La nostra vita è scandita da scelte, alcune banali, altre decisive per il nostro futuro. In genere, quando ci troviamo di fronte a due o più alternative scegliamo quella a cui attribuiamo maggiori probabilità di soddisfare i nostri interessi. È quello che accade quando decidiamo di investire del denaro oppure quando scegliamo che cosa mangiare per mantenerci in buona salute, o quando assumiamo un farmaco per curarci o ci sottoponiamo a un accertamento diagnostico preventivo che promette di salvarci la vita.
A questo fine i numeri che si accompagnano alle diverse alternative sono particolarmente importanti nell’orientare le decisioni perché siamo portati a credere che i numeri siano in grado di esprimere la realtà in modo oggettivo e imparziale. I numeri, infatti, non si contaminano con i sentimenti, i punti di vista, le opinioni, i giudizi. A parte il simbolismo numerico che caratterizza la Cabala e la Smorfia napoletana, i numeri sono numeri e basta e pertanto se ci esprimiamo con i numeri eliminano ogni ambiguità e ogni possibilità di fraintendimento.
Ma è sempre vero che i numeri sono imparziali? Secondo lo scrittore americano Gregg Easterbrook: “Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa”. Ed è proprio quello che gli statistici sanno bene e che gli esperti di marketing fanno tutti i giorni. Ricercatori, amministratori, politici e produttori di farmaci, dispositivi medici e beni di consumo, sanno bene che le scelte dipendono in buona misura dal modo in cui i dati vengono presentati e che le persone raramente sono in grado di riconoscere le trappole che si celano dentro i numeri. Così, in funzione dell’obiettivo che si intende raggiungere, i dati sono presentati ad arte per impaurire o per rassicurare, in modo di orientare le decisioni nella direzione voluta.
Mi rendo conto che presentare tutti i “trucchi” ai quali si può ricorre per ammaliare l’interlocutore è un’impresa che va ben al di là di questo breve articolo. Mi limito quindi a presentare un paio di casi sperando che da questi esempi il lettore possa quantomeno rendersi come spesso i dati vengano presentati in modo incompleto e distorto e che per salvaguardare il proprio interesse dovrebbe adottare qualche precauzione in più.
Anche la salute è un affare
Quando siamo chiamati a compiere delle scelte in ambito sanitario dovremmo avere un’idea almeno approssimativa dei benefici e dei rischi associati a ciascuna delle alternative possibili. A questo riguardo, statistici e mercanti sanno molto bene che le scelte dipendono del tipo di dati e dal modo in cui vengono presentati. Per questo motivo fanno molta attenzione a dare le informazioni atte a favorire il proprio tornaconto, che non necessariamente coincide con quello delle persone a cui si rivolgono. Ecco qui un esempio concreto.
Qualche anno or sono una nota casa farmaceutica lanciò sul mercato un nuovo farmaco capace di abbassare il colesterolo ai pazienti ipertesi, riducendo del 36% la loro probabilità di subire un infarto del miocardio dopo 5 anni di follow-up1. È evidente che diminuire di oltre un terzo la probabilità di avere un infarto è un risultato molto vantaggioso a cui nessuno vorrebbe rinunciare.
Ma cosa vuol dire ridurre del 36% la probabilità di avere un infarto se non sappiamo il valore a cui applicare tale riduzione? Il 36% di che cosa? In effetti, non è difficile rendersi conto che il 36% di infarti in meno è un numero diverso se abbiamo a che fare con un evento raro o molto comune. Supponiamo che frequentando un corso di sopravvivenza tra le onde possa aumentare in modo molto consistente (diciamo del 95%) la probabilità di non morire nei Caraibi scivolando sul ponte di un vascello durante un violento uragano. Come si può facilmente comprendere, i reali benefici di quel corso saranno comunque irrisori, dato che la probabilità iniziale di morire su un veliero nei Caraibi è, e rimarrà, infima (perlomeno oggi). In poche parole, il valore del rischio iniziale stabilisce la dimensione del beneficio che ci possiamo attendere dall’intervento: a rischi più elevati corrispondono benefici maggiori e viceversa.
Ritornando al nostro caso, i dati dello studio sopracitato ci dicono che nel gruppo di controllo 3 pazienti ogni 100 subiscono un infarto, mentre nel gruppo dei trattati gli infarti sono 1,9. Il farmaco, quindi, riducendo gli infarti del 36% (rischio relativo) evita, di fatto, 1 infarto (3 - 1,9) ogni 100 pazienti trattati (rischio assoluto). In altre parole, ogni 100 pazienti che si sottopongono alla terapia uno solo potrà godere dei benefici attesi mentre gli altri 99 assumeranno il farmaco inutilmente, accettando però, il rischio (di solito non esplicitato) di subirne gli effetti collaterali.
A questo punto, considerato che i benefici non sono poi così eclatanti, bisognerebbe poterli confrontare con il tipo e la frequenza degli effetti collaterali che si potrebbero manifestare assumendo il farmaco per il resto della vita. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, le informazioni sul rischio assoluto e sugli effetti collaterali non sono rese disponibili o lo sono in modo molto parziale, impedendo di fatto la possibilità di scegliere con cognizione di causa.
Da una revisione degli articoli pubblicati su riviste di grande prestigio tra cui BMJ, JAMA, Lancet, NEJM, solo un terzo degli articoli riportava nell’abstract i dati relativi al rischio assoluto2. Mentre un’analoga ricerca dimostrava che solo poco più della metà degli articoli pubblicati su BMJ, JAMA e Lancet, riportava correttamente i benefici e i rischi associati agli interventi terapeutici3.
Consigliare un intervento di cura o di prevenzione evidenziando solo il rischio relativo (l’intervento ridurrà il rischio del 36!) è esattamente ciò che fanno i mercanti quando per promuovere un nuovo prodotto lanciano allettanti offerte promozionali accompagnate da grandi sconti! In questo modo l’attenzione si concentra sullo sconto e la gente compra lo sconto non il prodotto, portando a casa merci inutili e di bassa qualità!
Perché dovrei fare una mammografia?
Secondo una recente revisione sistematica della letteratura, le donne di oltre 50 anni che si sottopongono alla mammografia ogni due anni riducono di almeno il 20% il rischio relativo di morire di cancro del colon rispetto alle donne che non eseguono lo screening4. Una percentuale certamente consistente, ma ancora una volta dobbiamo chiederci: il 20% di che cosa?
In genere nelle brochure che invitano allo screening non vengono fornite altre indicazioni, per cui molte persone (speriamo non i medici) credono che su 100 donne che eseguono lo screening 20 avranno salva la vita. Senza dubbio un bel guadagno, che sarebbe vero, però, se tutte le donne fossero destinate a morire di cancro della mammella. Dato così che non è, quante saranno le donne che non moriranno di cancro grazie allo screening?
I dati dello studio sopraindicato, ci dicono che su 1.000 donne che non partecipano allo screening 5 moriranno di tumore al seno, mentre saranno 4, cioè il 20% in meno, se eseguono con regolarità la mammografia per 10 anni. In pratica si salva una donna su mille, cioè lo 0,1% (rischio assoluto).
Anche in questo caso, quindi, gli stessi dati possono essere presentati in modo assai diverso, ma ugualmente vero. Ogni 1.000 donne che partecipano allo screening per 10 anni, ne morirà una in meno (cioè lo 0,1%) di cancro della mammella, rispetto alle donne che non fanno lo screening. Quindi, non 20 su 100 come potrebbe sembrare, ma 1 su 1.000.
Per completare l’informazione bisognerebbe poi aggiungere che 5 donne riceveranno una sovradiagnosi di cancro del seno, a seguito della quale saranno sottoposte inutilmente a trattamenti invasivi per un tumore che, senza lo screening, non si sarebbe mai manifestato. Oltre il 90% delle donne è convinta, invece, che eseguire una mammografia non abbia alcun effetto dannoso e solo il 7% sa che alcuni tumori identificati con lo screening non si sarebbero mai manifestati5,6.
Ho scelto questo esempio non per schierarmi contro o a favore dello screening, che rimane sostanzialmente una scelta personale, ma solo allo scopo di ricordare alle donne che per poter decidere in modo libero e consapevole devono pretendere di avere accesso a tutte le informazioni di cui hanno bisogno. A tal fine devono conoscere non solo il rischio relativo (l’unico dato che di solito viene presentato), ma anche il rischio assoluto, il periodo di tempo a cui si riferiscono i dati, la tipologia e la frequenza degli effetti dannosi: falsi positivi e falsi negativi, sovradiagnosi, complicanze. Istituzioni, giornalisti, associazioni di pazienti, ricercatori e medici dovrebbero farsi carico di questa responsabilità e per quanto di competenza dovrebbero cercare di ridurre l’asimmetria informativa che di fatto impedisce alle donne di scegliere in modo consapevole.
Un sano scetticismo
La medicina ci aiuta certamente a vivere meglio e più a lungo ma di fronte alle proposte di interventi sanitari che promettono di ridurre un certo fattore di rischio, soprattutto quando sono indirizzati a persone in buona salute, è bene essere consapevoli che le informazioni su cui si appoggiano le nostre scelte sono spesso influenzate da pregiudizi e da interessi economici non sempre allineati ai nostri obiettivi di salute.
Per migliorare le nostre capacità di comprendere e di utilizzare le informazioni sugli effetti dei trattamenti sanitari è buona cosa porci almeno tre domande:
Qual è il rischio di partenza?
Sapere che un certo farmaco o un certo intervento diminuisce il rischio del 20, del 30 o del 50% senza poter disporre di altre informazioni non serve a nulla. Comprereste un qualsiasi prodotto in commercio da chi vi promette uno sconto del 50%, senza dirvi il prezzo di partenza? Fate lo stesso in ambito sanitario. Meglio diffidare delle iniziative che si presentano in questo modo. A chiunque vi propone un intervento capace di ridurre il rischio di ammalarvi chiedete sempre: il 20, 30, 50% di che cosa? Se non sa rispondere lasciate perdere.
Non abbiate paura di chiedere anche che cosa succede se non faccio nulla? Potreste essere sorpresi da quanto poco sappiamo sulla storia naturale delle malattie e rendervi conto che fare di più non significa sempre fare meglio.
La riduzione del rischio è applicabile al mio caso?
Non è infrequente che i risultati ottenuti su gruppi selezionati di pazienti per età, sesso, presenza di fattori di rischio siano poi generalizzati su larghe fasce di popolazione. Accertatevi sempre che quello che viene proposto sia riconducibile al vostro caso e non lasciatevi ingannare dall’idea che dietro a ogni cosa che facciamo o non facciamo si celi un temibile rischio o un miracoloso beneficio. Il più delle volte si tratta di esagerazioni, da cui qualcuno ne trae generosi profitti!
Quali rischi sono associati all’intervento?
Ricordatevi che tutti i farmaci e le procedure sanitarie hanno anche effetti negativi e che c’è una diffusa tendenza a sopravvalutare i benefici e a sottovalutare o ignorare i rischi associati agli interventi. I benefici attesi vanno sempre soppesati rispetto ai possibili danni e la valutazione non può essere demandata solo a chi vi propone l’intervento perché spesso la scelta dipende dalle vostre aspettative, dai vostri desideri, dalla vostra propensione al rischio, dai vostri valori, da ciò a cui siete disposti a rinunciare e molto altro ancora.
Non affidate le vostre vite a chi si crede in diritto di decidere per voi utilizzando numeri e statistiche in modo poco chiaro e ricordatevi che qualche volta Less is more!
1 Sever SS et al: Prevention of coronary and stroke events with atorvastatin in hypertensive patients who have average or lower-than-average cholesterol concentrations, in the Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial—Lipid Lowering Arm (ASCOT-LLA): a multicentre randomised controlled trial. Lancet volume 361, issue 9364, P1149-1158, april 05, 2003.
2 Schwartz LM et al: Ratio measures in leading medical journals: structured review of accessibility of underlying absolute risks. BMJ 2006; 333:1248-52.
3 Sedrakyan A et al: Improving Depiction of benefit and Harms. Med Care 2007;45: S23-S28.
4 Gøtzsche PC, Jørgensen KJ. Screening for breast cancer with mammography. Cochrane Database Syst Rev 2013; 6:CD001877.
5 Gigerenzer G: Breast cancer screening pamphlets misled women. BMJ 2014;348:g2636.
6 Gigerenzer G et al: Helping doctors and patients. Make sense of health statistics. Association for Psychological Science. Vol 8 - Num 2. 2008.