Valutare la qualità di vita è come giudicare la bellezza di una rosa: nonostante le molteplici possibili misurazioni (colore, odore, lunghezza) la sua piena bellezza non sarà mai catturata.

(Mont BM, Scott JF, 1983)

I medici hanno cercato da sempre di alleviare le sofferenze delle persone e di prolungarne la vita. Nella terminologia corrente questi obiettivi possono essere espressi come miglioramento della qualità di vita (QdV) e riduzione della mortalità. Peraltro, mentre la morte è un esito relativamente semplice da definire e misurare, la QdV è molto più difficile da valutare.

Negli ultimi anni una serie di motivi ne hanno enfatizzato l’importanza, a integrazione delle tradizionali misure obiettive biologiche o cliniche:

  • migliorato sviluppo dell’assistenza sanitaria (aumento della “quantità di vita”);
  • consapevolezza che gli interventi medici devono aumentare anche la qualità della sopravvivenza;
  • importanza culturalmente mediata non solo della guarigione ma anche del ripristino della funzionalità;
  • frequente ampio spettro di possibilità terapeutiche;
  • informazione più corretta ai pazienti nelle scelte decisionali;
  • dati sulla qualità di vita parte integrante per l’approvazione di nuovi trattamenti;
  • quadro più completo degli effetti di una cura, soprattutto nelle patologie croniche;
  • importanza sempre maggiore dell’analisi costo-utilità dei servizi assistenziali.

Che cosa valutare?

La QdV è un concetto più ampio della semplice valutazione di disabilità, come salire scale o vestirsi, implica infatti il giudizio delle persone su quanto e se una malattia o una infermità limitano la propria capacità di svolgere in maniera soddisfacente un determinato ruolo, ad esempio, sociale. È un costrutto multidimensionale, altamente soggettivo, intuitivo ma di complessa e variabile definizione, anche nella versione ristretta al solo ambito medico e al contesto della malattia (Health-Related Quality-of-Life).

Alcune definizioni della qualità di vita:

  • gli oggetti che le persone ritengono importanti nelle loro vite;
  • la percezione del proprio stato attuale nei confronti di quello ideale;
  • la percezione degli individui della loro condizione di vita nei confronti del proprio contesto di cultura e valori e in relazione ai propri obiettivi, aspettative e interessi;
  • l’effetto funzionale sul paziente di una malattia e della terapia che ne consegue, così come percepito dal paziente.

Non esiste neppure una sua misura campione (“gold standard”). Secondo alcuni autori la QdV può essere considerata come la distanza fra le aspettative di salute di un individuo e la effettiva esperienza concreta, misure spesso variabili, dinamicamente, oltre che fra diversi individui, anche nello stesso soggetto con il passare del tempo.

La misurazione della QdV rappresenta un campo relativamente nuovo nella medicina, derivato dalle scienze sociali. Ne sono state identificate decine di misurazioni, anche se gli approcci principali sono essenzialmente due, di orientamento psicologico-sociale ed economico. Il primo privilegia le dimensioni multiple della QdV e ha sviluppato strumenti in grado di analizzare ciascun aspetto separatamente.

Dimensioni della qualità di vita:

  • funzionalità fisica;
  • funzionalità psicologica;
  • funzionalità sociale;
  • funzionalità economica;
  • funzionalità occupazionale;
  • funzionalità spirituale.

L’orientamento economico-decisionale enfatizza, invece, la sintesi della valutazione della QdV in una singola misura riassuntiva, corrispondente al concetto di “utilità” della salute, cioè ai vantaggi o benefici di un trattamento rapportabili ai costi. Tale costrutto è misurabile con varie scale, la più nota delle quali è la QALYs (Quality Adjusted Life Years), che consente di combinare un singolo numero che riassume la QdV con i dati riguardanti la lunghezza della vita, per calcolare gli anni di vita aggiustati per la qualità, misura di decorso utilizzata nelle analisi decisionali e costo-efficacia.

Come valutare?

Le misure della QdV hanno diversi scopi:

  • evidenziare bisogni assistenziali occulti;
  • identificare priorità in pazienti con problematiche multiple;
  • facilitare la comunicazione tra medici e pazienti;
  • identificare le preferenze del paziente ai fini della condivisione delle scelte decisionali;
  • confrontare opzioni terapeutiche;
  • valutare l’efficacia di interventi, sia farmacologici che assistenziali, rispetto alla percezione e soddisfazione del paziente.

Metodi utilizzati per la valutazione della QdV:

  • interviste dei pazienti, dirette o telefoniche,
  • diario dei sintomi mediante moduli pre-stampati;
  • liste e scale: elenco di sintomi che il paziente deve indicare, rispettivamente, nei termini di presenza/assenza o graduazione di intensità;
  • questionari standardizzati generici o patologia-specifici.

Tali strumenti possono essere generici o patologia-specifici. I primi valutano aspetti della salute rilevanti in maniera indipendente dalla condizione sottostante e consentono pertanto di confrontare le ripercussioni sulla QdV di patologie differenti. Esempio tipico, Short Form-36 (SF-36), questionario standardizzato e molto utilizzato, compilato dal paziente. Valutando il problema in generale, hanno lo svantaggio della scarsa sensibilità nel rilevare aspetti peculiari di particolari malattie e di essere influenzati da numerosi fattori culturalmente appresi.

Gli strumenti specifici sono al contrario idonei a valutare compromissioni peculiari di particolari patologie, ad esempio, angina, scompenso cardiaco, diabete mellito, artrite reumatoide, ma non forniscono uno sfondo più ampio per collocare l’interpretazione dei dati e possono pertanto limitare l’evidenziazione di altri fattori in grado di influenzare la percezione dello stato di salute. Per questo in molti studi clinici, ad approccio multidimensionale, vengono utilizzate batterie di test che includono sia misurazioni generiche sia specifiche.

Qualità della qualità

La misurazione della QdV presenta limitazioni intrinseche legate, ad esempio, alla fluttuazione spontanea nel tempo dell’attività della malattia, all’influenza di fattori non clinici (sociali, economici, psicologici, demografici) e soprattutto alla unicità della sua percezione per ogni soggetto.

Una caratteristica peculiare della QdV è la dinamicità, il suo modificarsi all’evolvere della malattia, ad esempio, nel passaggio tra fasi stabili e riacutizzazioni. Lo stesso rendersi conto di avere una malattia seria modifica di per sé le prospettive in maniera significativa, fenomeno conosciuto come “effetto labelling”. Il cambiamento dei termini di riferimento con i quali giudicare la QdV implica la necessità di ripetere le misurazioni a tempi prefissati, come per altri parametri clinici, e solleva il problema di quanto tali misure siano in effetti adeguate a tale necessità.

La QdV costituisce un fenomeno individuale e la sua valutazione deve incorporare la prospettiva unica dell’individuo, cioè il suo progetto esistenziale, la cui realizzazione rappresenta una componente fondamentale della QdV stessa. Ciò non è valutabile in maniera adeguata con questionari standardizzati che porgono le stesse domande a tutti i pazienti e richiedono scelte di risposte da set predeterminati. Obiettivi e comportamenti specifici, importanti per la vita di un individuo, ad esempio, la possibilità di presenziare alle funzioni religiose o di giocare a bocce, non sono sicuramente valutati adeguatamente da domande generiche sulla mobilità fisica o la salute in generale. Peraltro, qualora presi in considerazione, comportamenti apparentemente simili non hanno lo stesso significato per tutti gli individui. Fattori di disagio teoricamente validi per tutti sono infatti pesati con bilance diverse dai singoli individui. Inoltre, elementi importanti per la QdV spesso non sono inclusi nelle misure standardizzate.

È stata anche evidenziata un’ampia disparità di valutazione della QdV tra pazienti, medici e familiari. In effetti, non è raro osservare un interesse del paziente per alcuni aspetti della propria vita e disinteresse per altri, spesso in maniera inattesa rispetto alle aspettative del medico curante e talvolta degli stessi familiari. Pazienti con gravi limitazioni fisiche ma adeguata capacità di farvi fronte (ability to cope), infatti, possono stimare la loro QdV come buona o eccellente e viceversa (cosiddetto “paradosso della invalidità”). La condivisione di tali priorità e la loro integrazione con i dati clinici possono rappresentare lo spunto per una migliore relazione medico-paziente.

Molti malati, per i quali la misurazione della QdV ai fini decisionali sarebbe estremamente utile, non sono in grado di rispondere alle domande, ad esempio, per alterazioni cognitive, deficit comunicativi, gravità della malattia o per difficoltà relative alla somministrazione dei test. In questi casi misure di QdV surrogate possono essere ottenute dal care-giver, soprattutto sugli aspetti più concreti e facilmente osservabili, meno per quanto concerne campi soggettivi, quali l’emotività. Le concordanze tra le misure effettive e quelle surrogate sono inoltre influenzate da altri parametri, quali quantità di tempo che il care-giver passa con il malato, condizioni di salute, speranze e aspettative.

Conclusioni

La valutazione della QdV sarà sempre più utilizzata, parallelamente all’esigenza di privilegiare la centralità del malato, le sue prospettive, le gerarchie valoriali, le necessità e le preferenze nei confronti di trattamenti e obiettivi clinici. Le misure soggettive non devono peraltro sostituire le tradizionali misurazioni dei fenomeni clinici e biologici relativi alla malattia ma fornire informazioni aggiuntive, utili alla valutazione del contesto personale e sociale della malattia, ai fini di una migliore gestione complessiva della patologia.

Tale costrutto si inserisce perfettamente soprattutto nell’ambito della medicina generale, luogo paradigmatico dell’orientamento alla persona malata. L’attribuzione di pari valore e dignità alla sintomatologia del paziente nei confronti dei dati oggettivi, può consentire a medico e paziente di dare un senso e una interpretazione comuni alle percezioni, evidenziando le priorità del malato e realizzando piani assistenziali condivisi e realistici. I dati soggettivi sono, infatti, gli unici in grado di distinguere tra ciò che è “vero” (l’evento concretamente vissuto e che, per la sua irripetibilità non potrà mai essere provato) e ciò che è “esatto” (il dato oggettivo che può essere dimostrato, perdendo però in tal modo il senso del vissuto). Questa impostazione concettuale consente in particolare di evitare la separazione tra il modo di essere e di sentire del paziente e la patologia di cui è portatore, ritenuta spesso erroneamente il solo elemento sul quale è possibile intervenire in modo scientificamente fondato.

Una misurazione affidabile della QdV può indicare al medico la necessità di cambiamenti di prospettiva relazionale: aiutare il paziente non solo a limitare gli aspetti negativi dovuti alla malattia, ma anche a modificare le sue aspettative di salute, ad esempio, a cambiare o rafforzare i propri valori di riferimento e le risorse ancora disponibili, quali relazioni interpersonali positive, finalità della vita, interessi specifici.

Infine, si devono evitare alcune distorsioni, soprattutto quella di considerare la QdV come un parametro qualunque, frazionabile e mercificabile, con le sue regole di funzionamento standardizzate. Non va infatti dimenticato che l’oggetto in questione comprende la storia dell’individuo, le sue categorie valoriali, quali percezione di sé nel mondo, senso della vita, della sofferenza e della morte, in grado di relativizzare il fenomeno salute.