiculturale, che riunisce persone provenienti da ogni parte del mondo, e che mi hanno fatto sentire a casa immediatamente. Entrare in contatto con un contesto così eterogeneo, incontrare tante persone di culture diverse, eppure essere accolti con tanto affetto e attenzione da sentirsi a casa. Attenzione però: viaggiare e confrontarsi è un percorso naturale per chi fa ricerca e non è affatto un segnale negativo di per sé. Quello che può diventare un problema per il nostro Paese è la perdita di attrattività rispetto ad altri centri internazionali. Su questo ci vorrebbe un’azione molto più energica e più risorse di quante non se ne vedano oggi.
Per lei è di fondamentale importanza “l’innovazione”, che è l’applicazione pratica dei risultati della ricerca scientifica…
La mia esperienza da “ricercatrice” mi ha dato la possibilità di toccare con mano l’eccellenza che il mondo della ricerca scientifica crea. Un grande valore che purtroppo spesso si ferma dentro le mura dei centri di ricerca. Forse sono una sognatrice, ma spero che un giorno il Paese sarà in grado di creare una “fabbrica di innovazione”, capace di trasformare i risultati delle ricerche scientifiche in soluzioni e prodotti che possano essere sviluppati dalle aziende, generando valore per il mercato e soprattutto per tutti noi, nella nostra vita di tutti i giorni. Avvicinando questi due mondi si potrebbe liberare una grande ricchezza per tutti.
Il suo nome è legato a quello del grafene, un nuovo materiale che promette grande successo : ce ne può sintetizzare le caratteristiche?
Esistono in natura materiali che sono costituiti da ‘strati’, dello spessore di un singolo atomo, tenuti insieme da legami deboli. È il caso, per esempio, della grafite, che tutti abbiamo almeno usato una volta nella vita tenendo in mano una matita. Il grafene è un singolo strato di grafite, un foglio di atomi di carbonio organizzati in struttura esagonale.
L’estrema sottigliezza di questo materiale ha delle ripercussioni importantissime sulle sue proprietà: infatti, l’essere passati alle leggi della fisica delle due dimensioni permette di ottenere come risultato generale delle proprietà ‘estremizzate’. Il grafene è dotato di una resistenza meccanica circa 200 volte superiore a quella dell’acciaio e di una straordinaria conducibilità termica, è biocompatibile, biodegradabile, senza rivali finora nella capacità di condurre elettricità, è una barriera pressoché impermeabile alla stragrande maggioranza degli elementi chimici, pur mantenendo le caratteristiche di flessibilità e leggerezza.
Si tratta di un materiale tanto straordinario da essere valso nel 2010 il premio Nobel per la fisica ai due fisici Andrej Gejm e Konstantin Novoselov, che hanno sintetizzato per la prima volta il materiale quasi per caso nei laboratori dell’università di Manchester.
Questo ‘materiale delle meraviglie’ promette applicazioni ad alto impatto in diversi settori, dal wearable all’automotive, dal tessile all’energia.
La produzione dei ‘super oggetti’ che il grafene permette, al di là del loro valore performativo, potrà avere un impatto sociale positivo?
Certamente sì. Un materiale come il grafene potrebbe permetterci di stampare elettronica su supporti biodegradabili e indossabili, rendendo possibile una miriade di applicazioni nel pieno rispetto dell’ambiente. Le sue caratteristiche cambiano alcuni scenari tecnologici, come nel caso delle batterie che, seppur in fase sperimentale, diventano capaci di accumulare più energia a parità di peso e in minor tempo, aprendo la strada alla mobilità elettrica sostenibile del futuro. La possibilità di introdurre grafene nella produzione di oggetti potrebbe restituirci plastiche ad altissime prestazioni e un radicale cambiamento delle tecniche di produzione degli oggetti. Inoltre, nel caso dei trasporti, il potenziale alleggerimento delle strutture offerto da queste ‘superplastiche’ può portare alla riduzione dei consumi. Ognuna delle moltissime opportunità offerte del grafene cambia – in meglio – il sistema intorno a noi.
Cos’è rimasto della sua attività come amministratore unico della Bedimensional?
Una bellissima esperienza e moltissimi insegnamenti. Mi ha permesso di sedermi per la prima volta al tavolo del trasferimento tecnologico, lato scienza, da giovane ricercatrice con un bagaglio di esperienza tutto made in università e centri di ricerca scientifici e tanta voglia di portare il valore che risiede in quella parte del tavolo nelle aziende e nella quotidianità di tutti noi, traducendole in applicazioni concrete. Ho imparato che il processo richiede culture, attitudini e competenze che cambiano lungo il percorso. Lanciare una startup richiede di crescere insieme a lei.
Ha intrapreso una nuova esperienza presso la “McKinsey”…
Sì. La passione per l’innovazione e il trasferimento tecnologico non è cambiata. Oggi vorrei acquisire un bagaglio di esperienze nel mondo business: quel mondo che, quando facevo la startupper, avevo solo visto seduta a quel famoso tavolo. Chissà forse un giorno a quel tavolo potrò tornare a sedermi, sia come ricercatrice che come manager, facendo da mediatore tra i due mondi.
Quanto il Politecnico e l’ambiente milanese hanno contribuito alla sua formazione culturale e scientifica?
Il Politecnico è stata una scuola di altissimo livello. Un ambiente vivace, stimolante e al tempo stesso molto rigoroso. Indiscutibile il valore sia reale che percepito a livello internazionale di un’esperienza del genere. Per me poi fu l’occasione per avvicinarmi per la prima volta al mondo della città. Sono cresciuta in un paese della Brianza, il Politecnico mi ha permesso di iniziare a vivere la città, e Milano è sicuramente una delle città più dinamiche e frizzanti d’Europa.
Cosa proporrebbe per fare di Milano una ‘smart city’?
Pensando alle città del Nord Europa, sarebbe bello immaginare una Milano con meno auto. Sarebbe anche bello immaginare una città che incentivi a ridurre il packaging e, quindi, la creazione di rifiuti. Infine, una città che sappia cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, per esempio, per controllare e ridurre le emissioni da riscaldamento. Una città è smart se favorisce l’aggregazione tra i portatori di soluzioni, se è aperta e inclusiva, se ha il coraggio di fare da apripista su nuove idee. Questo in parte a Milano si fa già ma, per esempio, mi piacerebbe vedere il water footprint tra gli obiettivi misurati, la penetrazione del digitale, l’inclusione sociale. Se chi guida la comunità crea le condizioni, chi produce idee trova il modo di portare soluzioni. Ne sono certa.