Si tranquillizzi chi soffre di claustrofobia, nessuna paura, parliamo dell’ascensore sociale, quel meccanismo che ha il potere di portare le persone giù o su in base ad alcuni fattori e no. Secondo diversi studi sembra che il meccanismo si sia inceppato dopo gli anni Settanta e che prima di allora funzionasse benissimo. “Punti di vista”, qualcuno potrebbe obiettare, mentre altri pensano che in realtà abbia sempre avuto qualche problema.
Innanzitutto, chissà se prima di entrare in ascensore, dovremmo chiederci se fa differenza il posto in cui nasciamo? In secondo luogo, mentre ci accingiamo a scegliere fra piano terra, terzo, attico o seminterrato potremmo considerare se siamo nati in una famiglia facoltosa o in una povera. Per terminare il triste elenco, un pensiero potrebbe soffermarsi a quanto la criminalità organizzata possa condizionare perfino l’aria che respiriamo.
Dopo tali profonde riflessioni, in una società che sembra gridare sempre più a gran voce: “Fa strada solo chi non vale”, parlare di meritocrazia forse non avrebbe più senso. Freghiamocene delle classi sociali e del buon senso e parliamone pure! Nel corso degli anni la crisi ha cambiato molte cose: l’umore, il modo di pensare e perfino le emozioni. Mi viene il forte dubbio, se non sia il caso di parlare di crisi morale e dell’uomo, dei suoi valori, più che di crisi economica. Chi non ha un lavoro non sogna più; è la triste verità, smette di pensare a una famiglia, a una casa, alle vacanze, rinuncia proprio a quello per cui siamo venuti al mondo; in altre parole, a vivere.
Si sente dire molto spesso che, oggi, i giovani non studiano e non lavorano; ma non è proprio così. In realtà, vi sono in giro talmente tanti lavoretti, occupazioni a nero e sfruttamento, che tutto questo non entra mai nelle statistiche, sfuggendo perfino all’occhio attento degli osservatori che cercano, invano, di fotografare la realtà. In territori considerati poveri, regna la criminalità, ed è attraverso quest’ultima che tutto passa, anche i lavoretti.
La scuola, che potrebbe rappresentare un punto di riferimento, una leva per far funzionare, definitivamente quel benedetto ascensore, purtroppo è bloccata anche lei e offre poco, a parte una cultura infiocchettata che se non integrata da corsi e master costosissimi non serve per entrare nel mondo del lavoro. Chi nasce povero, resterà povero e mentre la scuola è pubblica e aperta a tutti, quello che c’è di là dalle mura scolastiche ha un prezzo molto alto. Hanno un costo, i master, i posti di lavoro e la carriera, i concorsi truccati, le raccomandazioni, i luoghi che puoi frequentare solo se hai i soldi, le chance, le persone da incontrare, la qualità della vita sociale. Quello che c’è oltre la scuola, non è per nulla pubblico, anzi è drammaticamente e tristemente privato, come il medico che fa il figlio medico, come l’assessore che fa il figlio assessore, come il sacerdote che grazie alla divina misericordia ha un figlio prete.
Molti continuano a pensare che la scuola possa essere un pass, ma non è più così o meglio quando serve un pezzo di carta, diploma o laurea, è possibile acquistarli come le mele al supermercato. Non è difficile assistere, infatti, soprattutto sui social al massacro della lingua italiana, ai verbi che si uccidono per disperazione; il linguaggio parlato e soprattutto scritto sembra aver avuto una metamorfosi. In realtà, non sono cambiate le regole grammaticali e la sintassi delle frasi, è che in giro vi sono molti più asini di prima. In passato, quando non esisteva l’automobile, i carretti erano trainati appunto dai nobili e fieri somari, i quali, ahimè, conoscevano la grammatica meglio di tanta gente che oggi frequenta o non frequenta i social.
Ritornando ai tasti, pare che al mondo esistano tanti pulsanti che sono programmati, proprio per non funzionare, che sono piazzati lì per illudere le persone, mentre si continua a schiacciarli. Nella maggior parte degli ascensori, ad esempio, vi è un tasto che servirebbe a chiudere le porte. Il tempo per permettere la chiusura delle porte, in realtà è già calcolato, come anche il tempo per aspettare il verde per i pedoni, indipendentemente dal fatto che quel tasto sia premuto o meno. Nonostante ciò, alle persone piace premere bottoni, vedere arrivare l’ascensore dopo aver azionato l’ordine. I pulsanti di comando, che ci aprono le porte, che le fanno chiudere, che abbassano il finestrino quando fa caldo danno la sensazione di essere importanti e di poter decidere tutto o quasi.
Restare bloccati in ascensore potrebbe non essere un caso, se il tasto delle emergenze funziona. In compenso, il tempo passato fra un piano e l’altro può essere buono per una sana e utile meditazione. Si potrebbero vedere le cose da una prospettiva a metà fra il terzo e il quarto (avete mai visto la vita fra due piani?), mentre arrivano le voci di chi chiama i soccorsi. La fortuna, una volta o l’altra potrebbe girare bene e così, per caso, potremmo trovarci chiusi in ascensore in buona compagnia.
Alcune cose (le migliori) accadono proprio quando non si schiaccia alcun tasto, ma io (sembrerò impopolare) continuo a preferire le scale, dove non succede mai un granché, però, proprio lì, fra un gradino e l’altro posso ancora decidere io.